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Il Dottore Giuseppe Marano, nato a Montella nel rione Sorbo, primo figlio di una numerosa prole, di Angelo della famiglia soprannominata dei Flamini e di Elisabetta Cianciulli ( Bettina ), si laureò in medicina all'università di Napoli negli anni cinquanta.
Pur essendo molto legato al suo rione e a Montella, iniziò ad esercitare la professione, come internista e medico di famiglia, nella città dove aveva studiato, con l'apertura di un ambulatorio privato in Vico S. Eframo Vecchio, passando poi a gestire il servizio sanitario per il personale dipendente dell'ATAN, Azienda Tranvie Autofilovie Napoli, e in seguito, fino al pensionamento, come Dirigente di un Poliambulatorio INAM napoletano. Peppino, come veniva chiamato in famiglia, fin da piccolo si appassionò a scoprire come funzionavano i vari organi del corpo umano, e questa infantile curiosità, lo portò dopo gli studi liceali, a iscriversi alla facoltà di medicina e chirurgia. Il tempo per il conseguimento della laurea, fu per Peppino, più lungo del solito, perché durante gli studi doveva anche lavorare per mantenersi economicamente a Napoli, dove viveva in una stanza in affitto.
La sua famiglia, molto numerosa, oltre ai genitori, un fratello e sei sorelle tutti più piccoli di lui poteva solo in parte aiutarlo con rimesse in denaro, comunque gli inviava periodicamente generi alimentari, in particolare: latticini e salumi vari, prodotti dalla famiglia nelle sue attività di agricoltori, castanicoltori e allevatori. Un'altra causa del suddetto ritardo, la sua seconda passione, quella di un impegno importante in campo politico a favore del partito comunista, che in quei periodi, dopo il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale, era il partito che più di tutti gli altri, rispecchiava le rivendicazioni e le istanze delle masse più povere e deboli del paese: gli operai, i contadini quasi tutti braccianti e mezzadri, ma anche di tante altre categorie di impiegati statali, artigiani e di tutti gli altri lavoratori in genere.
Durante gli studi universitari, partecipava attivamente alle riunioni di sezione e ai comizi del partito, sia a Montella che a Napoli, e questo suo impegno come detto in precedenza, gli procurò non pochi problemi, prima di tutto, con un lieve ritardo a conseguire la sua laurea in medicina. Inoltre, il fatto che lui appartenesse a una formazione politica, considerata avversa o ostile nell' ambito delle persone intellettuali, di cui lui per regola avrebbe dovuto far parte. Per questo, probabilmente, la sua posizione non fu ben vista, o quantomeno sospetta, da una categoria di personaggi legati al conservatorismo e alla nostalgia di un regime, che insieme alla monarchia aveva portato l'Italia in una delle più grandi e catastrofiche guerre. Questo problema, non penalizzò più di tanto, in campo lavorativo l'attività del Dott. Giuseppe Marano, sempre incentrata a un comportamento, prima di tutto umano, corretto e di immedesimazione nelle patologie dei propri pazienti sofferenti, con le cure e l'assistenza doverosamente necessarie. Mi raccontava, che lui, un discreto fumatore, cercava di indurre i suoi pazienti a smettere col vizio del fumo, facendosi consegnare, come pegno o promessa, il loro accendino. Ci fu anche un periodo in cui Peppino, diventò oggetto di minacce e intimidazioni anonime, probabilmente provenienti da personaggi estremisti di destra, legati anche alle varie frange malavitose esistenti nella città di Napoli e nelle immediate periferie. Non sapendo cosa fare di concreto, dopo un breve periodo di riflessione, decise intanto di cautelarsi, nel senso di sentirsi più sicuro, tenendo una pistola nel cassetto della scrivania del suo studio, (che ben conoscendolo, non sarebbe mai stato in grado di usare, nemmeno in caso di estrema necessità).
Sapeva, anche, che se avesse fatto una denuncia alle autorità, questa non avrebbe portato a niente. Però non poteva tenere segreto quanto gli stava capitando, così decise di parlarne con alcuni compagni operai e maestranze, ben conosciuti e fidati ( in quel periodo era il medico del personale ATAN ). Probabilmente, anzi sicuramente, questa iniziativa attivò i suoi pazienti e compagni, a scoprire la provenienza delle minacce e delle intimidazioni, che in poco tempo terminarono e per sempre. Nella vita privata Peppino, dopo il conseguimento della laurea, si sposò con la maestra Eleonora Vuotto, figlia del conosciutissimo Elia, sarto artigiano, fervente socialista montellese poi passato al PCI, sindacalista CGIL, difensore dei diritti di tutti i lavoratori, sul suo conto, così riporta Paolo Speranza nel suo volumetto "LA ROSSA MONTELLA" Fra i dirigenti del movimento sindacale Irpino, Vuotto è quello che più di ogni altro rappresenta ed incarna, tutte insieme, l'anima popolare (legalitaria e non violenta) dei lavoratori, la continuità con la tradizione socialista del primo Novecento, la rigorosa formazione politica da autodidatta, comune a tanti quadri politici e sindacali dell'epoca, la tensione etica e umanitaria che ne fanno una figura originale e di primissimo piano della storia della sinistra Irpina... quale miglior modo di imparentarsi per Peppino? Dalla unione con Eleonora ha avuto due figli: Katia e Sergio, che oggi anche loro vivono lontano da Montella e da Napoli. Peppino era nato a Montella il 18 giugno1923 ed è mancato ai suoi cari in Napoli il 22 aprile 2010.
Io Graziano Casalini ho scritto un po' della sua storia in quanto Peppino era mio cognato e con lui e la sua famiglia ho condiviso molte idee e alcuni momenti belli della vita. L'ho fatto anche per far conoscere meglio ai montellesi la figura del Dott. Giuseppe Marano, medico di Sorbo, che ha esercitato da sempre la sua professione nella città di Napoli, però, non dimenticando mai le sue origini soveresi e montellesi.
Un cordialissimo saluto
Graziano Casalini
Quanto pubblico per la presentazione del libro “Il caso Cianciulli. La Saponificatrice di Correggio”, scritto da Maurizio Garuti.
L’incontro di ieri, ha visto l’autore dialogare sulla figura di questa serial killer con lo scrittore e giornalista Carlo Lucarelli, il magistrato Stefano Dambruoso, lo scrittore e critico letterario Matteo Marchesini in una Biblioteca Salaborsa piena di pubblico attento e curioso. Il tutto accompagnato dalle letture dell’attore Saverio Mazzoni.
Grazie a tutti gli ospiti intervenuti, alla Salaborsa per l’ospitalità e a tutto il pubblico accorso.
Se siete curiosi di leggere il libro, lo trovate in libreria e online: https://www.minervaedizioni.com/il-caso-cianciulli.html
Armando DeStefano insieme alla sua squadra del Bellizzi Irpino vince la finale del Campionato Provinciale di Avellino Under 15
ROMA 21 MAGGIO 2024 NOVANTACINQUE ANNI DI SUOR PIERINA SICA
Descrivere lo stato d'animo di Forcone, dopo il giravolta, il tradimento di Clarabella, amata appassionatamente, è per me operazione complessa, difficile, ardua, come tentare la scalata della parete del Petit Dru del Monte Bianco!
L' inopinato inganno della donna gli procurò delusione e frustrazione in proporzioni così grandi che, se fossero state quantificabili in misure di peso, avrebbero annientato un manipolo di soldati in azione o messo in ginocchio un elefante della savana!
Nei giorni susseguenti, vagò in lungo e largo, senza una meta e sperduto nel nulla...
In effetti, aveva smarrito il senno, come era capitato al Paladino Orlando quando seppe che Angelica, di cui era pazzamente innamorato, lo aveva lasciato, cadendo languida tra le braccia di Medoro!
Dunque, non avendo capacità di intendere, di giudicare e operare nel modo più giusto e conveniente, nel suo ozioso girovagare, attribuiva la colpa a tutti, finanche agli uccelli cinquettanti:
molto spesso imprecava contro il Cielo per avergli riservata una ventura triste, sciagurata ed ingiusta...
Digiunò per diversi giorni, mentre passò le notti con gli occhi sbarrati nel buio!
A questo punto, mi corre urgente e stressante l'obbligo di rasserenare e tranquillizzare il lettore, facendo presente che il nostro protagonista non avvertì nessuna necessità di far ricorso all'aiuto di Astolfo, affinchè gli andasse a recuperare il senno smarrito sulla Luna!
Infatti, col passar dei giorni, a guisa del naufrago che nel mare procelloso si salva, aggrappandosi al relitto di fortuna, egli di botto rinsavì, riacquistò consapevolezza, recuperò la coscienza, facendo leva sulla sua forza intima, sulla sua risolutezza e determinazione : comprese che per ribellarsi alla sorte avversa e matrigna, per ricostruire il suo destino, la sua vita, doveva rientrare in sé stesso! (Sant' Agostino così declamava: "Noli foras ire in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas")!
E, poi, - lungi da me ogni mal celata saccenteria - il filosofo sofista Protagora non affermava che " l'uomo è misura di tutte le cose che sono in quanto sono"? Dunque,
qualche giorno dopo, Forcone, oramai ristabilito, si vestì di tutto punto, si impomatò i capelli con la brillantina Linetti, si lustrò le scarpe, annodò il papillon alla camicia - per darsi un tocco di classe e raffinatezza - e lo inondò con lunghi spruzzi di Lavanda Coldinava!
Terminato il look, si guardò allo specchio e rimase sorpreso e meravigliato dell' immagine che gli rimandò riflessa : era, senza dubbio alcuno, un gradevole, affascinante e bell' esemplare del sesso maschile!
Grato allo specchio, che ringraziò con un occhiolino, uscì all'aperto, sentendosi padrone di sè e del mondo, e si avviò spedito e sicuro verso il Paese.
Un gruppo di ragazzotti che giocavano a pallone, non appena lo intravidero da lontano, corsero come levrieri verso l' abitato per annunziare il suo arrivo.
Era stata organizzata una significativa e confortevole festa di accoglienza per il suo onore offeso : una moltitudine rumorosa di persone si era riversata lungo i marciapiedi, sui balconi, alle finestre, agitando bandiere tricolori, fazzoletti bianchi, striscioni inneggianti alla vittoria del terzo scudetto del Napoli...
Finanche il Sindaco, ( che aveva affinato e perfezionato il suo latino, frequentando un corso intensivo ed accelerato di ripetizione ) gli andò incontro, lo abbracciò forte ed esclamò :
- Macte animo ( coraggio ) !
Insomma, giubilo, esultanza, tripudio erano i sentimenti che gli venivano espressi, sensi sinceri di solidarietà, di condivisione, non turbati o inficiati da quelli svenevoli, leziosi, piagnucolosi di compassione e di commiserazione per il tradimento inflittogli dall'amata!
Forcone era considerato un eroe vittorioso nelle traversie e negli affari di cuore contro una donna frivola, fatua, traditrice, fedifraga, infedele, che già il Dizionario Treccani giubila in modo impietoso, non esitando a definirla con l'epiteto di "puttanona"!
Mi scuso, ovviamente, con il lettore per aver fatto ricorso a quest' ultimo termine : la colpa non è mia, ma del Treccani !
Intanto, invito tutti a leggere il decimo e, forse, ultimo episodio!
Sarà uno scoppiettante TRICTRAC!
E’ ancora Montella a far parlare di se !!! Questa volta ad essersi distinta è la solida E.B.I. Elettromeccanica Bocchino Irpina S.r.l. che ha ricevuto l’ ALTA ONOREFICENZA DI BILANCIO quale migliore piccola impresa per performance ed affidabilità finanziaria Cerved al premio Industria Felix 2023.
Sinceri sono i complimenti dalla redazione di montella.eu ed un solo augurio … “ad maiora semper”.
Spett.le Redazione montella.eu - Il tempo passa veloce, e tutto va avanti nei modi migliori, l'amministrazione e i cittadini sempre più coscienti e responsabilizzati, stanno valutando come sfruttare creando ricchezza, le grandi risorse e le potenzialità, che il paese ha nel suo comprensorio.
L'Irpinia e Montella in particolare hanno avuto in dote dalla natura dei paesaggi variegati e bellissimi, dove non manca veramente niente, dai complessi monumentali e di culto, ai prodotti enogastronomici con vini tipici locali che possono competere con i celebri, Chianti, Barolo, Brunello di Montalcino, Lambrusco, Frascati, ecc. ecc, e poi, i piatti semplici tradizionali, da preferire alle creazioni sofisticate dei più bravi chef stellati.
Una posizione privilegiata per le più che eccellenti qualità è occupata dai prodotti caseari, caciocavalli, mozzarelle, scamorze, ricotte, e dalle carni saporitissime, provenienti da bestiame allevato prevalentemente allo stato brado. I grandi boschi di castagni, e la produzione della castagna IGP, una delle migliori fra tutte quelle delle altre zone della penisola.
Le ottime qualità dei frutti, in gran parte da coltivazioni autoctone, come: le noci, le susine, le nocciole, le mele, le pere, l'uva, e alcuni molto rari, ma particolari, come il gelso nigra, senza dimenticare i frutti provenienti dalla terra: i funghi e i profumatissimi tartufi. La montagna, che oltre ha essere ricca di castagneti e faggete, ha numerose sorgenti di acqua leggerissima e purissima, che durante le stagioni favorevoli scorrendo verso valle, forma alcune bellissime cascate, dicevo la montagna, da svariati punti panoramici, delizia il visitatore, con viste stupende sulle sottostanti pianure, fino a spaziare sulle vicine città e sul mare salernitano.
Istituto Suore Povere di San Giuseppe venerdì 28 aprile 2023 ore 10.030 , dalla Basilica di S. Giovanni Laterano Roma ,chiusura dell'istruzione Diocesana della causa di Beatificazione della Serva di Dio Suor Bernardetta dell'Immacolata Sesso . Diretta streaming si montella.eu
COMUNE DI MONTELLA SALA CONSILIARE PIAZZA DEGLI IRPINI
PRIMA CONVOCAZIONE 27 APRILE 2023 - ORE 09:00
SECONDA CONVOCAZIONE 28 APRILE 2023 - ORE 09:00 ESSIONE ORDINARIA SEDUTA PUBBLICA LA SEDUTA SARÀ TRASMESSA IN DIRETTA STREAMING SU MONTELLA.EU
ORDINE DEL GIORNO
1. COMUNICAZIONI DEL SINDACO;
2. LETTURA ED APPROVAZIONE VERBALI SEDUTA PRECEDENTE;
3. INTERROGAZIONI, INTERPELLANZE E MOZIONI;
4. APPROVAZIONE RENDICONTO DI GESTIONE ESERCIZIO FINANZIARIO 2022;
5. ALIQUOTE, TRIBUTI E TARIFFE ANNO 2023 – DETERMINAZIONI;
6. APPROVAZIONE PROGRAMMA TRIENNALE OO.PP. 2023/2025 ED ELENCO ANNUALE 2023 DEI LL.PP. E PROGRAMMA BIENNALE 2023/2024 DEGLI ACQUISTI DI BENI E SERVIZI;
7. VERIFICA QUANTITÀ E QUALITÀ DI AREE E FABBRICATI DA DESTINARE ALLA RESIDENZA, ALLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE E TERZIARE – ARTICOLO 172 COMMA 1 LETTERA B D.LGS. 267/2000;
8. PIANO DELLE ALIENAZIONI E VALORIZZAZIONI DI BENI IMMOBILI DI PROPRIETÀ COMUNALE AI SENSI DELL’ARTICOLO 58 DEL D.L. 112 /2008 CONVERTITO CON LEGGE N. 133/2008 – DETERMINAZIONI;
9. PEF 2023 E TARIFFE TARI ANNO 2023 - DETERMINAZIONI;
10. APPROVAZIONE DOCUMENTO UNICO DI PROGRAMMAZIONE (DUP) 2023/2025 - ALLEGATO 4/1 DEL D.LGS. N. 118/2011;
11. APPROVAZIONE BILANCIO DI PREVISIONE FINANZIARIO 2023/2025;
12. APPROVAZIONE PROGETTO DEFINITIVO “LAVORI DI REALIZZAZIONE DI UN TERMINAL BUS NEL COMUNE DI MONTELLA” E DICHIARAZIONE DI PUBBLICA UTILITÀ.
25 aprile 2023 a Montella (AV) commemorando il partigiano montellese Pietro Gambone. Fucilato ad Imperia - Oltre 600 i caduti partigiani nella provincia di Imperia, quasi un centinaio erano meridionali e tra essi il giovane montellese Pietro Gambone, fucilato in una delle tante stragi di cui si resero colpevoli sia tedeschi che militari fascisti della Repubblica di Salò. In questo 25 aprile in cui vengono messe in discussione da esponenti del governo Meloni, che ricoprono alte cariche istituzionali , le radici antifasciste della nostra Costituzione, oggi è importante partecipare a tutti gli eventi che onorano i caduti della Resistenza .
Montella 25 aprile, ore 17.00, Sala Consiliare, Piazza degli Irpini
Iniziativa organizzata dal Circolo PD di Montella (AV) e con il patrocinio dell'ANPI di Avellino e di Imperia. Dopi i saluti della segretaria del circolo PD di MOntella , Igea di Mauro, dei presidenti dell'ANPI di Avellino e di Imperia, gli interventi di :
Gianni Marino, sulla Resistenza dimenticata dei soldati italiani nei lager tedeschi che si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò,
Paolo Saggese sul fascismo e il Meridione
Rai 2 - 19 aprile 2023 Fiorello e Massimo Ranieri Ricordano Aurelio Fierro Montellese
Nella notte a Montella è boom di furti di marmitte d'auto. Una trentina di episodi denunciati nel giro di di una notte i predoni dei catalizzatori vanno infatti a caccia dei componenti costosissimi installati sulle autovetture più ecologiche. Insomma, siamo di fronte a un nuovo business per la criminalità. Ma cosa rende così desiderabili le marmitte?. I ladri sanno bene e conoscono il contenuto dei catalizzatori.
Al loro interno, infatti, sono presenti metalli preziosi come l'oro, il platino, il palladio e il rodio. Elementi che al mercato nero fruttano almeno 100 euro per ogni catalizzatore che viene rubato e da cui poi, con un procedimento chimico, vengono ri-estratti i componenti preziosi.
Vitsica
La profonda quiete della notte fu improvvisamente interrotta, alle prime, fredde luci dell' alba, dai rintocchi lenti, continui, solenni a "morto" che, squarciando l'etere, piombarono tristi sul Paese e zone circostanti, dispensati dal batacchio del campanone della Chiesa Principale.
Era stato Ezechiele, rammaricato, addolorato, afflitto per l'inganno della nipote Clarabella, a desiderare che il suo "lutto" si effondesse e partecipato a tutto il Paese!
Era stato accontentato da Don Coglia, rettore e curatore della Parrocchia.
Il prete era stato sospeso "a Divinis", sanzione comminata dalla Santa Sede, perchè si era reso colpevole di gravi mancanze disciplinari e per comportamenti licenziosi, improntati al disprezzo delle norme del pudore e del ritegno.
Egli, infatti, considerava e proclamava la libertà totale di pensiero e di azione! Insomma, un libertario e, più che "femminista" era un "femmenaiuolo"!
Nel chiuso del Confessionale ( qualche peccatrice penitente andava direttamente in Sagrestia! ), era sempre pronto e propenso ad assolvere a pieni voti le donne infedeli e fedigrafe, esortandole ad agire sempre per il loro soddisfacimento, mentre ai mariti traditi infliggeva, con piacere malizioso, quantità esagerate di
"Pater noster", "Ave Maria" e "Atti di dolore"!
Nell' ambiente, più che Don Coglia, era conosciuto con l'epiteto siciliano "Futti, futti cà Diu pirduna a tutti"!
Egli esercitava ancora il Ministero Sacerdotale, perchè la Bolla Papale, con cui era stato dichiarato
"Spretato", non aveva ancora dispiegato i suoi effetti.
Quando, poi, i rintocchi a
"morto" calarono anche sulle campagne limitrofe, le decine di contadini già impegnati a spezzarsi la schiena, per i lavori duri e faticosi dei campi, saltarono inebriati, eccitati, estasiati, convinti com'erano che Belzebù aveva finalmente sprofondato
'Futti, futti" nel Girone dei Lussuriosi dell'Inferno dantesco!
Intanto, nella mattinata giunsero nel Paese anche la Pantera della Polizia e la Gazzella dei Carabinieri, che, con le sirene dispiegate a tutto volume, fecero più volte il giro delle strade nella ostinata speranza, teste dure, che i due amanti avessero trovato rifugio in qualche abitazione del posto.
Il suono delle sirene scatenò un fuggi, fuggi pazzesco dei cani, mentre le galline, tutte intente e pronte a fare l'uovo giornaliero, smisero tale operazione, saltando fuori dal pollaio!
Anche Orazio, deluso per il comportamento della figliola, con la Smith Wesson e con in testa lo Chepì bianco dei Legionari, si mise alla caccia della coppia, addentrandosi nelle boscaglie, nelle macchie, nelle selve più fitte confinanti la zona, sparando ogni tanto ad ogni frusciar di fronda e gridando a polmoni pieni i nomi di Clarabella e
"Sputacchione" : lasciamolo alle sue inutili ricerche!
Svegliato dai rumori e dai frastuoni, assillanti e fastidiosi che avevano messo a soqquadro la vita cittadina, il nostro avvocato-azzeccagarbugli, mandò a chiamare Carbonaccio, il suo fedele Bravo ( efferato e pericoloso delinquente, temuto da tutti ), per conoscere il motivo di tale scompiglio!
Appena seppe che Forcone, il suo odiato nemico, era stato "uccellato" anche da una donna da lui idolatrata, per la gioia, fece un guizzo in alto, rapido e scattante e per poco non ruzzolò lungo la scalinata "assassina" che lo aveva reso deforme per tutta l'esistenza!
Con felicità incontenibile, gli affidò questa consegna: pranzo pantagruelico, luculliano, imponente alla solita osteria : antipasti di mare e monti, cannazze alla bolognese e alla genovese, braciole, polli imbottiti, bistecche, salsicce, agnello alla brace, frutta di stagione, noci tostate e per dessert cannoli, sfogliatelle, bignè...
Il tutto doveva essere innaffiato dal Prosecco di Valdobbiadene, Lambrusco, Malvasia di Rapone e Aglianico Irpino!
Un' orchestrina avrebbe dovuto allietare i commensali suonando tutti i "Lisci" di Casadei!
Dovevano essere invitati tutti gli amici con i quali faceva abitualmente "cazzi e cocchiare" ed anche donne, belle, giovani e nubili ( in onore di Clarabella che aveva liquidato Forcone! ).
Carbonaccio, onde evitare trasalimenti e paure dipinti sul volto delle persone che incontrava, se ne andava di norma "cupe, cupe"!
Eseguì alla perfezione l'ordine dello storpio avvocato!
L'invito esteso anche al gentil sesso, stimolò e spronò diverse mamme a prenotare al Salone di Bellezza il "trucco e parrucco" per le loro figlie, nella viva speranza che al pranzo esse potessero incantare e convincere qualche ingenuo merlotto!
Del povero Forcone, dirò nel nono episodio!
Vit
VEDI ANCHE >>>https://www.montella.eu/news/in-primo-piano/926-l-angolo-di-totoruccio-fierro
Annamaria Palatucci, figlia di Emiliano e Ermelinda Bellofatto. ha brillantemente conseguito la Laurea con 110 e lode, con menzione unanime della commissione, alla IUAD Institute of Universal Art and Design, Art direction and copywriting, in Advertising, con la seguente tesi: “Silentium a sostegno dell’infertilità: l’attività di comunicazione che vuole abbattere le domande scomode e i suoi stereotipi”.
Il MULINO SUL PONTE DELLA LAVANDARA * Tra storia, simbologia e arte di Mario Garofalo Prima di discorrere del tema di questo incontro mi sia consentito fare qualche fugace notazione sulla mostra qui esposta.
Nei quadri si coglie subito una particolarità: nessuno rappresenta il mulino in posizione isolata o in primo piano, bensì esso appare in una cornice in cui campeggiano con più marcata evidenza pittorica altri elementi paesaggistici: il ponte, il fiume, la cascata, la montagna, il santuario. Ne nasce un quadro che racchiude un paesaggio composito e compiuto, apparentemente idillico, quasi arcadico, ove nulla sembra stridere od offendere, come se l'artista avesse percepito nel suo afflato ispirativo l'esigenza di una rappresentazione nella quale dovesse apparire non il protagonismo figurativo di una singola parte, bensì la necessaria armonia di tutti gli elementi paesaggistici. Ed è proprio in tale parvenza di composizione che i montellesi di ieri e di oggi hanno sempre visto o immaginato il mulino. Provate a togliere soltanto uno degli elementi che circondano il mulino e avvertirete il senso di una mancanza, di un'assenza ingiustificata, quasi una indistinta e persistente nostalgia di un qualcosa che dovrebbe esserci e non c'è. Questo perché quei luoghi, tutti insieme carichi di una simbologia che riassume l'identità storica, sociale e spirituale dei montellesi, sono anzitutto “luoghi della memoria” collettiva, che conservano un'anima ed una voce ancestrali capaci di colloquiare, arcanamente ma familiarmente, con chi li ammira.
Il Mulino, simbolo della dura fatica dell'uomo che dalla terra cerca di ricavare, con la molitura del grano, la sostanza fondamentale per la sua sopravvivenza; e per questa sua valenza mitica da sempre rappresentato nelle arti figurative e letterarie. Si pensi, ad esempio, a due tra le più famose opere letterarie aventi come protagonista il mulino: Il Mulino sulla Floss della scrittrice inglese George Eliot, dove si consuma tragicamente la storia amorosa di Maggie e Tom, e la trilogia di Riccardo Bacchelli Il Mulino del Po, dove il mulino è spettatore e attore secolare del destino di quattro generazioni della famiglia Scacerni e della storia italiana dalle guerre napoleoniche al primo conflitto mondiale.
Il Ponte( su cui aleggia la medievale leggenda dell'etereo fantasma della lavandaia, morta per amore) simbolo di fuga, di allontanamento e di viaggio, ma anche di ritorno, di ricongiunzione ed affratellamento delle stirpi; anch'esso rappresentato nell'arte e nella letteratura d'ogni tempo: mi viene in mente il famoso romanzo dello scrittore serbo Ivo Andric, Il ponte sulla Drina: anche da quel ponte una fanciulla innamorata si gettò nelle acque impetuose del fiume.
Il Fiume, testimone del tempo e delle vicende umane che fuggono inarrestabili, che nel suo lento e monocorde sciabordio sembra ricantare o (come diceva il poeta conzano Antonio Francesco Cappone) (rim)piangere le antiche rovine, i tempi perduti e le gesta degli eroi, e per noi di Montella lo sciacquio dei panni e i canti delle lavandaie.
La Montagna, simbolo dell'ascesa faticosa della vita, rito votivo alla conquista della pace e della purezza dello spirito, che si rasserena nel mistero della fede e della Verità rappresentato dal santuario, dove terra e cielo s'incontrano.
Penso che i quadri esposti, che sono certo trasfigurazione e mimesi artistica, vadano primieramente osservati con una disposizione d'animo richiedente una contemplazione non critica o valutativa, bensì sentimentale ed emotiva. Come sosteneva Benedetto Croce, che pure è stato il più importante teorizzatore dell'estetica del XX.sec, il quale alla domanda semplice “che cos'e l'arte?” rispondeva in prima battuta, un pò celiando (ma non era una celia sciocca) che l'arte è “ciò che tutti sanno che cosa sia”, giacché tutti, anche i più sprovveduti culturalmente, possono istintivamente sentire e godere la Bellezza dell'arte, che a lui appariva sempre adombrata da un velo di malinconia.
La costruzione del Mulino risale al sec. XVI, che fu un periodo aureo per la edificazione di opifici in genere: mulini, ferriere, gualchiere ed attività ad essi affini e collegate, come armerie, tintorie, maccaronerie, forni. Diversi mulini allora vennero costruiti, per impulso ed interesse di baroni illuminati, sui fiumi Sabato, Fenestrelle, Fredane ed Ofanto. A Montella, in quegli anni, sorsero una gualchiera, una tintoria, una maccaroneria, alcuni forni e furono incrementate le attività ferriere con alcune chioderie nella zona Baruso. Nei primi anni del secolo successivo fu persino attivata, con poca fortuna, nella zona Bagno, un'armeria per la fabbrica di “moschette, archibugi e scoppette”. Nel feudo montellese, che comprendeva anche Bagnoli, Cassano e Volturara, già esistevano anticamente tre mulini, de Baruso, del Bagno ed un terzo in territorio di Cassano. A Bagnoli invece un mulino fu impiantato solo alla fine del Cinquecento. Il primo era da tempo in disuso, in parte persino travolto e disperso dalla fiumana; gli altri due, per la loro lontananza dal centro abitato, comportavano gran disagio e fatica per il trasporto del grano da macinare, che allora avveniva a dorso di asino o di mulo (per chi possedeva questo bestiame da soma!) e, più spesso, per mezzo di donne che caricavano i gravosi sacchi di grano sul capo, malamente protetto dal cosiddetto truocchio (cioè il cercine), una sorta di cuscinetto circolare formato da qualche vecchio scialle arrotolato. I pochi carri esistenti erano ancora di fattura arcaica, a due ruote e malamente assemblati; spinti a mano o trainati da asini su strade petrose e dissestate, erano fortemente instabili e poco governabili. Fu, quindi, fatta richiesta al feudatario conte Garcia II Cavaniglia, da parte del sindaco Marino de Marco e dagli eletti dell'Università, di costruzione a proprie spese di un nuovo mulino sul fiume Calore. Il 5 agosto 1564, pertanto, venne stipulato tra le parti l'atto di concessione edilizia, rogato dal notaio Giacomo Boccuti, contenente dettagliate prescrizioni tecniche di edificazione e le condizioni di licenza per l'utilizzo dell'immobile e del servizio di molitura. Il mulino, detto poi “del ponte della Lavandara”, rimaneva, come i precedenti mulini, corpo feudale, vale a dire non bene demaniale o allodiale, ma legittima proprietà del feudatario, che su di esso poteva esercitare all'occorrenza jus prohibendi. Le spese di costruzione, non di poco conto per quell'epoca, furono ad intero carico dell'Università. Per la concessione del beneficio il conte pretese 1000 ducati (corrispondenti ad attuali 16000 Euro), l'abbuono totale di un oneroso debito in danaro contratto dai suoi avi predecessori ( Diego II, Troiano II e Giustiniana de Capua) nei confronti dell'Università, dopo i fatti del 1528 relativi alla invasione del Lautrec; la riscossione in denaro del “diritto di molitura” e di parte della gabella sulla farina, da tempo istituita dall'Universita; inoltre su ogni tomolo (55,31 lit.) di grano macinato 5 tornesi netti ( 1 tornese= 0,12 cent di Euro) e la giumella (quantitativo di farina contenuto delle mani accostate insieme con le dita riunite ed incurvate verso l'alto). L'Università, le cui finanze erano allora vistosamente in rosso, dovette reperire i 1000 ducati più 100 per spese notarili, per l'assenso regio e per la registrazione catastale, ricorrendo a prestiti a tasso d'interesse fino al 10% dandone garanzia sulle gabelle comunali (farina, carni, vini e catasto). A quel tempo l'Università economicamente si reggeva unicamente sulle entrate derivanti dalle numerose gabelle e tributi imposti ai cittadini. Tra le gabelle più fruttuose era proprio quella gravante sulla farina, che dava 2440 ducati annui. Altre consistenti entrate erano assicurate dalle gabelle sul catasto (1545 ducati), sulle difese (99 ducati), sulla carne (81 ducati). Ma erano in vigore,altresì, numerosi altri tributi e balzelli. Oltre quella sui fuochi, la popolazione era angariata da una miriade di imposte applicate su ogni attività e prodotti di consumo: gli usi civici (erbatico, pascolo, pesca, glandatico, legnazione, acquatico, plateatico, portolania ecc), il sale, la pasta, la carne fresca, i salumi, il pesce, il formaggio, i latticini, la frutta, il vino, la neve, il bestiame ecc. E però il sistema gabellare prevedeva una tripartizione degli introiti, tra il feudatario, l'Università e l'appaltatore. Il maggior guadagno andava agli arrendatori, costituiti da privati cittadini o esponenti di famiglie aristocratiche o borghesi, possessori di buone finanze, che si accaparravano gli appalti. Ad esempio, sul sale percepivano una percentuale di 6 carlini a tomolo ( 1 carlino = 1,60 euro); sulla farina 7 carlini a tomolo, sulla farina lavorata per il pane 10 grana per tomolo ( 1 grano = 0,16 euro). Sulla neve (trasportata di notte dalle neviere) si versavano 4 tornesi a tomolo; sul vino bianco 20 grana, sul vino rosso 80 grana; sul bestiame si versava 1 grano a capo, se condotto a piedi, 1 e ¼ grano se trasportato su carro. Purtroppo i ducati e la sanatoria debitoria carpiti dal conte all'università per la concessione costruttiva del mulino, non sanarono certo la situazione finanziaria della casa governante, ormai ruinante verso una definitiva débacle. Garcia II Cavaniglia, uomo debole e poco incline ad una accorta amministrazione dei propri beni, continuò ad indebitarsi fino ad una insostenibile saturazione. Il suo successore Troiano III sarà costretto a svendere il feudo, determinando, nel giro di pochi decenni, anche l'estinzione del proprio casato nobiliare.
Intanto l'Università portò avanti l'esecuzione del deliberato sulla costruzione del Mulino. L'opera fu commissionata alla locale ditta edilizia di Antonio e Nunzio Pascale. La costruzione andava ultimata entro l'ottobre 1565. Il sito prescelto fu lo ponte de la lavandara dov'èi la iumarella. In quel punto, infatti, il fiume giungeva con una portata ottimale, imprimendo alle acque una energia cinetica costante, utile al funzionamento della ruota. Il capitolato d'appalto prevedeva condizioni molto precise. La casa doveva avere una lunghezza di 33 palmi (1 palmo = cm 26, quindi mt. 8,58), una larghezza di 24 palmi (quindi mt 5,84), perciò di circa 51 mq. La calata dell'acqua 17 palmi (quindi circa mt 4,50). Le mole dovevano essere reperite in contrada Serrone della famiglia Capone (Stratola) e nel bosco di Folloni, che ne abbondava, ma sulle quali il convento di San Francesco vantava antichi diritti di proprietà, in ragione dei quali sul bosco, che pur rientrava tra i corpi feudali, il conte era tenuto a pagare ai frati un censo annuo di 35 ducati circa, quasi sempre inevaso e perciò causa di ripetute liti tra le parti.
Particolarmente laboriosa si rivelò la costruzione della diga di contenimento della fiumana, dapprima in muratura e poi con pali di legno intrecciati con torte o funi. La manutenzione, ordinaria e straordinaria, della palata, frequentemente travolta dalle inondazioni fluviali, richiedeva spese ingenti (l'ingegnere napoletano Giulio Caso nel 1598 vi lavorò per 38 giorni con una diaria di 20 carlini più vitto e alloggio) ed innumerevoli giornate lavorative, che il conte, con abuso ricattatorio, richiedeva ai montellesi senza alcun onere retributivo!
Il termine palata, con un metagramma tipico del dialetto, divenne nel tempo pelata e finì con indicare propriamente la cascata (ancora oggi); ma allora voleva significare “palizzata”, o tutt'al più (con una sineddoche) l'intero sito ospitante il mulino. Improbabile mi sembra un riferimento del termine pelata all'espressioni “a pelo d'acqua” o “a pelo libero”, usate in idraulica per indicare la superficie dei fiumi a contatto con l'atmosfera.
Sull'architettura e sulla conformazione tecnica di funzionamento del mulino non mi soffermo, non avendone competenza. Di certo sappiamo che da Vitruvio a Leonardo Da Vinci la tecnologia molitoria aveva ormai raggiunto e codificato canoni e livelli ben definiti.
Il nostro mulino era in grado di macinare 130 tomoli di vettovaglie, vale a dire 7200 kg di grano. Forniva farina agli abitanti per vari usi alimentari e principalmente a forni e panetterie, in buon numero presenti sul territorio montellese, i quali, a loro volta, erano tenuti a rispettare, pena salate multe pecuniarie o sospensione e chiusura delle attività da parte del baglivo, alcune regole perentorie: affissione all'ingresso del cartello dei prezzi; in caso di carestie (ne sopraggiunse una lunghissima nel 1585) non si poteva lavorare il pane e i biscotti per lo smercio al minuto eccetto per gli ammalati; i fornai non potevano possedere mulini o commerciare farine; si dovevano approvvigionare direttamente al mulino o al mercato, solo dopo il suono della campana di mezzodì quando i cittadini si erano già riforniti, onde evitare fenomeni di accaparramento. Al rispetto rigoroso di tali regole era preposto un apposito ufficiale denominato catapano.
Il pane veniva venduto a rotolo (gr. 891,00), a libbra (gr.320) o a oncia (gr.26,7), ad un prezzo abbastanza contenuto. I ceti bassi consumavano pane di granturco (paneparruozzo), detto anche “grano d'India” o mais. Il pane di frumento, più costoso, era prescelto dalle famiglie benestanti. Durante le carestie il popolino mangiava pane di miglio o di orzo.
Il mulino ha funzionato per circa quattro secoli, fino al secondo dopoguerra. Ha vissuto perciò i vari contraccolpi determinati dalle vicende storiche italiane e i diversi momenti di crisi dell'economia nazionale. A cominciare dagli anni 1868-1884, quando la destra storica di Quintino Sella e Luigi Menabrea introdusse la famigerata “tassa sul macinato”. Questa tassa, che ebbe un effetto di ulteriore impoverimento sia economico che alimentare soprattutto delle popolazioni del Mezzogiorno, si calcolava con un metodo concepito a tutto vantaggio del giovane Regno d'Italia, allora in uno stato di disastroso dissesto finanziario. Si applicava nel mulino un contatore meccanico che numerava i giri della macina, in base ai quali si calcolava la quantità di cereale macinato e la relativa tassa. Sul granoturco si pagava 1 lira per ogni quintale macinato, sul grano 2 lire per ogni quintale; sulle castagne 0,50 cent per ogni quintale. L'imposta veniva versata in contanti o, più spesso, con porzioni di grano prelevate dal quantitativo da macinare, al mugnaio che a sua volta periodicamente la rimetteva all'esattore statale.
Durante il fascismo l'attività del mulino subì una fortissima accelerazione in conseguenza della famosa “battaglia del grano”, che Mussolini intraprese con il miraggio della autarchia e della autosufficienza alimentare della nazione. Seguì il tristissimo periodo della guerra, con le requisizioni e gli ammassi granari, il mercato nero della farina, la corruzione degli ammassatori, le misere tessere annonarie e gli assalti ai mulini, ai forni e ai municipi; e poi i bombardamenti degli angloamericani che sbriciolavano i muri e le condotte del vecchio mulino sul ponte. E, infine, le macerie dell'abbandono e della indifferenza. Finiva così la storia del glorioso mulino: brandelli di muri anneriti e coperti (o forse difesi) da una vegetazione sempre più fitta ed impenetrabile.
Ricostruirlo sarà come restituire a Montella un pezzo della sua travagliata storia e della sua anima antica.
* ( relazione tenuta a Montella,anno 2019,per conto dell’Associazione Ricostruiamo il mulino )
Sabato 1° aprile 2023 presso l’Istituto Superiore R. d’Aquino in Montella verrà consegnata
la Borsa di studio in Memoria del preside prof. Aretino Volpe all’alunno Giuseppe d’Andrea, della classe V A anno scolastico 2021-22 - I familiari del Prof. Aretino Volpe, scomparso nel 2011, hanno istituito una Borsa di studio annuale “ Alla Memoria” , da assegnare ad un alunno\a delle classi quinte dell’Istituto Superiore R. d’Aquino in Montella, che ha conseguito il miglior risultato scolastico nell’anno di riferimento .
L’iniziativa, al dodicesimo anno dalla sua istituzione , vuole tramandare il ricordo del prof. Aretino Volpe presso le nuove generazioni, nel modo più aderente ai valori che hanno contraddistinto il suo agire professionale ed umano
Per venti anni Docente di Italiano e Latino e successivamente per altri dieci anni, Dirigente scolastico presso l’Istituto superiore di Montella, Aretino Volpe ha costantemente impegnato le sue energie professionali e umane perché l’Istituto Superiore di Montella si affermasse come una scuola di qualità e d’innovazione, agenzia educativa autorevole e riferimento per le famiglie e per il territorio
Egli ha sempre creduto in una Scuola pubblica, inclusiva, democratica, capace di offrire opportunità educative a tutti gli alunni e , nello stesso tempo, saperne premiare l’ impegno e il talento. .
La sua azione è stata ampiamente riconosciuta dalla Scuola che nel 2011 gli ha intitolato l’Aula Magna dell’Istituto .
Il 1° aprile 2023 alle ore 18.300 apre Stile mania via Dietro Corte Montella Abbigliamento uomo donna VI ASPETTIAMO
Congratulazioni a Sabato Pasquale figlio di Gabriele e di Rachele Celetta . Laureato all'Accademia delle Belle Arti di Napoli a Nuove Tecnilogie dell'Arte.
Da bambino aveva tante responsabilità e due pantaloni, e scoprì che in America le strade non erano fatte d’oro. Poi Luigino ha vinto la paura e ha cannibalizzato la pallacanestro. Come? Durezza, lavoro, amore e vino buono
Montella, alta Irpinia, d’estate offre sempre uno spiffero fresco, anche quando il caldo picchia. Magari all’ombra di un castagno, del resto Montella è il paese delle castagne, ma questo non è il caso: in piazza c’è un bel cedro e alla sua ombra 2-3 cronisti: c’è una leggenda dello sport che torna in paese, l’occasione è troppo ghiotta. La leggenda arriva dopo mangiato, in maniche di camicia. Ride, si diverte, le solite domande di rito, com’è tornare, se ha mangiato bene, ci sta. Poi gli chiedono qual è il segreto del suo successo. Lui si fa per un secondo serio, acciglia la fronte, non trova le parole. Ci sta pure questo, vive negli States da oltre 50 anni e già prima parlava solo in dialetto, ma poi le trova e si aiuta gesticolando: “Well, you know, è che nui amma véncere sempre, tutt’cose. Inzomm, nui amma fa’ comm’ ‘a Juventus”. Concetto di una semplicità elementare, proprio com’è semplice vincere. Più complicata la strada per arrivarci, ma pure qui lui semplifica sempre con una frase: “Bisogna fare le cose in maniera che non possano essere fatte meglio”. È il mantra di Luigino Auriemma, per tutti Geno, leggenda della pallacanestro.
da Giulio Di Feo
Giornalista