Gli amici di Crotone ricorda Giovanni Palatucci L’ Associazione Amici di Crotone di Giovanni Palatucci a nome del Presidente Cav. Vincenzo Costa è lieta di invitarVi, il giorno 27 Gennaio 2024 alle ore 10,00 all’evento che si svolgerà presso l’ Istituto scolastico I.P.S.I.A. “ Anna Maria Barlacchi “ sito in Via Carducci a Crotone , in occasione della Giornata Memoria ( Shoah ).
Per ricordare Il Servo di Dio, Giusto fra le Nazioni e Medaglia d’oro al Merito Civile, Giovanni Palatucci ( Questore reggente la Questura di Fiume ) morto il 10 Febbraio 1945 a solo 36 anni nel campo di concentramento di Dachau in Germania. dopo avere salvato oltre 5.000 Ebrei.
Per non dimenticare sarà consegnata la “ Decima Borsa di Studio “ una tantum , agli studenti dell’omonimo Istituto vincitori del concorso dal tema :
“ Giovanni Palatucci “ Servo di Dio e Giusto fra le Nazioni “ Il Questore Buono “
Grafica e Fumettistica
indetto per l’anno scolastico 2023-204 dall’Associazione Amici di Crotone di Giovanni Palatucci.
Cordialmente
Associazione Amici di Crotone
di Giovanni Palatucci
Il Presidente
Cav. Vincenzo Costa
Giovanni Palatucci, il ricordo alla Camera dei Deputati dell'eroe di Dachau Nell’ambito delle celebrazioni per la “Settimana della memoria”, dedicata al ricordo delle vittime dell’Olocausto, si è tenuto presso la sala della Regina di Montecitorio, l’evento “Ascoltare la storia, per non dimenticare” promosso dalla Camera dei Deputati.
L’iniziativa è stata dedicata alla memoria degli esponenti delle Forze armate e delle Forze dell’ordine decorati della medaglia di “Giusto fra le nazioni”, un titolo riservato a persone non appartenenti alla religione ebraica che hanno contribuito a salvare gli ebrei durante lo sterminio nazifascista.
Per la Polizia di Stato, il primo dirigente Raffaele Camposano, che si è occupato per anni dello studio e della conservazione della storia della Polizia, ha ricordato la figura del questore Giovanni Palatucci, medaglia d’oro al Merito civile e Giusto tra le nazioni.
In servizio a Fiume come dirigente dell’Ufficio stranieri, Palatucci diventò questore dopo l’8 settembre 1943 e contribuì a trarre in salvo migliaia di ebrei, destinati alla deportazione e alla morte certa. A causa di una delazione fu arrestato dai nazisti, accusato di tradimento e deportato nel lager di Dachau, dove, dopo quattro mesi di torture, morì di stenti a soli 36 anni, il 10 febbraio del 1945.
Passa il Natale ma l'egoismo rimane . E' passato Natale, il periodo più importante per le feste della nostra religione, un periodo di generosità di scambi di regali, di buoni propositi per il futuro, tutto quello che ogni Natale quando eravamo bambini promettevamo scrivendo una letterina ai nostri genitori, da leggere prima dell'inizio del pranzo natalizio. Le belle intenzioni, le grandi promesse, però in pratica, durante il nuovo anno, molte volte, queste venivano in parte disattese, e perché? Perché tutti noi umani abbiamo un gravissimo difetto insito nel nostro DNA, siamo egoisti. Ed è da questo difetto che scaturiscono tutti i problemi dell'umanità. A sostegno di questo posso descrivere il comportamento egoistico di bimbi piccolissimi, che non essendo ancora in grado di parlare e di riflettere su il loro modo di essere, si litigano le prime cose necessarie alla loro vita e sopravvivenza: il ciucciotto, il cibo, i giocattoli, e altre cose che a noi sembrano banali. Crescendo, questo grosso difetto viene limitatamente tenuto a bada e sotto controllo dallo sviluppo dell'intelligenza, ma negli adulti rimane alcune volte rovinosamente a prevalere sulla ragione. Anche le società, giuste, o sbagliate, che gli uomini in tutto il mondo si sono costruite, inducono ad agire a favore degli interessi personali e delle stesse loro comunità, provocando da sempre conflitti insanabili e guerre, anche fraticide. Nei paesi dove le leggi si ispirano alla migliore delle democrazie, si riscontrano delle gravi incongruenze, disuguaglianze, ingiustizie. Il comunismo, ( predicato anche da Gesù Cristo), nato da una rivoluzione del popolo affamato dagli Zar possessori di immense ricchezze e edificatori di cupole d'oro, è rovinosamente crollato, perché le parola comunismo è l'opposto di egoismo. Nel mondo prevale oggi il capitalismo, basato su un consumismo sfrenato, che si manifasta, sempre, ma in particolare in occasione delle feste natalizie, usate allo scopo di far girare l'economia, sotto la formula: + consumo + lavoro + ricchezza, insomma, il gatto che cerca sempre più velocemente di mordersi la coda, senza riuscirci. Però alla fine di questo ciclo, che io definirei perverso, la ricchezza va a finire quasi sempre completamente tutta nelle tasche di pochi uomini società di uomini, che inevitabilmente, lasceranno la stragrande maggioranza delle popolazioni mondiali nella povertà o costretta a vivere alla giornata fra mille espedienti. E' risaputo che chi più ha, più vuole avere, e non è egoismo questo? Sarà difficile, prima controllare, e poi, indurrre a un cambiamento radicale questo ingiusto sistema, perché tenuto in piedi, sviluppato e consolidato dagli uomini più potenti della terra, capaci con le loro politiche furbesche e i loro enormi arsenali e armamenti di contrastare qualsiasi movimento contrario ai loro interessi, invadendo anche, come sta avvenendo da più di un anno in Ucraina e oggi con il conflitto israelo-palestinese, che coinvolgono popolazioni civili con tanti morti e danni materiali incalcolabili. Vogliamo dire che il Natale è una festa di serenità, di solidarietà, di fratellanza, però non per tutti, e subito dopo torniamo alle solite meschinità e ai soliti egoismi di sempre. Un problema è quasi sempre legato ad un altro problema, e cioè quello attualissimo dei cambiamenti climatici, indotto, a mio avviso da questo sistema molte volte predatorio e non curante delle catastrofi e dei danni, che in futuro potrà provocare. Molte volte le guerre fra popoli e nazioni scoppiano per contendersi territori o porzioni di questi, in modo allargare i domini la dove ci sono ricchezze e grandi risorse naturali. Rispetto al tempo infinito, la lunghezza della nostra vita non è che meno di niente, e allora perchè per così poco, dobbiamo essere sempre egoisti, con noi e con i nostri simili ?Sperando sempre in un mondo migliore per tutti, in cui l'egoismo sia tenuto sotto controllo in modo positivo dal buon senso, non mi resta che augurare ai lettori credenti e non credenti, un futuro di pace di salute e di serena convivenza. Per montella.eu
Graziano Casalini
La Repubblica : ALTERGON ITALIA È LEADER IN EUROPA NELLA PRODUZIONE DI CEROTTI MEDICATI HYDROGEL, DRUG IN ADHESIVE E ODF. PARLA L’AMMINISTRATORE DELEGATO SALVATORE CINCOTTI Un’eccellenza della farmaceuticache coniuga il rigido rispettodelle norme e dei principietici che regolamentano laproduzione del farmaco con l’attenzioneall’innovazione ed alla ricerca scientifica.Si tratta di Altergon Italia, natanel 2001 dalla decisione dell’aziendasvizzera Altergon SA di dare vita ad unaattività produttiva e di R&D sul territorioitaliano.
A raccontare questa realtàinnovativa, leader europeo nella produzionedi cerotti medicati hydrogel, Drugin Adhesive e Film Edibili a rilascio sistemico(ODF), interviene l’amministratoredelegato Salvatore Cincotti: «A 24anni sono andato a lavorare in Svizzerae dopo 15 anni ho deciso d’investire nelmio territorio d’origine. Era un progettoa rischio, con tecnologie da svilupparein Irpinia ma nate in Asia. Per questol’incentivo pubblico da finanziamentieuropei è stato fondamentale in unaprima fase». E prosegue: «Oggi abbiamopiù di 300 dipendenti, con il 40% dilaureati e il 10% di PhD, ed esportiamo il95% dei nostri prodotti». Il sito produttivoè ubicato a Morra de Sanctis (AV),su un’area di circa 65.000 mq compostada 4 stabilimenti produttivi, 3 laboratoriR&D, 2 impianti pilota (biotech e cerottimedicati), un moderno Controllo Qualità,un magazzino intensivo automatizzatoda 7.000 posti pallet e un centroservizi generali.
I PUNTI FORTI
L’Ad è sicuro dei punti forti dell’azienda:«Siamo tra le pochissime aziendeal mondo autorizzate per la matriceHydrogel e per l’Acido Ialuronico siamounici nel top qualità. Sono contento chenella zona del cratere dell’Irpinia sianata un’iniziativa così spiccatamente disuccesso che sfida alla pari i concorrentimondiali». E aggiunge: «Nel tempo gliincentivi, utili a superare le costose barriered’accesso al settore, hanno lasciatospazio a partner e giovani che hannodeciso di restare a lavorare nel proprioterritorio. La chiave del nostro successoè nelle persone che abbiamo inserito,formato e attratto in azienda». Non solo:«Puntiamo a far rientrare collaboratoriche hanno lavorato in Italia settentrionaleo all’estero. Nella nuova finanziariail governo ha deciso di non incentivareil ritorno di cervelli, che per noi inveceaiuterebbe le aziende e tutti i giovaniche dal Sud sono andati all’estero. È undisincentivo a tornare nelle loro zoned’origine, oltre a essere professionalitàche a noi richiederebbero anni di formazione». Altro elemento del successoè l’attenzione per il personale: «Chi trovalavoro da noi resta qui. Stiamo aspettandoi permessi, ad esempio, per costruireun asilo nido per circa 60 bambini. Anchequesto serve per attrarre personaleche possa portarci un plus».
IL NUOVO PROGETTOIl motore dell’attività sono le partnershipcon le istituzioni di ricerca: «collaboriamopraticamente con tutti icentri universitari nel nostro settore diricerca». E conclude: «Stiamo lavorandoall’industrializzazione di una tecnologiabrevettata per microaghi, in collaborazionecon l’Università Federico II di Napolie tecnici del CNR. Una volta messa apunto porterà molti vantaggi, si pensi allasomministrazione dei vaccini. Si trattadi nanotecnologia per la somministrazionedei farmaci, con un microago cheli rilascia in maniera controllata e coneffetto sistemico. Contiamo entro 2-3anni di arrivare a una scala industrialeimportante».Per informazioni: www.altergon.it
Guardia Medica Azzoppata - Ciao Vittòrio! Prima di scriverti ti voglio preavvertire che probabilmente qualche lettore che mi darà l’onòre di leggere queste chiacchiere fra noi, sbotterà con scalpore paesano: “Ma sto…..re prèsite parla sulo re fatti ca capitano a ìsso! Si sente no magalòmano, chi se ne fotte re li uài sua!” (traduciamo per qualche strànio che non capisce: “Ma sto prèside parla solo dei guai che gli capitani, ma con tanti che ne abbiamo, chissenefréga!”. Ma no! Vittòrio, tu sai che le EPISTOLE che ti scrivo non hanno gradevole volatilità fantasiosa, ma portano fatti reali di casa nostra che solo per un …càso son capitati a me, ma possono capitàre a ttùtti! Come vèdi mi son giustificato di fronte al pubblico con moderato ricorso al sociologismo del politicamente corretto (per come lo pronunziano “sociologismo” mi verrebbe da scriverlo con due “g”).
Sparo il problema: essendo chiuso lo studio del mio medico, sabato 13 gennaio , presento alla guardia medica la prescrizione di analisi cliniche prescritte e sottoscritte da un noto specialista. Il medico con molto garbo, mi dice che può limitarsi solo a prescrivere medicine, non analisi (solo per evocazione di colleganza professionale l’anno scorso una dottoressa si è rifiutata di mettere il catetere in situazione di conclamata necessità, perché non le competeva, mentre un provvidenziale infermiere della MISERICORDIA accorso dopo una nottata di tribolazione l’ha egregiamente installato evitando il peggio…Non posso aggiunger altro).
Nel caso di sabato scorso il dottore guardia medica, non si è rifiutato, ma mi ha gentilmente informato che non poteva prescrivere all’ASL le analisi, per disposizioni dall’alto. Vallo a trovare questo ALTO: il Padreterno o qualche altro inquilino illustre dell’ALTRO MONDO? Se ti trovi in un’emergenza del genere di sabato, non ne parliamo di domenica, questo ti regala quell’ALTO! E questa è la nostra sanità declinata e declamata “eccellente” con particolare ricalco vocale, dal nostro governatore cui in ultima analisi fa capo la nostra sanità. Al lume della mia modesta logica normale, direi banale, non capisco perché un medico fornito di laurea non farlocca, possa prescrivere medicinali ma non analisi peraltro suggerite “autorizzate” da un collega specialista.
La “eccellenza” di De Luca mi fa vedere una maglia di sacco con nodini d’oro isolati sparpagliati brillanti qua e là, irrelati: non virtuosamente connessi in una efficientante (quant’è brutto!) struttura organica d’insieme. Il filato dovrebbe essere unico: lo stesso.
Amico Vittorio, già sai che la mia lagnanza, per quello che può valere nel nostro “sistema”, la mando anche ai “capezzoni pesanti” che tengono lo stèrzo del paese e ci tirano a capézza; la mando al mio solito come fosse un “razzo a ricerca di calore”, che a volte coglie però! Si può trovare qualche “calorosa mano pulita” che…fa piazza pulita, (non dimentichiamo la bonifica storica di un gruppo di giudici che azzerò, anche se per poco, la politica politicante che sembrava immortale). A volte ‘sto ràzzo coglie e mi faccio pure “li nimìci”. E per questo mica mi metto il lutto! Mica perdo voti!
Mi pare Musolìno dicesse: “Molti nemici, molto onore!”, condivido…ma a sto punto sicuro esce lo scarapàppolo che stava in agguato: “Lovillòco lo prèsito s’è mostrato quello che è: “No fasccìsto!”
Giuseppe Marano
Interessante intervista da parte del noto giornalista GENZALE al non meno noto clinico SORRENTINO, sulla situazione critica della nostra situazione sanitaria nonostante tante “eccellenze” purtroppo isolate.
https://www.francogenzale.it/Paolo-Sorrentino-l-Epatologo-con-il-pallino-della-Ricerca
Come te la scuòrdi ‘sta ‘Mmacolàta?! di Giuseppe Marano Caro Vittòrio! Scusa se ti scrivo ogni mòrta re papa (tra parèntesi: a Suorio dicono mòrta, a la Chiàzza dicono morte! Ricchezza linguistica. Almeno quella!); tu sai che non ti scrivo a bèllo ggènio, quànno mi schòcca ‘ngàpo, ma solo quando succede ‘na cosa gròssa, che può essere un po' importante e utile pure per gli altri;
non mi interessa la lagna personale (la nostra letteratura strabocca di piagnisteo!).
Ma veniamo a noi: come te la scuòrdi ‘sta ‘Mmacolàta?! L’ 8 dicembre scorso.
Te la faccio corta: dopo aver preso una comprèssa non riesco più ad andare a bagno: blòcco urinario. Due di notte. Mi vedo perso.
Che fai? Solo chi c’è passato può capire. “Qua sotto c’è la guardia medica!”. Ci vado subito. C’è una giovane dottoressa, espongo il problema sottolineando la necessità impellente di un catetere e subito mi gela: Non posso metterlo(!) dovete andare al Pronto Soccorso più vicino.
E chi t’accompagna? Nessuno in famiglia è in condizione di accompagnarmi, e non sentendomi di guidare, chiamo un amico che svolge servizio di accompagnamento co la macchina, ma lui e tutti gli operatori purtroppo sono impegnati.
Mi vedo costretto a…portàrmi da solo al PRONTO SOCCORSO più vicino: Sant’Angelo Lombardi, ove mi apre un infermiere giovane il quale sentendo il mio accidente mi gèla per la seconda volta: non c’è il reparto di UROLOGIA, però, avvertendo l’urgenza del problèma, sembra improvvisamente disponibile a mettermi il catetere, MA un vocione, con inflessione vocale velletariamente partenopea, lo sorprende alle spalle: “E chi s’ ’a pìgl’ ssà rescponsabilità!?” (= “e chi si prende questa responsabilità!”): dev’essere un collega più anziano che dall’interno quasi lo rimprovera. “Deve andare al PRONTO SOCCORSO, a Ariano o Avellino!”.
Questo il secondo “soccorso”: quello di Santàngilo.
Non ce la fàccio a replicare e, devo anche cercare di tranquillizzare il familiare che m’accompàgna. Un’altra stampìta per Avellino? E chi ce la fa!
“A pena” (il caso di dire) faccio ritorno a casa dove un familiare chiama il Servizio Infermieristico H 24 (!) per avere un operatore a domicilio, risposta: “Signò so’ re quàtto re notte!”, a significare l’antifona: “Ma tu ha’ pèrsa la capo!”= nessun operatore disponibile, nonostante la formula chimica: H24.
Chiamiamo il 118: miracolo, un barlume di voce umana accorda l’invio di un’ambulanza che dopo poco arriva, due infermieri professionali, compìti, svolgono con cura il loro intervento.
Il mio ringraziamento va a loro.
Eccezione alla sofferta regola: vilipendio della sofferenza.
Caro Vittorio se la sincerità è per gli amici, ti ho scritto senza alcuna speranza…migliorativa; per carità le dovute eccezioni sono d’obbligo: <<exceptis excipiendis>> = …fammelo dire in latino, se no, che l’ho studiato a ffà per tant’anni? Per scoprire la “luna re Nàpoli”? -come dicevano i mitologici sorevesi di Nànzi la Cupa.
Mi stavo dimenticando un piccolo corollario. Qualche giorno fa vicino alla posta incontro un vecchio amico: -Come stai Peppì?- Come non raccontargli la fresca storiella. Segue il mio racconto non meravigliato, e sono io che me ne meraviglio; mi dice: -Mi fai rivivere quello capitato a mio padre 28 anni fa stesso posto. Non c’era chi gli mettésse un catetere! Dovetti accompagnarlo ad Avellino!- Mentre parlava ricordavo un detto nostrano: “Guard’ a li uài re l’àti ca s’addòrcano li tua”, scoprendone l’egoismo di fondo: l’insensibilità o meglio il sollievo per i mali altrui!
Sparo qualche bbòtta di ricorso, esposto-colpo a ricerca di calore ai… Capaddòzi? Ma che ne cavo, povero féssa! I Di Pietro, i Borrelli & C. che fine hanno fatto? Saranno cancellati dalla storia perché colpevoli di essere anticorpi.
Qua non ce vòle la zéngara o un principe del foro per capire che sono stato, con pregnanza simbolica, vittima di “omissione di soccorso”, ma non da parte di un passante che mi trova a terra, ma da un servizio nazionale che deve soccorrere la tua salute. Caro Vittorio, ma…a che gioco giochiamo?!
Ti saluto aff.te
Giuseppe Marano
Finanziamento a fondo perduto per aziende agricole - PNRR - MISSIONE 2 COMPONENTE 1 (M2C1) Investimento 2.3 – Innovazione e meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare Sottomisura - Ammodernamento dei macchinari agricoli che permettano l’introduzione di tecniche di agricoltura di precisione.
Obiettivo
L’investimento 2.3 sottomisura “Ammodernamento dei macchinari agricoli che permettano l’introduzione di tecniche di agricoltura di precisione” prevede l’erogazione di un contributo in conto capitale a fondo perduto per l’ammodernamento dei macchinari agricoli, da destinare alle imprese agricole e alle imprese agro-meccaniche ai fini di un complessivo ammodernamento del parco macchine in coerenza con la diffusione delle migliori tecnologie disponibili che consentono un minore impatto ambientale del settore agricolo. L’investimento guarda, altresì, ai cambiamenti climatici in atto che rendono sempre più frequenti le emergenze legate a stati di siccità che coinvolgono anche il settore agricolo le cui produzioni di qualità dipendono strettamente dalla possibilità di irrigare le colture, in particolare proprio quelle a maggiore valore aggiunto.
Descrizione degli interventi
Sono ammissibili i seguenti investimenti:
Il Natale e una storia di Miseria di Graziano Casalini - Una vecchia storia di Natale, era l'anno 1950, io avevo otto anni, vivevo con i genitori e mia sorella più piccola, che aveva solo cinque anni, in una antica casa in affitto nella bella campagna, sulla riva destra del fiume Arno, in un piccolo borgo chiamato Osteria, tagliato in due dalla via provinciale Lucchese o Francesca, che collegava il paese di Empoli a quello di Fucecchio, in Toscana, i due centri più vicini facilmente raggiungibili con i mezzi allora disponibili, quasi esclusivamente biciclette, motorini "mosquito", qualche rarissima auto "topolino o balilla" alcune motociclette, poi i barrocci trainati da un cavallo usati per ogni tipo di trasporto merci e i mezzi agricoli, carri trainati dalle vacche ad uso esclusivo dei contadini per il trasporto da e per le coloniche di tutto quello che erano i raccolti dei poderi e i vari attrezzi per lavorare la terra. Alcune carrozze decappottabili e piccoli calessi, in dotazione alle famiglie di ricchi proprietari terrieri si vedevano transitare in modo spettacolare, per noi piccoli bambini, sulla via provinciale, suscitando quella che oggi si definirebbe invidia.
La grande maggioranza dei compaesani viveva con ciò riusciva a produrre nella coltivazione dei terreni col sistema allora molto diffuso della mezzadria. Dopo la seconda guerra mondiale, la miseria attanagliava più o meno tutte le famiglie paesane, soprattutto quelle non impegnate in agricoltura, i lavoratori delle fabbriche erano quelli che dovendo comprare di tutto, soprattutto il cibo, ma anche il rimanente necessario per vivere. Le fabbriche non si erano ancora riprese del tutto dall'evento bellico, e gli operai dovevano per alcuni periodi rimanere disoccupati. In alcune famiglie anche le donne, oltre che alla cura della casa cercavano di guadagnare qualcosa facendo le trecciaiole o le rivestitrici di fiaschi. Comunque, insieme alla povertà c'era tanta tantissima dignità, e non passava giorno che anche il più miserabile del paese, si facesse vedere ben vestito alle varie feste religiose, messe e funzioni varie celebrate dal nostro Parroco nella bella Chiesa di S.Maria Assunta, oppure alla Casa del Popolo " il diavolo e l'acqua santa" dove oltre alle riunioni di partito, vi erano tutte le sere appassionate discussioni sulle varie partite di calcio di cui si ascoltavano le radiocronache la domenica pomeriggio.
Un giorno alla settimana, si riunivano i tanti cacciatori a raccontare ognuno le proprie avventure venatorie, c'era poi il solito gruppetto di giocatori incalliti che per poche lire passavano ore e ore a giocare a carte e a biliardo, quasi tutti fumavano le sigarette di allora, senza filtro oppure fatte a mano con la scatoletta del tabacco e le cartine, riempiendo il locale di fumo che rendeva l'aria quasi irrespirabile. Gli unici due principali ritrovi dove distrarsi e dimenticare le fatiche delle lunghe giornate di lavoro, erano frequentati da tutti i paesani. La domenica in chiesa, alle tre o quattro messe del mattino, partecipavano indistintamente oltre alle donne, anche moltissimi uomini. Per dare una idea della povertà, nei due negozi di alimentari, uno privato, l'altro gestito dalla Cooperativa di Consumo, nessuno pagava la spesa giornalmennte, si usava scrivere gli importi su un doppio libretto e pagare o con degli acconti ogni tanto, o a saldo quando capitavano i periodi migliori per quanto rigurdava i raccolti dei contadini, o un lavoro continuativo per gli operai. Le grandi feste, specialmente il Natale, il Capodanno, l'Epifania e la Pasqua, erano quanto di più bello ci poteva essere per noi bambini. I nostri genitori, nonostante la miseria, cercavano in quei giorni di non farci mancare niente, anche se per loro era molto ma molto difficile. Alcune cose: oggetti, giocattoli, dolciumi, si vedevano molto di rado, però per Natale nonostante le ristrettezze economiche in cui si trovavano la maggioranza delle famiglie, non mancava qualcosa che ci potesse far divertire e rallegrare.
Si preparava una specie di albero di Natale, un ramo di pino o di qualche altra pianta sempre verde, piantato nel terriccio di un vaso, con sotto una cassetta di legno vuota foderata con dei ritagli di stoffa, cassetta che sarebbe servita la notte di Natale al Babbo, quello vero, per depositarci dentro, le poche cose che avremmo voluto avere anche durante gli altri giorni dell'anno. Un piccolo giocattolo di lamiera, una pistola a fulminanti, un fucilino col sughero, una moto con carica a molla, o una bambolina, completa di accessori per cucire, piccoli recipienti stoviglie e finti fornellini per cucinare, o piccoli utensili da parrucchiera, per le femminucce e poi la frutta, qualche arancia, qualche mandarino o dei fichi secchi. I dolci semplici tipici natalizi toscani, i cosiddetti cavallucci, poche caramelle, cioccolatini, torroncini si trovano appesi qua e la sull'albero.
La mattina di Natale, il suono a doppio delle campane, cominciava a creare l'atmosfera natalizia, ci si svegliava prima del solito per correre a vedere cosa ci aveva lasciato Babbo Natale nella notte. Eravamo contentissimi anche se quello che si trovava era poco rispetto a quello che avremmo voluto. Insieme a miei primi alberi di Natale, io facevo anche un piccolo presepe, costruendo la capanna della nascita, la stella cometa, le casette, le montagne, il cielo stellato, la campagna con tanto di stradine inghiaiate, il fiume, la cascata, il ponte, il mulino, il laghetto con un pezzetto di vetro o di specchio, tante piccole piante, il prato fatto esclusivamente da muschio fresco raccolto nei boschi vicini, il tutto sul piano di un piccolo tavolo. Per la preparazione dei vari soggetti, capanna, case, ponti, rocce, usavo vecchie scatolette di cartone, stecche di legno ricavate dalle cassette della frutta, tronchetti ricavati dalla potatura delle viti e degli olivi.
Congratulazioni a Onorina Cianciulli e a Innocenzo Di Genova per la Laurea in Ingegneria Biomedica conseguita dalla figlia Federica Di Genova, Università degli studi di Napoli Federico II°
V.S.
Congratulazioni ad Antonio Dragonetti, figlio di Walter e Loredana Bosco , ha conseguito presso L'Università di Salerno la Laurea in Scienze Ambientali.
Una storia di eccellenze tra Svizzera e Sud Italia, dove è quest’ultimo a brillare, con un centro di ricerca e sviluppo all’avanguardia e guardato con ammirazione da tutto il mondo.
Parte dall’intuizione di Salvatore Cincotti, amministratore delegato e socio fondatore di Altergon Italia, una realtà che nel bel mezzo dell’Alta Irpinia è riuscita a dare lavoro a più di 300 persone: un’opportunità rara per lo sviluppo del Meridione, grazie ad un’azienda farmaceutica che punta sulla qualità assoluta e su metodi rivoluzionari (e brevettati) nel campo delle applicazioni transdermali e delle biotecnologie industriali.
Non solo: la componente umana è altrettanto importante e con il 40% di laureati e numerosi PhD, a Morra de Sanctis si è creato un vero polo di cervelli e personale altamente specializzato che dimostra concretamente che è possibile fare impresa e ricerca di alto livello anche in territori “diperiferia”.
“Collaboriamo attivamente con varie Università del Sud Italia” ci conferma Cincotti, che sottolinea il valore del distretto “Campania Bioscience” (della cui nascita è uno dei responsabili), che vede la partecipazione di 91 Imprese dei settori farmaceutico, agroalimentare e cosmetico, insieme ad importanti realtà accademiche come l’Università Federico II e Centri di Ricerca specializzati (TIGEM, CEINGE e BIOGEM). Questo ha permesso una forte accelerazione nell’ambito del Biotech, con un sistema di borse di studio per gli studenti svantaggiati e più meritevoli che porta, in moltissimi casi, ad un’assunzione diretta.
Non solo laureati e titolari di dottorati (percorso nel quale vengono attivamente assistiti da Altergon) ma anche diplomati in materie scientifiche ed economiche, chimici, meccatronici, inseriti in un contesto che li valorizza umanamente e professionalmente.
Proprio per questo motivo Cincotti confessa il suo rammarico per l’annunciata riduzione degli sgravi fiscali per il “rientro dei cervelli”, a fronte di molti ricercatori e personale con altissime competenze sviluppate in prestigiose realtà estere che tornerebbe molto volentieri nel nostro Paese, arricchendo con la loro esperienza internazionale tutto l’indotto. Altergon è riuscita ad affermarsi sui mercati mondiali con l’altissima tecnologia dei suoi impianti e processi e grazie ad una strettissima collaborazione col mondo accademico e della ricerca, pur operando da una zona interna del mezzogiorno d’Italia dove non esisteva alcuna “cultura” per questo settore. Ecco perché la “scommessa” di Cincotti e dei partner svizzeri è stata decisamente vinta, a dispetto delle perplessità di molti, ma non di Arturo Licenziati, Presidente di IBSA –Institut Biochimique SA, che fin da subito ha deciso di credere al progetto di investire in Irpinia con l’ambizione di realizzare un centro di rilevanza mondiale. Un percorso che nasce da lontano: Cincotti ha una lunga esperienza internazionale, dalla Cina alla Svizzera, dove nel 2000, entra a far parte del gruppo IBSA-Altergon, creando dopo due anni Altergon Italia e compiendo una scelta controcorrente rispetto alla delocalizzazione verso i paesi in via di sviluppo imperante in quegli anni.
Altergon Italia è oramai un punto di riferimento sul mercato italiano ed internazionale, leader in Europa nella produzione di cerotti medicati Hydrogel e di acido ialuronico altamente purificato, un componente dei tessuti connettivi, impiegato in medicina nelle patologie degenerative o traumatiche delle articolazioni o nel settore della dermatologia estetica.
Soprattutto il primo ambito ha avuto un grande sviluppo, anche sotto forma di film orodispersibili, dove il know-how del Gruppo italo-svizzero gioca un ruolo importante, grazie anche ai continui investimenti sia in Ricerca&Sviluppo che in nuovi siti produttivi dotati delle tecnologie più avanzate. Il sito campano è ubicato su un’area di circa 65 mila mq e può contare su 6 reparti produttivi, magazzini automatizzati, un centro perl’R&D ed è stato oggetto di ingenti investimenti, a partire dal 2006, che, al termine della nuova tranche da 50 milioni di euro del contratto di sviluppo realizzato con InvItalia, prevista nel 2026, avranno raggiunto la cifra di 180 milioni di euro.
La modalità prevede, come sottolinea orgogliosamente Cincotti, una suddivisione tra 1/3 di mezzi propri, 1/3 di indebitamento bancario ed 1/3 proveniente da incentivi pubblici per l’utilizzo di fondi europei, sia attraverso strumenti regionali che nazionali
Consegna Borsa di studio In memoria del prof. Aretino Volpe, preside - Mercoledi’ 20 dicembre 2023 alle ore 18.00 presso l’Istituto Superiore R. d’Aquino in Montella verrà consegnata la Borsa di studio in Memoria del preside prof. Aretino Volpe all’alunna Giulia Sansone , della classe V E anno scolastico 2022-23 I familiari del Prof. Aretino Volpe, scomparso nel 2011, hanno istituito una Borsa di studio annuale “ Alla Memoria” , da assegnare ad un alunno\a delle classi quinte dell’Istituto Superiore R. d’Aquino in Montella, che ha conseguito il miglior risultato scolastico nell’anno scolastico di riferimento .
L’Alunno\a destinatario\a del premio di mille euro concesso dai familiari del Preside Aretino Volpe viene individuato \a dall’Istituto Scolastico superiore di Montella
L’iniziativa, al tredicesimo anno di istituzione , vuole tramandare il ricordo del prof. Aretino Volpe presso le nuove generazioni di alunni nell’Istituto scolastico statale “R. d’Aquino “ che lo ha avuto per venti anni come Docente di Italiano e Latino e successivamente , per altri dieci anni, come Dirigente scolastico , contribuendo perché l’Istituto si affermasse come Scuola di qualità e d’innovazione, agenzia educativa autorevole e riferimento per le famiglie e per il territorio
La Borsa di studio vuole ricordare Aretino Volpe nel modo più aderente ai valori che hanno guidato il suo agire professionale :l’aver sempre creduto in una Scuola pubblica, inclusiva, democratica, capace di offrire opportunità educative a tutti gli alunni e , nello stesso tempo, saperne premiare l’ impegno e il talento.
La sua azione è stata ampiamente riconosciuta dalla Scuola che nel 2011 gli ha intitolato l’Aula Magna dell’Istituto .
V.S.
flashPietro Sica, nato il 23 ottobre 1944, è il primogenito di tre figli. Originario di Montella, il suo nome completo è Pietro Renato Carmelo, ma, a causa delle trasformazioni dialettali locali, è conosciuto da familiari e amici con il secondo nome Renato.
La sua storia inizia nel 1955, quando completa la "laurea" dell quinta elementare. Nonostante la famiglia decidesse che non dovesse continuare gli studi tradizionali, Pietro viene inviato a imparare un mestiere e finisce per lavorare come sarto grazie a un parente.
Grano, farina, mugnai e mulini di una volta. Finalizzata al ricavo e alla produzione della farina, la macinazione del grano e degli altri cereali in origine esigeva un lavoro manuale duro e defaticante nonché strumenti che nel corso dei secoli sono evoluti fino alla “scoperta” del “molitura” vale a dire all’ attivazione e allo sfruttamento di un lavoro meccanico prodotto inizialmente dall’uomo, poi dalla spinta di un animale e, in epoche successive, dalla energia dell’acqua e del vento prima e dall’energia elettrica poi.
In origine per la macinazione del grano venivano usati i mortai di pietra entro i quali si frantumavano i chicchi dei cereali attraverso pestelli, anch’essi di pietra o legno duro, oppure il grano veniva macinato attraverso rulli che, a mano, si facevano rotolare su una base di pietra.
Derivante dal latino “mola-molae” quella pietra venne denominata “mola” da cui discende poi il termine “mulino” o “molino”; il termine “mola”, nella sua globalità, sta dunque ad indicare una strumentazione che produce un lavoro meccanico utile sia per la macinazione di cereali e sia per la produzione di farina o di altre materie prime.
Poiché nell’antichità i mulini o le macine per funzionare avevano necessità della forza umana o animale qualcuno riferisce che, “in modo non corretto”, la parola “mulino” possa derivare da “mulo”.
Per estensione il termine “molendinum” (proveniente da “mola”) designò anche la struttura e l’edificio che ospitavano la strumentazione della macinazione del grano e pertanto il conduttore del mulino fu chiamato “mugnaio“.
Al di là di queste sottigliezze etimologiche, c’è da rimarcare il fatto che con il passare del tempo per la molitura si cominciarono a costruire specifiche “strutture” funzionanti con la sola forza dell’uomo e degli animali i quali azionavano le macine, ovvero pietre discoidali affacciate e messe una sopra l’altra di cui, una fissa e l’altra rotante intorno al suo asse centrale.
Quel tipo di macinazione rimase pressoché invariata fino a quando fu introdotto un impianto tecnologico per il cui funzionamento si sfruttava sia l’energia dei corsi d’acqua sia quella del vento, “energie naturali” queste che, in epoche successive, furono sostituite – in un prima fase – con il vapore e – in un’epoca successiva – con l’elettricità per la cui utilizzazione fu poi possibile sviluppare impianti tecnologici più evoluti che consentirono l’impego di macchine decisamente più moderne e funzionali.
E’ fuor dubbio che storicamente il vetusto mulino (sia ad acqua che a vento), nelle sue espressioni più complete, costituisce, a mio avviso, una tra le massime invenzioni tecnologiche non solo dell’antichità, ma anche e soprattutto dell’età medievale e moderna, periodo in cui esso si presentava come una meravigliosa macchina tuttofare soprattutto se considerata nei suoi vari e differenziati impieghi in cui viene a operare.
Apparentemente il funzionamento di un mulino ad acqua non sembra complesso e la sua straordinaria semplicità è essenzialmente nella forza dell’acqua che, scorrendo o cadendo dall’alto, imprime un movimento rotatorio a una grande ruota di legno munita di ampie pale; quella ruota muove appositi ingranaggi che trasmettono un moto circolare ad una macina di pietra, la quale, a sua volta, ruotando sulla pietra fissa, tritura i cereali.
Resta il fatto che le vicende storiche del mulino azionato dall’energia idraulica nei primi secoli della sua storia sono alquanto frammentarie e poche sono sia le fonti storiche e sia le testimonianze archeologiche ad esso riferite.
Marco Vitruvio Pollione, vissuto nella seconda metà del I secolo a.C. è il teorico dell’architettura più famoso di tutti i tempi ed è lui che parla di mulini ad acqua,
Nel suo “Trattato d’architettura” Vitruvio, dopo aver descritto alcune ruote per il sollevamento dell’acqua, è il primo scrittore romano che (nella prima età augustea e più precisamente intorno agli anni 16-15 a.C.) parla del mulino mosso dall’energia idraulica.
Egli descrive certe ruote costruite sui fiumi le quali, poiché provviste al loro perimetro di pale e colpite dall’acqua, già nell’antica Mesopotamia, le fanno ruotare per semplice spinta della corrente senza ricorrere al peso dell’uomo.
E’ comunque fuor dubbio che l’invenzione del mulino a ruota d’acqua (sia verticale che orizzontale) è avvenuta attraverso molteplici passaggi e successivi modifiche.
E’ noto che la sua diffusione sia avvenuta per gradi, prima nei regni di cultura ellenistica e poi nelle rimanenti terre del mondo romano con preferenza in quelle dotate di grandi fiumi non a carattere torrentizio.
E’ altresì noto che fu comunque durante il Medioevo che l’impiego dei mulini ad acqua diventò comune ed è documentato che ordinariamente i signori feudali riservavano a se stessi il diritto di impiantare mulini traendo da questa sorta di monopolio un reddito, a danno della popolazione, di molto cospicuo.
Con il trascorrere del tempo la tecnica funzionale dei mulini si evolve e alla fine, rispetto ad altri sistemi, si perfezionarono e si consolidarono due tipi di mulino: quello a ruota verticale e quello a ruota orizzontale.
La fortuna e la diffusione del mulino ad acqua nel corso dei secoli è stata dunque crescente e venne un po’ meno, ma non fu subito incrinata, nella seconda metà del XVIII secolo, quando lo scozzese James Watt costruì nel 1782 la prima motrice rotativa a vapore per mulino da grano.
Da quella scoperta nacque così, dopo alcune incertezze, il “mulino a vapore” che nel corso del XIX secolo e ancor più nel XX secolo, finì gradualmente per soppiantare (unitamente all’impiego del laminatoio) il mulino ad acqua o a vento.
Successivamente, con le molte scoperte sull’elettricità avutesi già nel XIX secolo, avvenne che con la scoperta dei “motori elettrici” – all’inizio del Novecento – l’elettricità sostituì progressivamente le altre e varie forme energetiche (per esempio quella del vapore, da gas illuminante, da carbone, ecc. ecc.) per cui fu l’elettricità ad alimentare (appunto con l’introduzione dei motori elettrici) tram, treni, filobus, metropolitane e la generalità dei macchinari sia industriali che artigianali.
A partire dagli anni 1960 anche le macine dei mulini utilizzarono, adottando nuove tipologie e nuovi macchinari di macinazione, l’elettricità per cui sia il mulino ad acqua che quelli a vento e|o a vapore furono sempre più relegati ad essere una singolare testimonianza storica del passato, monumenti stupefacenti di un tempo che oggi non c’è più.
Argomentando di mulini non è superfluo evidenziare che il loro progressivo incremento di utilizzazione e di diffusione è assolutamente correlato alla cultura e al consumo di cereali e di granaglie di vario genere.
Nella storia del cammino alimentare dell’umanità è noto che, forse ancor prima della scoperta del fuoco, l’uomo, raccogliendo i semi delle graminacee, “scoprì” che questo cibo – rispetto agli altri vegetali – offriva maggiori vantaggi in quanto che quei semi, oltre ad essere più nutrienti, si conservavano a lungo ed erano facilmente trasportabili.
Da ciò discese che i primi sforzi per la coltivazione della terra s’indirizzassero verso i cereali ed oggi, per altre motivazioni similari, oltre la metà della superficie agricola mondiale è coltivata a cereali.
Da alcune ricerche antropologiche sembrerebbe che la più antica forma vegetale piantata dall’uomo sia stata l’orzo, e tracce ritrovate in un villaggio francese attestano questa attività a circa diecimila anni.
E’ anche noto che – dopo i primi tentativi fatti con l’orzo – le coltivazioni di cereali si estesero in base al clima e al territorio per cui il frumento fu principalmente coltivato nella regione mediterranea, l’avena e la segale nelle aree del nord, il sorgo nel continente africano, il riso in Asia e il mais America.
Coltivato e utilizzato dall’uomo fin dai tempi più antichi, il grano o frumento ha – dunque – accompagnato l’evolversi della nostra civiltà.
Originario, pare, dell’Asia minore, nella zona cosiddetta “Mezzaluna Fertile” posta tra i grandi fiumi Tigri ed Eufrate, il grano è tra le prime piante coltivate dall’uomo dopo il passaggio dallo stato nomade a quello sedentario.
Alcune inconfutabili testimonianze attestano che la coltivazione e la raccolta di questo cereale e la sua susseguente macinazione e produzione di pane sono presenti e si ritrovano sia nell’antico Egitto sia in diverse altre antiche civiltà quali Assiri, Babilonesi e Cinesi.
Adatto ad essere macinato e a diventare farine, il frumento ha, la capacità di dare origine al pane azzimo; inoltre la farina, come è già noto, se mescolata ad acqua e lievitata, dà consistenza ad un impasto da cui se ne derivano pane, paste fresche e dolci da forno che restano alla base della nostra alimentazione, in particolare nelle aree mediterranee.
Sembra che siano stati gli egiziani a scoprire che lasciando fermentare l’impasto di farina si sviluppa gas capace di far gonfiare il pane; in tal senso in Egitto sono stati ritrovati, in alcune tombe lungo il corso del Nilo, affreschi che ritraggono la coltivazione del grano, la raccolta, la macinazione, la miscelatura e la cottura al forno e in una tomba è stata finanche ritrovata una forma di pane a focaccia piatta di circa 3.500 anni fa.
E’ dunque chiaro che, come s’ è già detto, sia il consumo di cereali e di granaglie di vario genere, sia la generalizzata esigenza di macina del grano, sia il progressivo incremento dei mulini e sia la stessa l’arte della molitura si configurano come elementi e momenti importanti e significativi della civiltà occidentale in quanto che i mulini hanno avuto, nel coso del tempi, incidenze correlate ad interessi d’ordine sociale, politico, economico e tecnologico molteplici e quanto mai varie ed interessanti.
IL PARADISO PARALLELO ( Mi scuso per la lunghezza del racconto, ma il fantasioso argomento trattato mi ha preso letteralmente la mano ). L' altra sera è venuto a trovarmi Arturo, un amico fedele ed affettuoso.
Ci siamo accomodati vicino al camino, dove dalla legna, tra insistenti crepitii e scoppiettii, si alzavano sinuose lingue di fuoco di colore giallastro e rosso scarlatto.
Esse, simulacro di vita, sembravano, con accanita ostinazione, voler convincerci che stavano facendo l'impossibile per sconfiggere il freddo intenso dell' ambiente!
Insieme abbiamo frequentato le classi della Scuola Elementare e della Media ed abbiamo trascorsi giorni e momenti felici e spensierati della nostra infanzia e adolescenza.
Dopo l'adempimento dell' obbligo scolastico, le nostre vie si sono divise, senza peraltro farci mai perdere di vista.
Egli, infatti, seguì con profitto l' attività commerciale del padre.
Preferiva, tra l'altro, le letture di carattere filosofico, che, come è noto, aiutano a trovare le risposte alle domande fondamentali dell' umana esistenza, favorendo lo sviluppo del pensiero autonomo, critico e riflessivo.
Da giovane, esercitò, poi, anche l'interesse per l'apprendimento di uno strumento musicale a corde : il Maestro, cui l' affidò il padre, viste le sue dita "corce"(sic!), cioè corte, gli consigliò il Bengio (Banjo)!
Nonostante il suo impegno, la sua determinata applicazione, la sua volontà, l' apprendimento si rilevò ben presto un amaro e clamoroso fallimento!
Appese il Bengio al chiodo e si promise che mai nessuno avrebbe pizzicato le sue corde!
A causa di questa sua sfrenata passione, nel Paese gli fu tosto affibbiato il soprannome di "Amico Fritz", mutuandolo dall' omonima Opera del Mascagni!
Ma adesso veniamo a noi...
Appena seduti, mi accorsi che Arturo era agitato, contrito, sofferente, rabbuiato!
Gli chiesi, allora, quale fosse il motivo del suo turbamento ed egli mi confidò che la notte precedente si era girato e rigirato decine di volte nel letto, senza riuscire a prendere sonno!
Non aveva smesso di pensare e riflettere sul destino che sarebbe toccato alla sua anima dopo la sua dipartita!
Aveva sempre vissuto con rettitudine ed onestà, non aveva mai recato nocumento a chicchessia e quindi secondo i dettami e i principi della Religione cattolica.
cristiana, la sua anima era destinata ad andare di filato a far compagnia ai Beati in Paradiso!
Proseguì, poi, con convinzione filosofica ed escatologica, a formulare congetture ed ipotesi strane, bizzarre e singolari : egli non desiderava assolutamente che la sua anima andasse nel Regno Celeste!Si poneva il problema di come avrebbe trascorse le intere giornate in quel posto, girovagando a piedi nudi sulle nuvole, senza la mia compagnia ( meno male!), senza la presenza di donne, senza discoteche, cinema, bar, ristoranti, senza poter bere birre, vino, senza poter giocare a poker e tressette, senza poter bere latte, in assenza di erbe e pascoli per i bovini, insomma in assenza di tutti quei beni che rendono la vita degna di essere vissuta!Cinicamente, era più che convinto che il Paradiso così strutturato, più che un premio, un' adeguata ricompensa riservati a coloro che avevano condotto una esistenza da "giusti", costituiva, invece, per lui una smaccata pena, una punizione, un castigo esemplare!Allora, perplesso, gli chiesi dove volesse che la sua anima trovasse posto!
Sostenne, continuando, che non desiderava neppure che la sua anima fosse collocata nel Purgatorio, tra " color che son sospesi ", dove non si è nè carne e nè pesce e dove poteva essere messo in una delle sette Cornici, lì previste, perchè lui non era un...quadro!Meno che mai, ovviamente, voleva che essa fosse scaraventata nel Regno degli Inferi, dove una moltitudine di Diavoli assatanati ti picchiano da orbi tutti i giorni con pesanti randellate, mazzate, legnate, dove rischi di essere immerso eternamente nel fango, nel ghiaccio, nello sterco e dove ti aspetta con impazienza Lucifero, orrida e pelosa creatura con tre facce, tre bocche e tre paia d'ali...!E, allora?Seguitemi nella narrazione...
Il volto di Arturo diventò di botto serio, autorevole e sorridente.Con sussiego e sicumera, mi confidò che era certo, più che convinto, che esisteva un Paradiso Parallelo, che smaterializzato, era in perfetta prosecuzione, senza soluzione di continuità, con quello Terreno e che il Divino Poeta non aveva volutamente nè descritto e nè reso noto, perchè era destinato ai Santi, ai grandi personaggi della storia che si erano contraddistinti nei vari rami della Scienza, i Capitani d'industria, i magnati, i Paperon dei Paperoni, che avevano sempre fatto opere di bene, aiutato i deboli ; gli eroi, i martiri della fede ; insomma tutti i più che buoni avevano trovato posto in questo Quarto Regno!Quando gli feci notare che l'accesso in quel luogo sarebbe risultato molto difficile, impossibile per lui, mi confidò con fare omertoso ed in modo sommesso che si era raccomandato al Santo Padre Pio, che aveva conosciuto di persona all' Ospedale San Giovanni Rotondo, quando dovette operarsi di appendicite!
In questo luogo, secondo la legge del contrappasso dantesco, avrebbe beneficiato di premi ed elargizioni, come ricompense per le afflizioni patite sulla Terra!Per la qual cosa, poteva giocare sempre a carte, vincere sempre a poker, tressette, burraco, al Totocalcio, al Superenalotto, alla Lotterà Italia di Capodanno ; avrebbe bevuto, a gratis, cassette di birra Cerveza, vini dei migliori vitigni italiani, farsi il bagno nel latte, alleviato le pene d'amore sofferte in compagnia delle dive del cinema, ecc, ecc...
Ed, infine, avrebbe finalmente suonato con maestria e perizia il Bengio, con assoli entusiasmanti, commoventi e strappaapplausi nell' Orchestra Celestiale, diretta dai più grandi compositori, eseguendo l'intermezzo de "L' Amico Fritz" di Pietro Mascagni!
Sciarpigno di Totoruccio Fierro Racconto la storia di questo personaggio, vissuto realmente negli anni venti del secolo scorso, perchè ritengo, senza alcuna presunzione e supponenza, che essa, velata com'è dalla mia solita, bonaria, sottile e distaccata ironia, merita di essere letta.
L'origine del suo 'stranginomo' è del tutto ignota.
Potrebbe, forse, derivare dalla parola inglese "sharp", che significa aguzzo, tagliente, pronto nelle risposte!
Ma quanti Montellesi all'epoca conoscevano la lingua anglosassone?
Pochi, pochissimi, per la qual cosa è più probabile che, come tutti gli "stranginomi" che in quel tempo si affibbiavano alla quasi totalità delle persone e alle famiglie di provenienza, essi avevano scaturigine da situazioni, fatti, cose, aspetti fisici, abitudini, comportamenti e quant'altro!
Era basso e segaligno e il suo viso rassomigliava a quello di una civetta :
naso adunco, occhi piccoli e acuti, sguardo sinistro e mefistofelico, faccia attenta, sospettosa e sempre imbrattata e sporca di terra!
Sulla testa portava un cappello a larghe falde, unto e bisunto per il prolungato uso.
I movimenti del suo corpo, coperto da un vestito tutto rattoppato, erano contraddistinti da scatti convulsi, improvvisi che ricordavano, appunto, quelli dell'uccello notturno!
Che mestiere poteva esercitare un tale personaggio, se non quello di Custode del Cimitero comunale?
Di fatto, lavorò per tutta la sua misera vita tra croci, lapidi, bare, cappelle, tombe del Camposanto.
Il suo impegno, la sua solerzia, il suo attaccamento al lavoro erano talmente sentiti e partecipati che, non solo trovava del tutto normale e naturale mangiare e bere il vino seduto tra i morti, ma addirittura dormire tranquillamente in loro compagnia in un lettuccio, in uno dei due vani posti all' entrata del Cimitero!
Insomma, era riuscito a stabile una osmosi, una tacita convivenza con chi non c'era più, da sentirsi parte integrata e completa del luogo, sperando in tal modo che, vivendo abitualmente tra i morti, la lama lucida e tagliente della nera, beffarda ed impietosa
"SIGNORA" l'avrebbe risparmiato!
Quando si andava a far visita ai cari defunti, Sciarpigno godeva e si divertiva a renderla più sofferta, scabrosa e problematica, soprattutto se fatta durante il tardo pomeriggio o nelle ore notturne.
Infatti, mentre si percorrevano i vialetti, non era del tutto improbabile vederlo spuntare di soppiatto e all'improvviso dai posti più impensati :
si appostava dietro una lapide, dietro un cipresso, un cespuglio, una colonna e usciva con uno scatto rumoroso; altre volte emergeva all' infuori da una fossa con un guizzo tale che ricordava quello del pupazzo Pulcinella che veniva catapultato all'insù dalla molla compressa in una scatola giocattolo chiusa! Altre volte ti seguiva in modo silenzioso, toccandoti lievemente sulla spalla...
In buona sostanza perseguiva una vera e cinica strategia del terrore! Per tutto questo,
il povero visitatore doveva mettere in conto non solo la paura derivante da possibili "fantasmi" che potevano più o meno aleggiare in quel luogo, ma anche di quella che veniva scatenata dalle diaboliche apparizioni di mister "Sharp"!
Quando poi saliva al Paese, si assisteva a scene di comico e folkloristico sommovimento : i ragazzi si davano a un disperato fuggi - fuggi generale ; le donne si segnavano con la croce ;
gli uomini si lanciavano ad abbracciare il ferro dei lampioni stradali o, più ancora ad affondare le mani nelle tasche dei pantaloni al fine di perturbare gli incolpevoli e dormienti
" satellitini " di...Giove!
A volte, lo si vedeva maneggiare con nonchalance le ossa dei morti come se fossero rametti d'albero e quando arrivava il 2 Novembre, diventava d'incanto disponibile e cortese verso tutti i visitatori che non gli facevano mancare il loro riconoscimento.
Purtroppo, anche lui non potè sfuggire al roteare del falcione implacabile della nera Signora!
Certo è che, passare dal mondo dei vivi a quello dei morti, dopo tanti anni passati in loro compagnia, sicuramente non rappresentò per lui nè un fatto doloroso, nè drammatico!
Totoruccio Fierro
Bassa e la Sagra del Pesce - Caro Vittorio e cari amici della Redazione Montella.eu Le Sagre sono diventate una consuetudine, in quasi tutti i paesi che dispongono di specialità enogastronimiche, naturali, contadine e artigianali. Vorrei raccontare per i visitatori del sito come nel mio paese di nascita si svolge ogni anno una sagra, tipo la vostra della Castagna IGP: " LA SAGRA DEL PESCE DI BASSA", che è arrivata al 50° anniversario dalla prima edizione. Per festeggiare la ricorrenza gli organizzatori pubblicheranno una raccolta di fotografie, varie notizie, ricordi e interviste a tutti coloro che nel lunghissimo periodo hanno partecipato e collaborato al successo di questo importante evento.
Mi sono proposto per scrivere una breve introduzione alla suddetta pubblicazione, con alcuni miei vecchi ricordi, che mi piacerebbe far conoscere anche a chi a Montella puntualmente ogni anno si impegna alla realizzazione della vostra Sagra.
In una piccola comunità di mille abitanti, sulla riva destra dell'Arno a metà strada fra Firenze e Pisa, nel comune di Cerreto Guidi, ogni anno nei mesi estivi, da circa cinquanta anni si organizza la Sagra del Pesce. E com'è nato questo importante evento, proprio a Bassa che dista più di cinquanta chilometri dal mare? Un evento che ogni anno riscuote un grande successo fra gli amanti e tutti coloro dei paesi vicini, ma anche dei paesi più lontani, che sono abitualmente frequentatori, delle sagre e feste dedicate alle varie tipologie e specialità culinarie locali.
Io, Graziano Casalini, nato a Bassa, purtroppo nell'ormai lontano 1942, vorrei dare un mio modesto contributo scritto di vecchi ricordi su come ebbe inizio in paese l'attività della pesca, da cui poi originò l'idea di dare vita ad una sagra a tema. I miei ricordi, in particolare, per far sapere il perché per cui oggi Bassa si può ritenere un importante centro, anche se distante dal mare, dove è fiorente una discreta attività di importazione, commercializzazione e trasformazione del pesce.
Alcune delle seconde e terze generazioni, sicuramente non sapranno tutto quello che sto per scrivere, quale introduzione a questa che è o sarà una pubblicazione prevalentemente fotografica dedicata alla Sagra del Pesce.
Secondo quanto io ricordo, tutto ha avuto inizio negli anni cinquanta o nell'immediato dopoguerra.
L'economia in prevalenza povera degli abitanti di Bassa era quasi esclusivamente basata sull'agricoltura, i contadini salvo poche eccezioni conducevano i poderi a mezzadria, allevavano quasi tutti una mucca da latte e tanti animali da cortile, c'erano poi gli operai che lavoravano nelle varie fabbriche dei paesi vicini e poi quelli che stavano un po' meglio, i bottegai, alcuni artigiani, i barrocciai che facevano i vari trasporti, i calzolai impegnati nei calzaturifici di Fucecchio, ma anche nella lavorazione delle scarpe, allora rigorosamente in cuoio e pelle che si riparavano più e più volte prima di buttarle, e poi chi agricoltore lavorava terreni di proprietà, le famiglie benestanti si potevano contare sulle dita di una mano, complici di questa situazione economica anche gli effetti della guerra da poco passata.
Le famiglie numerose, erano quelle che stavano peggio e alcune di queste per sfamare i numerosi figli, intensificarono o iniziarono, quello che meglio sapevano e potevano fare, andare, tempo permettendo tutti i giorni a pescare in Arno, così almeno avevano che dare da mangiare ai propri figli. Però oltre al cibo, i capi famiglia dovevano anche soddisfare le altre esigenze di cui i figli crescendo avevano sempre più bisogno.
Usavano un cosiddetto barchetto,( piccola barca in legno simile ad una gondola veneziana ), spinto a forza di braccia con una lunga pertica di legno, sul basso fondale del fiume, reti, bilance, nasse, bertuelli, raramente canne da pesca. Il fiume non era inquinato com'è ora ed era ricco di pesce, la pesca quasi sempre abbondante, permise alle due più importanti famiglie, i Sani e i Manzi di far intraprendere ai figli, più grandi una piccola attività di vendita ambulante da fare prevalentemente nelle campagne e nei paesi dell'interno un po' distanti dall'Arno. Questi ragazzi, ancora adolescenti, usando una bicicletta con doppio portapacchi su cui avevano fissato dei bidoncini metallici tagliati a metà, portavano nei dintorni e un po' ovunque, pesce d'acqua dolce pescato in nottata a volte ancora vivo, facendo buoni affari, contribuendo in questo modo, per così dire, al loro primo benessere economico.
Col passare del tempo, purtroppo ogni tipo di attività, per più ragioni si deve adeguare, per il progresso e per tanti altri numerosi motivi che ora non sto qui a descrivere. Uno di questi motivi fu per chi viveva di quella risorsa: un grande inquinamento che si verificò irreversibilmente nell'Arno, con una massiccia moria di pesci e la decimazione di tutte le specie ittiche precedentemente esistenti.
A quel punto non solo i pescatori della domenica, ma anche le due famiglie, che fino ad allora avevano basato sulla pesca il loro lavoro principale dovevano sospendere la cattura del pesce di acqua dolce, perché quel poco rimasto non era più sicuro per l'alimentazione umana. Come riconvertirono le loro conoscenze ittiche, le due famiglie che fino ad allora avevano vissuto solo con i proventi derivanti dalla vendita del pesce pescato in Arno?
Potevano farlo solo cercando il modo più giusto di inserirsi nel commercio del pesce di mare, che allora veniva in particolar modo pescato da una importante flotta di pescherecci viareggini. Viareggio non ero vicino e come fare per arrivarci la mattina quando rientravano i pescherecci, prendere il pesce più adatto alla vendita nelle nostre zone e rientrare a Bassa per organizzare la vendita?
La famiglia Sani con a capo Ilio, con i figli più grandi acquistarono una moto BSA, mi pare fosse questa la marca, vi applicarono una specie di sidecar adattandolo con un cassone rettangolare, sul quale potevano trasportare in tre quattro damigiane a bocca larga, vari tipi di pesce fresco e vivo di mare. Con alcuni viaggi settimanali, in breve tempo uguagliarono e superarono le vendite di quello che prima pescavano in Arno.
Altri figli grandi delle due famiglie, acquistarono dei furgoni attrezzati per vendere il pesce come ambulanti nei vari mercati cittadini, di zona, rionali e in giro per le campagne. L'assortimento del pesce di mare era molto più grande di quello di acqua dolce, e l'attività di commercializzazione e vendita aumentava di anno in anno, permettendo alle due famiglie di aprire sedi adeguate con celle frigorifere, impianti per il confezionamento e di avvalersi anche della collaborazione di diversi venditori esterni. Praticamente diventarono due ditte di vendita del pesce all'ingrosso.
Successivamente divenne necessario importare dall'estero alcune specie ittiche richieste e difficilmente reperibili sul mercato nazionale. Gli impianti di conservazione, trasformazione e confezionamento diventarono abbastanza grandi importanti, per questo ancora esistenti, col nome e marchio "ILIOPESCA" in onore del vecchio Ilio, capostipite dei SANI. Vennero aperti, con successo, a Firenze e in altre città vari punti vendita sempre "ILIOPESCA". Infine ad un lungimirante bassese, di cui non conosco il nome, visitando un paese della riviera ligure, venne la bella idea, poi condivisa con altri compaesani, di dar vita ad una sagra da organizzare ogni anno in estate nell'ex campo sportivo e di tamburello, accanto alla scuola elementare. E così cinquanta anni fa ebbe inizio l'avventura bassese.
La Sagra oggi, è diventata una grande realtà per il piccolo paese di Bassa, ogni anno, in estate, richiama nelle sere calde dei fine settimana moltissimi visitatori, vorrei dire alcune migliaia, sicuro di non sbagliarmi, quelli che dicono "Stasera in do si va? e si va a Bassa a mangia' i pesce ".
Il successo, da sempre crescente è principalmente dovuto alle buone qualità del pesce fresco e specialità locali, preparate con maestria da valenti improvvisati cuochi e dall'impegno con cui molti paesani e organizzatori mettono alla realizzazione di questo bellissimo evento.
UN GRANDE SUCCESSO LA SAGRA DEL PESCE DI BASSA
A questo punto i miei ricordi diventano molto lacunosi, rischierei di scrivere qualcosa di cui non sono certo e quindi forse di non vero, per questo chiudo il racconto di quelli che furono anche dei bellissimi ricordi, della mia ormai lontana gioventù.
Dal 1966 ho lasciato per sempre Bassa, e avrei piacere che per quanto rigurda il seguito di questo racconto, continuassero a farlo altri più giovani di me, e anche quelli molto ma molto più giovani, con notizie di come si è svolta la Sagra nell'arco di cinquanta anni, e su come si è evoluta con metodi moderni l'attuale organizzazione, capace di ottenere i più che ottimi risultati odierni. Il progetto di una pubblicazione simile, potrebbe esssere valido se trasferito anche con modalità diverse, alla vostra grandissima FESTA SAGRA DELLA CASTAGNA IGP DI MONTELLA, in occasione dei prossimi anniversari.
Introduzione di Graziano Casalini, per una grande pubblicazione fotografica completa di interviste, racconti e di tanti ricordi, per rivivere in occasione del 50° anniversario le passate edizioni della Sagra del Pesce di Bassa.
Un caro saluto e grazie per l'ospitalità
Castaneide ( Vie a sovranità limitata) 1^ PARTE di Giuseppe Marano Caro Vittorio dall’antica radice sorevese, mi ricordi i vecchi tempi…tuo zio Nìno, un mito di Sorbo che faceva “cunti” strepitosi, noi uaglionàstri restavamo strabiliati. Mo’ m’è venuta in mente una parola (meglio direi: “m’è sckoccàta ‘ngapo”): la CASTANEIDE che può servire anche ad onorare almeno nel titolo la nostra tradizione: quanti poemi classici abbiamo con quella finale EIDE, chiamata dagli specialisti suffìsso (che, la verità, pare ‘na male parola): ENEIDE, TEBAIDE, ACHILLEIDE ecc. (…sfoggio de che? prendo solo il titolo da Gùgol) questa suggestione di suffisso vedo che trova fortuna epico-cavalleresca anche sui giornali per recenti clamori. E Montella da parte sua, nel suo grande- piccolo non poteva mancare d’ispirarmi questo nome classico: “Castaneide”.
Per non ammosciarti vengo subito alla storiella (che pubblichi o no, fa niente, basta che ci dai una scorsa… se ci trovi qualche eco antica). Già t’ho detto e sai, che scrivere pe me è diventata ‘na mazzata ‘nfrònte, mi conforto solo di essere in ottima compagnia: nientemeno con Socrate e Platone che “odiavano” la scrittura (ma a chiacchiere, almeno per Platone, che ha scritto tutto quel ben di Dio!).
Resto dell’idea, (considerata fasulla) che la poesia vera quella “immortale” sublime che può attingersi solo un attimo con l’estasi, è quella “non nata”, che resta dentro, che non vuole contaminarsi esprimendosi “cadendo nel tempo”. L’inespresso è il tutto e il nulla adimensionale estraneo alle categorie spaziotemporali, perciò nulla eterno, Foscolo mica era ‘no fessa!....[Vittò, accussì facìmo contenti a tutti, puro a li sfessati com’a mmé, ca non sanno scrìve na poesia! Re facimo sènte no Dante! Cchè dico! N’Omèro!].
La vicchiaia ‘na brutta bbestia! Orazio la chiamava “morosa”, altro che amorosa! Da quando son diventato misantropo, esco col caniello, vedi la contraddizione della vita: da piccolo ho avuto la meglio educazione (!): alla caccia, a sparare lo sperciasiepi, (pittirùsso)…un piccolo batuffolo vivo che cercava intirizzito riparo in un sepàle di spine… sotto la bbòtta rintronante, ne restava una penna al vento…
Una mattina di questi tempi passeggiando per la via nova carrozzabile attraversante castagneti, una voce marpiona da sopra: “Prafessòòò…co’ la scusa re lo caniello ti fai la sacca nòva”- (la A al posto della E, sottolineava un tono canzonatorio squacchiùso tipicamente nostrano. Vedete quanto è nobile il nostro dialetto! C’ha pure il cambiamento di vocale delle lingue classiche che gli scienziati d’un tempo chiamavano con una male paròla: “apofonia”!).
Un occhio perciante di sguìncio m’aveva colto nel prendere qualche castagna da mezzo la strada. Rispondo “ra copp’ ‘a màno” (come suonano “Avallìno” (ad Avellino)): “Guarda io non me ne mangio, le schifo le castagne mi fanno male allo stòmmaco, c’hanno dentro un àcido malefico, quello tànnico”. Uno sghignazzo in risposta: “Embè ti fanno male e te re ppìgli!”. “Ma no’ re ppìglio pe’ mmé, re rregàlo!”. “A’zz! No bbello reàlo fai se fanno male! Prafessò…ma tu cché ddìci, vuò sfòtte stammatina!”.
Calmo rispondo: “Non hai capito! No tutti tengono lo stòmmaco dilicato com’a mmé! Le do a chi lo tène re fierro”. “Aggio capito tu vuo’ sfòtte, tanto che ci tieni mo te ne reàlo na busta, cussì la finisci e bbòglio cche stai bbuono” (il sottinteso era: “Così ti levi dalle… scatole…”. Mentre allungava la mano co’ la busta, che per lui non era di castagne ma di marènghe r’oro, mi travolse dal di dentro una folata di proverbi e parole sorevesi; mi rimbombavano in particolare quelle di un mio amico dalla intelligenza mercuriale: “Attento! Non c’è niente di più costoso del gratuito!” e poi mi riecheggiarono pure due detti dei Grandi Vecchi, i miei Maestri di Sorbo: “Attiénto, ca quisso è de casàta vintòtto, ti rài quatto pe’ ti fotte otto”, traduco per me: “Sta attento! Che questo è di Casata Ventotto, ti “regala” quattro per fregarti otto”, e ancora “tra parienti e canuscienti non s’accatta né si vénne né si pìgliano reàli!”.
II^ e ultima parte
Pensai un attimo che prendendo quella busta gli firmavo una cambiale in bianco e mi procuravo una zecca malefica penetrante perciante sempre più a fondo, in parole tutt’altro che povere: non me lo sarei levato più dai lucidi globi oculari! Insomma la morale di quei distillati di saggezza (e poesia) era che: Il regalo gratuito è quello che fa Ulisse, più “fetente” di me,: un cavalluccio di Troia. Gli dissi ispirato da tanta saggezza: “Grazie caro, mi basta la “sacca nova” che mi son fatto stamattina”, avrei voluto aggiungere “alla faccia tua”, ma lasciai perdere perché mi trovavo “sguarnito” dell’… “uòsso re prisutto”. Dalla faccia ci restò sotto la bbotta. Aggiunse in tono asseverativo: “Però ra professore questo ro capisci, se no che professore sì: re castagne, puro ca careno mmiezz’a la via nòva, careno ra l’alberi mia ca curo pe’ tutto l’anno, annetto, poto, tutta sta fatica tu no la capisci, e allora puro re castagne ca careno mmiezzo a la via nòva, pé mmé so’ sempe re mmìa!”.
“Senti” mi permisi di aggiungere: “Ma non vedi che macello ne fanno le macchine che passano, ce n’è almeno no quintale di schiattate, la via è tutta jànca”. Mentre si ritirava lo sentii mormorare: “Meglio ca se re mmàngiano re rròte ca te re ffùtti tu!” (= “meglio che se le mangiano le ruote che te le mangi tu”), gli volevo rispondere, ma lasciai perdere perché notai, pur tra il fogliame, i suoi occhi strabuzzati (i sorevesi di una volta,… tuo zio, avrebbero detto “sbirolati”) e tra l’altro mi trovavo “sguarnito”.
Non ti nascondo che quando esco col caniello per la via nova sotto i castagneti ci passo con un fastidio addosso, come se passassi per una via pubblica a sovranità limitata.
Te ne dico un’altra e poi basta. Una mattina anzi ancora notte, la via delle 6 per evitare che il mio caniello forèsteco s’afferri con altri (a quell’ora non c’è il passeggio canino, se la prendono più còmoda), una mattina, sempre r’ottòmpre (quant’è bello più dell’alliffato “ottobre”!), vidi un’ombra che si avvicinava a noi sempre pe’ la via nòva sotto il castagneto, non l’affiurài bene, ma era un tipo tròcene tracagnòtto: “Mannàggia…non ne ho trovato una bbòna! Tutte cecàte e mi devo cecà pure pe vedé se so’ bone!”. “E che mi vuò trovà” dissi “ho visto poco fa uno co’ na bborsa chiéna, mica è fféssa quiro ca si piglia re cecàte! Quere re llàssa a l’àti”. Volevo aggiungere: “A li féssa”, ma al solito mi trattenni…t’ho detto perché e un po’ …. per autoprotettiva pusillanimità. Che vuò fa Vittorio, uno co’ l’amici si deve confessà! Lo sentìi jastomà tutto ngroggnàto.
La notte dopo non potevo dormire, m’alzai un’ora prima co’ la scusa che il cane aveva impellènte bisogno di uscìre. C’erano sciabolate di luce sulla strada del castagneto, affiurài un’ombra tracagnotta, cercava castagne co’ la pila! Prima che mi vedesse mi girai. Ma ad esser sincero …me lo sentivo scendere che l’avrei trovato a ispezionar castagne.
Prima ti ho detto che ho evitato di attaccar briga perché no tenevo co me l’ “uòsso re prisutto”, e mo’ ti racconto un fatto capitatomi quando lo tenevo. Un sàcco d’anni fa quando lavoravo a Baggnùlo, tornavo a casa per la via del Lacinolo che allora era un signor corso d’acqua affluente del Calore, tanto che venivano a tuffarsi d’estate pure i ggiòvani montellesi.
Quando arrivai all’altezza di un ponte, notai in mezzo alla strada delle noci, scesi a raccoglierle, d’un tratto sentii una sorta di rùglio: “Làssare stà ca sò re mmìa, La pianta è la mia!”. Là per là rimasi frìddo ma subito ci stetti al gioco e sorridendo dissi al soggetto non identificato, spiccando provocatoriamente italiano: “Ma le noci sono cadute sulla via, la via è pubblica, quindi sono di chi se le prende, sono una …“res nullìus”.
Non l’avessi mai detto! Si diresse contro di me minacciùso: “Tu a chi vuò sfòtte co’ ste parole strèoze! Parla cristiàno!”. Caro Vittorio, tenéva mmano ‘no uaccìddro, ‘no ‘mbastone norecùso che fingeva usare come appoggio, ma ad un tràtto lo puntò contro di me avvicinandosi con occhio forése. Non potevo ingaggiare una lotta ad armi pari, era ‘no giancalèssio, un marcantonio, e io ggià sott’a la sissantìna! Allora mi salvò il… “classico” (poi mi dicono che i classici non servono a niente!) mi ricordai di Ulisse quando ubriacò Polifèmo con un vino ‘nchiummùso come quello di Puglia (quello che ‘mbriacava nelle nostre cantine fino a sessant’anni fà), Ulisse intelligente, di fronte a quel mostro di Polifemo, si rese conto di essere … ’na pòddrola…lo poteva schiattare sott’ a lo père come una marùca ed allora ricorse a quel vino per …addobbiarlo e …cecàrlo.
Tenevo in macchina “lo focòne” (che era la mia boccia di vino!) …qualche ggiorno prima, ero andato lì vicino a Cuòzzoli ad aspettare il passo degli stòrni [ bastàrdo tra bastàrdi! diceva lo bbòsso: “similis cum simili facillime congregatur” volgarmente tradòtto: “camminando con lo zòppo impari a zoppicàre” (ci sarà il corrispondente geniale in monteddrese ma scusate non lo conosco)]…dicevo “lo focòne”… fammi ricordare una immagine di esplosiva potenza lucreziana, spiccata come fiore dalla bocca di un cacciatore ossessionato: “Pinù, quanno arriva la néola re sturni, ar’ aspettà quanno s’arraòglia, e là ara sparà, ne careno a grananèta neora”, traduco per me stesso: “Pinù, quando arriva la nuvola di storni, devi aspettare quanto si avvoltola e si ispessisce, e lì devi sparare…ne cadranno a gradinata nera”,…corsi alla macchina, e prima che lo màstro mi raggiungesse, pigliai “lo focone”, e glielo puntai ‘nfacci, in quel momento ricordai l’espressione venatoria sorevése: “li mittiétti ro ffuòco nfacci!”…caro Vittorio…non ti rico…li carètte lo mbastòne norecùso ra mano e cominciao a scappà…Notai che ad un certo punto cominciò a còrre a cosce lasche…evidentemente “lo focone” aveva avuto, pardon, un immediato effetto lassativo! Ovviamente l’automatico era scàrrico, ma in quel momento mi ricordai il detto sorevese: “Lo fucile puro a canna vacanda face paura a cinquanta”.
Gli stòrni… ci trascorrevano elettrizzando l’aria d’un brivido di vitalità che noi fetenti spegnevamo a schoppettàte!
Non perderti un bellissimo scritto di Calvino: Gli storni che colpisce scolpisce con precisione fantastica.
Concludendo ti confesso che sto a Montella quasi da che son nato (non ti dico gli anni perché odio eventuali farisaici auguri) ma il montellese non l’ho capito per mia incapacità e per merito suo: del suo inviolabile spessore ed impenetrabile ricchezza. Ricordo qualche riflessione di Mario Soldati nel suo Viaggio da Roma però non era riferita al montellese ma in genere al…“degasperiano irpinese”, mò se non ricordo bene il titolo del libro, non accìro nisciuno da “zucaggnòstro” qual sono (=“succhiainchiostro”, “chi scrive”), e chi ci va a Sorbo in quel monnezzale di libri per leggere il titolo esatto?! Manco morto! A proposito di libri, attenzione Vittorio a chi li dai in prèstito! Ci sono molti bibliofili bibliomani “cleptobibli” mimetizzati (scusa il mio neologismo), che te lo cercano per non restituirtelo più! L’ hanno perso o ce l’hanno arrobbàto. Così ti diranno! Una persona di intelligenza rara mi mise sull’avviso. E…(vedi la “sorte beffarda” pirandelliana!) capitò che proprio dal suo studio una lesta e lieve manina sgraffignò un magnifico mio libro dell’800 su Santo Rocco. Dovrò dedicarci una… “Sanroccheide”! Comunque chi l’ha “preso” stia tranquillo, che c’è stata precisa denunzia, chiamiamola…razzo a ricerca di calore. Non si sa mmài! Dicevo che forse del libro di Mario Soldati ho scordato il titolo preciso, e che fa? No zucaggnòstro che male pote fa? Basta che chi opera lo stòmmaco non si scorda dentro il bìsturi! Ciao Vittò.
Lieto fine per il cagnolone brutalmente bastonato 'nfronte di Giuseppe Marano - (almeno ce lo auguriamo)Caro Vittorio voglio darti subito la bella notizia.
Il cane che ho trovato qualche giorno fa nel parcheggio MD di Montella, con la vistosa ferita in fronte, cui gentilmente hai dedicato spazio nel tuo giornale, è stato trovato e ricoverato.
Me l’ha comunicato il Comandante della Polizia Municipale Iannélla da me informato e pregato di volersi adoperare per assicurare alla povera bestia le cure e la protezione necessarie.
E’ stato ricoverato e spero vivamente che ce la faccia e venga poi sottratto alla incombente minaccia di bastonatura, stavolta finale, mortale, anche per la rabbia da parte del massacratore di vederlo quasi provocatoriamente, sopravvissuto alle sue mazzate.
Dovete penetrare i capillari della psicologia maligna! Ma lasciamo stare…qualcuno benpensante dirà che la mazzata è tutta da provare, che è frutto della mia malevola prevenzione,,, insomma dirà quello che vuole, Vittò, è…democrazia, dirà che ha fatto lo scontro con una macchina…
Ma io da piccolo sono abituato a vedere e riconoscere gli effetti devastanti raccapriccianti delle mazzate ‘nfronte su questi poveri animali…con fenomenale sadismo ho visto pigliare a mazzate due di questi poveri animali colpevoli di…. amarsi al punto da restare attaccati, da desiderar di diventare… un corpo e un’anima! Altro che “cristiàni”! Quale amore più ggrande!
Potevo avere 7 anni. Pe’ la via re Suorio… “Uàrda sti fetienti come so’ ‘ncatastati! Mo’ te re ccònzo io!” e giù una mazzata con sogghigno sadico compiaciuto a…dilacerarli! Ricordo, pardon, con orrore le goccioline di sangue sulle pietre della strada! Non c’erano ancòra i cubètti!
Ricordo pure che si divertivano a confrontare distinguere le espressioni: a Suòrio si diceva “‘ncatastati” mentre a Bbotoràla “ ‘ncasteddàti”, e noi a bocca aperta come bocchèli.
In un mondo dominato da un assolutismo egoisticamente e biecamente antropocentrico, caro Vittorio, mi commuove (son sicuro unitamente a te) riscontrare questi atti di nobiltà spirituale da parte di tutori dell’ordine, quale il Comandante Iannélla, che pur oberati dagli infiniti problemi della comunità, riescono a trovare l’ “humanitas” francescana per questi veri “ultimi”.
Che dirti Vittorio speriamo che ce la faccia il nostro animaluccio, che adotterei senz’altro, ma già ne ho troppi…vorrei essere un Totò, una Briggìtta Bardò, un Alèn Delòn ma solo per avere i loro soldini (senza invidia) per poter mettere a disposizione dei veri “amici” tutto quello che serve perché vivano tranquilli. Non pretendono molto.
Ovviamente per rispetto verso di te (e per quanti hanno a cuore le sofferenze di questi ultimi abbandonati bistrattati presi a mazzate avvelenati ecc. “perché danno fastidio”), ripeto, per rispetto verso di te e pochi altri, non posso dire che farei, potendo, (ricorda che sò bbiécchio!) se dovessi vedere qualcuno in atto di colpire questi inermi. Non per rispetto verso di me che da giovanotto “mi son cacciato” il porto d’armi per motivo d’onore tra amici e parenti.
A poco vale l’attenuante di non aver mai sparato a un ciggnàle pur partecipando a tante battute negli anni ruggenti.
Giuseppe Marano
Luca Di Giacomo ha prestato giuramento nella Caserma Eugenio Frate di Campobasso , Congratulazioni al papà Franco alla madre Lisa Bella Zurlo e alla sorella Jessica, e naturalmente da tutti noi della redazione di Montella.eu
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