L’arte di “Figaro” e i barbieri di in un tempo lontano a Montella di Nino Tiretta
Il più famoso barbiere della storia, forse mai esistito in realtà, è Figaro, personaggio principale della famosa opera lirica “Il barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini e delle “Nozze di Figaro” di Mozart per cui è grazie a queste popolari opere musicali che il termine “figaro” è divenuto sia un modo largamente diffuso per indicare questa professione sia un modo scherzoso, bonariamente ironico, per definirlo.
Tutti, comunque, sanno che il “barbiere” è l'addetto al taglio dei capelli e alla rasatura della barba ed è altresì noto che il lavoro di questo artigiano si svolge ordinariamente in bottega - detta comunemente “barberia” o anche “salone” – e che, in caso di necessità e su richiesta del cliente, il barbiere può intervenire anche a domicilio.
Quello del barbiere è , comunque, un mestiere antichissimo, ha origini “preistoriche” ed è universalmente noto che i barbieri, in un tempo lontanissimo, erano anche in grado di praticare piccoli interventi chirurgici, di fare un salasso, di eseguire l'estrazione di un dente nonché di svolgere le funzioni di cerusici,
Alcuni studi storici sostengono che già nell’era del Paleolitico inferiore colui che tagliava i capelli era persona appartenente ad un alto rango sociale, pari e quello dei saggi e dei sacerdoti.
Si credeva che nei capelli risiedesse l’anima del popolo per cui, tagliarli, significava simbolicamente spazzare sia il male accumulato sia ritrovare nuove energie.
I barbieri erano, dunque, persone riverite, rispettate e rispettabili.
Molti ritrovamenti archeologici nell’antico Egitto (risalenti al 3500 A.C.) testimoniano di pietre aguzze considerate utensili da barbiere.
La storia dei barbieri ha comunque avuto una lunga e costante evoluzione peraltro assai evidente nell’analisi degli “usi e costumi” degli antichi greci e romani.
Di fatto, è storicamente noto che furono proprio i romani ad “adottare la consuetudine” ad essere sempre rasati e ad avere i capelli a posto, ma solo perché essi avevano, di fatto, subito l’influenza ellenica.
Nell'antica Roma colui il quale svolgeva le funzioni di barbiere era denominato “tonsore“ ed era preposto sia all’azione per il taglio della barba sia a quella di parrucchiere per le acconciature dei capelli.
In quell’epoca il barbiere, privato e costoso per i più ricchi o pubblico nella sua bottega o all'aperto in strada, tagliava capelli e sistemava barbe e specificatamente già nel II secolo d.C. sussisteva - per i romani più raffinati - l'esigenza di recarsi più volte al giorno dal barbiere.
Nei suoi “Epigrammi” Marziale e Giovenale nelle sue “Satire” descrivono le botteghe dei barbieri (denominate “tonstrine”) come luogo d'incontro per oziosi, in cui c’era scambio di pettegolezzi nonché scambio di notizie, insomma un vero e variegato salotto di varia umanità, tanto che anche diversi pittori, dal secolo di Augusto in poi, ne fecero oggetto dei loro quadri così come già avevano fatto gli Alessandrini.
Nel primo periodo dell’Impero Romano, esattamente dal 296 A.C., con il sopraggiungere a Roma e nel Lazio della “gente barbara” e “straniera” si diffuse la moda di barbe e capelli lunghi per cui si ampliò, di molto, la diffusione e l’introduzione di vere e proprie “barberie”.
Come testimonia lo “scritto” di un senatore romano, la bottega del “tonsor” era così organizzata: tutt'intorno alle pareti girava una panca dove sedevano i clienti in attesa del loro turno, alle pareti erano appesi degli specchi sui quali i passanti controllavano la propria condizione “pilifera”, al centro della bottega vi era uno sgabello su cui sedeva il cliente da riordinare, coperto da una salvietta, grande o piccola, oppure da un camice (involucrum).
Attorno al cliente di turno si affannavano il “tonsor” e i suoi aiutanti (circitores) per tagliare o sistemare i capelli secondo la moda che in genere era quella dettata dall'imperatore in carica.
Forse fu dalla dimestichezza nell’uso dei rasoi e delle “cesoie” che derivò, dall’epoca del primo cristianesimo, la consuetudine, da parte dei barbieri, di offrire, oltre ai i servizi di taglio di capelli e di rasatura, anche alcune prestazioni chirurgiche.
Tra queste vi era il compito di effettuare salassi al fine di togliere le “impurità dal sangue.
Come già s’è detto prima, nell’antichità e con molta consuetudine dalla fine del diciannovesimo secolo in poi, il salasso era una pratica medica assai diffusa; tale azione consisteva nel prelevare (con l’applicazione anche di sanguisughe) quantità spesso considerevoli di sangue da un paziente alfine di ridurre l’apporto di sangue nelle arterie.
Tra le altre funzioni mediche i barbieri inglobavano anche l’estrazione dei denti, l’unica cura dentistica rappresentativa di quei tempi; inoltre i barbieri effettuavano clisteri ed incisioni di pustole e bolle varie, procuravano erbe ed altri medicamenti ai malati e ai feriti per cui quei barbieri, in quel tempo e in quelle circostanze, divennero noti come “barbieri-chirurghi”, assai ricercati tanto per i loro servizi di “barbatonsura” quanto per le loro competenze mediche.
In Inghilterra la figura dei barbiere era addirittura riconosciuta pubblicamente come qualificata tant’è che i barbieri ricevettero paghe abitualmente più alte dei chirurghi effettivi.
È di quel periodo la nascita di quello che fu per anni il simbolo e l’insegna dei negozi di barbiere vale a dire il bastone rotante a strisce rosse e bianche, che simboleggiavano la chirurgia (le rosse) e l’arte del barbiere (quelle bianche).
Con il tempo e il progredire delle competenze e delle esigenza mediche, vennero promulgate delle disposizioni legislative finalizzate a ridurre considerevolmente i servizi medici che i “barbieri-chirurghi” potevano assicurare; inizialmente fu comunque permesso loro la sola pratica dei salassi unitamente a quella della estrazione dei denti.
Successivamente anche queste ultime attività vennero loro precluse anche se, di fatto, la rimozione dei denti continuò ad essere praticata fino al XIX secolo e in alcuni casi fino agli inizi del secolo XX.
Fu così che, in Gran Bretagna, fino al 1745 le corporazioni di chirurghi e le corporazioni dei barbieri lavoravano insieme, poi - per volere di re Giorgio II – ebbe luogo la divisione che separò, di fatto, le due “gilde”. La professione di barbiere fu così ridotta solo alla cura dei capelli e della barba.
Analoga decisione prese poi re Luigi XIV di Francia, con conseguente e progressiva perdita di prestigio della professione in quella nazione e in tutte le altre d’ Europa tant’è che da allora i barbieri persero, in modo inconfutabile, la possibilità di effettuare quelle “pratiche mediche” e vissero, per un certo periodo, una fase in cui la loro professione era guardata con scherno, giacché i barbieri erano considerati individui dalle scarse capacità.
Fu comunque tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo che la bottega del barbiere divenne nuovamente un elemento importante per la comunità tanto è che in quel periodo si ritrovano barbieri in tutte le città e in tutte le piccole comunità, e le catene di negozi di barbierie cominciarono ad essere inaugurate.
I barbieri recuperarono il loro prestigio sociale e la loro attività ebbe una rinascita gloriosa, che per altro, motivò la ricerca di nuovi standard e regolamenti per rendere la professione più affidabile e prestigiosa.
Fu da quel periodo che gli uomini “ripresero” la consuetudine di frequentare i “saloni” dei barbieri, per rilassarsi e per godersi il lusso di una rasatura effettuata da un esperto barbiere il quale usava un profumato sapone e un pennello da barba, con grande delicatezza e talento e contestualmente era bravissimo nell’uso di un rasoio a mano libera.
La bottega del barbiere divenne anche un luogo dove gli uomini della comunità si riunivano per giocare a dama, a scacchi, dove si strimpellava qualche strumento musicale e si “faceva musica”, si raccontavano le ultime notizie, si discuteva dei raccolti, del prezzo delle sementi e in cui si parlava degli eventi più recenti.
Come in tantissimi centri abitativi d’Italia, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, anche a Montella le botteghe dei barbieri erano presenti in numero consistente e, di fatto, la professione del barbiere era un’attività largamente praticata,
Al tempo della mia lontana infanzia - negli anni “45-50” - ricordo che in paese funzionavano diversi “saloni”, per lo più concentrati in piazza Bartoli e in altre strade assai adiacenti.
Proprio all’inizio di Piazza Baroli, nel locale posto ad angolo, all’attuale civico numero uno, in quegli anni remoti vi era il “salone” di Luigi Savino, un “omone” dalla personalità assai ironica, allegra e cordiale il quale faceva anche l’orologiaio.
Nelle vicinanze, attiguo al Bar Scandone, c’era poi il barbiere Alfonso Sica dal carattere affabile e di molto gentile.
Era il mio barbiere e mi recavo dunque da lui, periodicamente, per il taglio dei capelli.
Ricordo che nella sua bottega erano, collocati su una mensola posta tra i due specchi centrali, dei capienti “boccacci” di vetro coperti con una tela poco fitta e colmi di acqua e di tante, tante sanguisughe.
Alfonso, come mi ha confermato il suo nipote Renato, era l’unico barbiere montellese in grado, su richiesta di un medico, ad applicare le sanguisughe, a domicilio, sia per ictus sia per altre necessità cliniche. Renato mi ha spiegato che le sanguisughe provenivano dal foggiano e il nonno, per lo più, le conservava a casa, in grossi vasi di gres, contenenti argilla umida ed acqua, anch’essi ricoperti con una tela.
Luigi Sica, parente di Alfonso, era anch’egli barbiere; era amichevolmente denominato “Presutto” e aveva la sua bottega accanto all’allora “Bar Cuozzo”, quello della “Maestra”, vale a dire nel locale dove oggi c’è l’edicola di giornali di Matteo Cianciulli.
Peppo Ginelli aveva invece la sua bottega in un locale distrutto dal sisma del 1980 che era attiguo all’attuale Biblioteca Comunale; quella bottega di barbiere fu chiusa allorquando il titolare emigrò, con l’intera famiglia, negli anni “50”, negli Stati Uniti e fu riutilizzata come “salone”, molti anni dopo, negli anni 70-80, da Fernando Iannella.
Sempre negli anni “45-50” lungo l’attuale via del Corso, in uno dei locali ove è allocata l’attuale “Farmacia SS. Salvatore”, la professione di barbiere era esercitata da Ferdinando De Stefano, detto “Nannuccio”, il marito di Flora Bettini e dunque il padre del mio amico d’infanzia Arnaldo.
Di contro nei locali dove è oggi ubicata la Farmacia Moscariello, negli anni in argomento, l’attività di barbiere era svolta da Angelo Vernacchio, un barbiere serio e abbastanza schivo.
Negli anni “60-70” il numero dei barbieri si incrementò, sia per inizio di attività, sia per subentro professionale e sia per naturale “ricambio generazionale”.
Fu così che al barbiere Alfonso Sica subentrò il figlio Vincenzo il quale, dal 1952, integrò la sua attività con la vendita di quotidiani, giornali e riviste varie divenendo, conseguenzialmente e suo malgrado, concorrente di Orazio Fierro, vale a dire l’altro ed unico edicolante di quel tempo.
Al barbiere Luigi Savino subentrò il figlio Pasqualino il quale tenne in esercizio il salone fino a quando, in anni susseguenti, emigrò, anch’egli in cerca di migliore fortuna, in Canada.
Di fronte alla mia abitazione, in uno dei locali del palazzo Cavallo, Mario Gambone proprio agli inizi degli anni ’70 iniziò la sua attività di barbiere.
Era semplicemente denominato “don Mario”, era appassionato di calcio e possedeva un carattere molto gioviale per cui molti giovani montellesi divennero da subito suoi fedeli clienti.
Anch’io divenni suo cliente, sia per comodità di vicinanza abitativa e sia per simpatia.
“Don Mario” è stato il mio “figaro” fino al 2002, vale a dire fino a quando ha lasciato la sua attività. Con lui ho tutt’ora un rapporto di amicizia e di stima anche perché egli è, per altro, uno dei miei ultimi e preziosi referenti per il riscontro per alcuni argomenti su cui scrivo
Ritornando ai barbieri ricordo che, nello stesso periodo, al Riarboro, Pasquale Vitale aprì un nuovo salone ma, in relazione forse ai pochi clienti trasformò, nel giro di qualche anno, la sua attività di barbiere in quella di “parrucchiere per signora”.
In quella stessa “epoca”, al termine dell’attuale via Filippo Bonavitacola e l’inizio di via F. Cianciulli il giovane (allora) Luigi Lepore aprì il suo negozio di barbiere per lunghi anni in attività ed assai frequentato. Luigi ebbe diversi apprendisti e uno di questi, Vincenzo Vitale, avviò un negozio, tutto suo, negli anni 70-75 in un locale quasi attiguo a quello del suo “mastro”.
Lungo via del Corso quando “Nannuccio” De Stefano andò in pensione suo figlio Cesare non volle continuare l’attività del padre prediligendo, con la sorella Teresa, fare anch’egli il “parrucchiere per signora”, esercitando tale attività presso la sua abitazione, di fronte alla Chiesa di Sant’Anna.
Nello stesso periodo iniziarono la loro attività di barbieri anche i fratelli Ernesto ed Aurelio Clemente i quali intuendo l’esigenza delle donne montellesi, convertirono, parallelamente a quanto fatto da Ernesto Sesso, la loro attività di barbieri in quella di “parrucchieri per signora”. Di fatto Ernesto è stato, coadiuvato da sua moglie Tittina, il primo parrucchiere montellese ed aveva il suo “laboratorio” in Via del Corso, in un locale dell’”americano”, di fronte al palazzo Marinari,
Ad Angelo Vernacchio, lungo la Via del Corso subentrò il figlio Salvatore il quale era soprannominato “Pinocchio” e restò in “servizio” fino agli anni “70”.
Ad Angelo Vernacchio subentrò poi Antonio Giannotti che proveniva da Battipaglia, in provincia di Salerno, dove aveva appreso e già svolto quell’attività. Antonio Giannotti fu, a onore di cronaca, un barbiere innovativo e “rivoluzionario”, nel senso che fu il primo barbiere montellese ad impiegare nuove tecniche nel taglio dei capelli e ad inserire la consuetudine del lavaggio dei capelli.
Per altro in quel periodo Antonio fu il primo ad esigere un “tariffario” motivato ed articolato per cui, all’epoca, per fare “una barba” si spendevano 250 Lire (pari ad € 0,13), per il “taglio di capelli” 1.000 Lire (€ 0,52) e per “shampoo e capelli” Lire 1.500, meno di un euro attuale, vale a dire …...... solo 0,77 centesimi di euro !!!!
In fondo alla via del Corso, nei pressi dell’allora “Bar Dello Buono”, Erminio Dello Buono, sempre in quel periodo, aprì un negozio da barbiere; egli era fratello di Leopoldo (che all’epoca gestiva una salumeria) e di Carmelino vale a dire il gestore dell’omonimo Bar. Assai intraprendente, Erminio, successivamente - ampliò il suo negozio annettendovi un servizio di “docce pubbliche”, con acqua calda, assicurata tramite una caldaia alimentata a legna.
Infine un altro negozio di barbiere fu avviato, a Fontana, da Salvatore Volpe, detto “Biasiello” il quale, dopo qualche tempo, lasciò quell’attività ed aprì una salumeria, assai nota e di lunga funzionalità.
L’elenco dei barbieri potrebbe ancora continuare ma non sono in grado di ampliarlo ulteriormente giacché la mia memoria, offuscata dall’età, ha difficoltà a “mettere a fuoco” altri nominativi.
Ho anche consapevolezza che, nel ricordare i barbieri innanzi elencati, ci sono sicuramente delle omissioni e delle imprecisioni dovute per lo più ai non sempre facili “riscontri di ricordi e di memoria” con i miei coetanei, ma l’elenco di quei lontani barbieri ha un suo valore e sta a significare che, ai tempi della mia infanzia, a Montella erano molti i barbieri in attività e dunque questa “professione” costituiva, unitamente a tantissimi altri mestieri, un elemento importante, un simbolo della civiltà della Montella di quegli anni lontani.
Al pari delle altre e molteplici attività artigianali praticate allora, quella del barbiere era un mestiere dignitoso e al tempo stesso modesto, che non assicurava grandi guadagni tant’è che, in quegli anni passati il barbiere, il più delle volte, era obbligato a svolgere, contestualmente, una seconda professione: ordinariamente quella dell’orologiaio o anche quella del sarto
C’ è comunque da dire che negli anni della mia infanzia, il lavoro del barbiere, come già detto, era assai diffuso e, rispetto a quello attuale, molto più semplice tant’è che gli arnesi, con i quali i barbieri lavoravano, si riducevano a pochi pezzi: il pennello da barba, il sapone, qualche rasoio, la pietra di allume, eventualmente la pietra per affilare – unitamente alla “strappa” di cuoio - i rasoi stessi, un pettine, un paio di forbici, la “tosatrice” che serviva per eseguire tagli di capelli a mano, una boccetta (contenete alcool) con pompa a spruzzo, cipria e a concludere: la spazzola per eliminare i residui capelli tagliati.
Ordinariamente gli elementi indispensabili per un negozio di barbiere includevano poltrone, specchi, mensole, sedie per i clienti in attesa, uno o due lavandini e qualche mobiletto in cui riporre tovaglie e prodotti vari; non vi erano dunque inclusi né lavandini, con acqua corrente, per il lavaggio dei capelli, né carrellini portaoggetti, né registratori di cassa, insomma niente di quando si vede, oggi, nei negozi denominati sia “Salone di bellezza unisex” o sia “Centri di “hayr stylist” che poi altro non sono che i soliti ……..negozi di parrucchieri e di acconciatori di capelli.
In altre parole: “una volta c’era il barbiere adesso c’è l’hair stylist, un po’ come dire che “un tempo c’era il cuoco ed ora c’è lo chef” ! .
Le poltrone, dotate di poggiatesta e poggiapiedi, erano di quelle appositamente progettate in modo da garantire sia il confort del cliente che quello del lavoro del barbiere; erano, dunque a seduta estensibile, tali da permettere di regolarne l’altezza.
Inizialmente erano “rigide” e poi, in un secondo momento, perché dotate di una pompa idraulica a leva, erano “snodabili”, del tipo da fare in modo che il cliente assumesse una posizione perfetta per la rasatura di barba, dei baffi e dei capelli.
In definitiva le poltrone e il loro numero “caratterizzavano” il negozio e costituivano il posto di lavoro vero e proprio del barbiere; esse erano collocate, nella zona centrale e più luminosa della stanza, di fronte ad un ampio specchio e adiacenti ad una mensola o un ripiano su cui erano poggiati gli attrezzi prima elencati.
Ordinariamente lungo la parete contrapposta vi erano allineate un serie di sedie che delimitavano un piccolo “ambiente” in cui fare accomodare le persone in attesa del loro turno; a completamento dell’arredo, oltre agli attaccapanni e al portaombrelli, qualche volta, in un angolo di quella parete, per i clienti in attesa, c’era un tavolino su cui erano appoggiare vecchi giornali di cronaca e di sport.
Erano dunque botteghe “spartane”, sempre prospicenti ad una strada di costante percorrenza, avevano porte a vetri, erano, dunque, abbastanza luminose ed avevano una capienza tale da consentire sia una sistemazione razionale dell’arredo sia quello di accogliere un numero proporzionale di persone.
Al pari dei vari bar/caffè, delle varie “cantine” e delle botteghe dei “sarti” e degli “scarpari”, i barbieri, con le loro botteghe, erano punti di aggregazione e di socializzazione.
Passandovi innanzi, conoscenti ed amici, vi si fermavano con frequenza abitudinaria, salutavano e si intrattenevano. Per lo più erano sempre le stesse persone le quali si fermavano “a chiacchiera”, per un bel po’ di tempo, per il piacere di parlare, come si fa tra amici, del più e del meno o anche per commentare eventi e situazioni.
Non a caso a quei tempi, a Montella (come d’altronde in tutti i paesi della provincia italiana) la gente era più aperta, comunicativa, desiderosa di parlare e di ascoltare, non si andava di fretta e dunque c’era la voglia e il gusto dello stare insieme; le botteghe (tutte) erano dunque luoghi in cui ci si intratteneva piacevolmente, e in cui …si spettegolava anche!!
Nel negozio del barbiere si parlava anche di salute, anzi c’era lo scambio di notizie dei consigli ricevuti dal proprio dottore, del tipo che per la “pressione alta”, occorreva “togliere il sale dalla dieta, mangiare meno cibo fritto, smettere di fumare o ridurre lo stress.
Trovandosi tra soli uomini si parlava anche di donne e lo si faceva, il più delle volte esprimendo giudizi e apprezzamenti sulla involontaria, innocente e casuale ragazzotta che, per pura casualità, era, di passaggio, nei dintorni del negozio.
L’argomento del sesso era comunque assai “gradito” e trattato, ovviamente, in modi assai circospetti, ironici ed anche sarcastici; ricordo come, in concomitanza delle feste di fine anno, era consuetudine ricevere, in omaggio, dal proprio barbiere, con un un’aria di condiscendenza e di ammiccamento, dei calendarietti, per altro profumatissimi, con immagini di donnine scollacciate e provocanti.
Capitava anche di avere, in quell’epoca, in fugace visione, un qualche giornaletto “particolare” che, proveniva dall’estero (e dunque “portato” da qualche amico emigrante, proveniente dalla Francia o dalla Svizzera); erano pubblicazioni contenenti foto, in bianco e nero, di donnine “pettorute e senza veli”, insomma robetta hard, ingenua e innocente soprattutto se paragonata alla robaccia oggi facilmente e sfacciatamente disponibile, per chicchessia, su internet.
Ancor oggi, nonostante gli anni passati, ricordo chiaramente il mio primo taglio di capelli, un evento vissuto con emozione e mostrato, ritornato a casa, ai pareti ed agli amici.
Ricordo i profumi della schiuma da barba e delle lozioni e ricordo altresì la straordinaria cortesia che il barbiere, immancabilmente mostrava allorquando si varcava la soglia di quegli storici “saloni”.
Per me andare dal barbiere è sempre stata l’occasione particolare, una occasione per un susseguirsi di discorsi infiniti, per ritrovarsi, per confrontarsi e per condividere insomma un momento di piacevole distensione in cui è possibile dare uno stacco alla routine quotidiana.
In altre parole quel negozio - soprattutto se il barbiere è lo stesso da anni - non solo è un posto dove tagliare i capelli, è un posto “particolare”, esclusivo, in cui si può essere se stessi vale a dire un territorio “tuo”, in cui sei tra amici che condividono la tua storia, i tuoi ricordi, le tue emozioni e i tuoi successi.
E’ per tutte queste motivazioni che, ritornando a Montella, per me era ed è un autentico piacere andare dal mio vecchio barbiere vale adire nella bottega di “Don Mario” e, dopo il suo pensionamento, in quella di Di Nolfi Aurelio il quale, quest’ultimo, gestisce, attualmente, insieme al figlio Gianni, il suo negozio nella maniera “tradizionale”, con l’atmosfera giusta, come quella di una volta; un “salone” per soli uomini, dove sei inebriato dall’odore di talco e di lavanda, dove ritrovi una poltrona in pelle, comoda, avvolgente, su cui stendersi, dove non occorre prendere appuntamento, dove, arrivando, puoi attendere “il tuo turno” dai 20 ai 90 minuti, dove non c’è fretta, dove il cliente è accolto con cordialità e concreta simpatia, dove i clienti, mentre attendono, parlano tra loro, discutono, come s’è già detto innanzi, dei fatti del paese, dove si chiacchera del più e del meno, dove spuntano fuori ricordi ed aneddoti incredibili, lontanissimi, di tanti anni fa.
Per la stesura di questo articolo ho parlato a lungo con Aurelio il quale mi ha testimoniato, soprattutto attraverso i suoi ricordi, che la sua attività, parimente a quella degli altri suoi colleghi, è un’autentica professione artigianale, imparata fin da bambini e, per tradizione, portata avanti da padre in figlio.
Rispetto ai tanti di una volta, attualmente a Montella sono “in servizio” solo cinque barbieri.
Il primo è Ferruccio Avallone in via del Corso, di fronte alla Farmacia del SS. Salvatore¸ il secondo e terzo sono Aurelio Di Nolfi e suo figlio Gianni, nella stessa via del Corso, al n. 139, nei pressi della Gioielleria “Brunat”; il quarto barbiere è “Peppo” Pizza che ha la bottega in via Fiume Calore, al n. 22; il quinto ed ultimo barbiere è Sergio Volpe, detto anche “Beccalossi”, con bottega a San Simeone.
Oltre a questi cinque “ultimi moicani”, esperti nell’arte dell’antica tonsura, vi sono altri artigiani i quali, per lo più titolari di negozi di parrucchieri per signora, si occupano saltuariamente, anche e con scarsa frequenza, del taglio dei capelli degli uomini; per esattezza di cronaca, questi “barbieri occasionali” sono Aurelio Clemente e suo nipote Ivano, Roberto Chieffo e Fiore Sesso, prossimo, quest’ultimo – dopo anni ed anni di attività, alla “pensione”.
Feruccio e Aurelio hanno appreso “l’arte” dal barbiere Antonio Giannotti attraverso un lungo tirocinio.
Ferruccio Avallone mi ha ricordato che iniziò ad essere “riscipolo” di Giannotti da ragazzo, dopo aver conseguito il diploma di terza media.
La sua formazione durò 6 lunghi anni e ricorda che essa iniziò, esattamente il 26 giugno del 1977.
Nel 1983 (avuto il necessario attestato del versamento dei prescritti contributi assicurativi per tutti i 6 anni di cui innanzi) Ferruccio richiese ed ottenne “la licenza commerciale di barbiere” ed aprì, esattamente nel marzo del 1983 ad oggi, il suo attuale negozio di barbiere, nel locale di via del Corso che, fino ad allora, era stato la “sede” …… del Partito Monarchico Italiano !
Di contro, Aurelio Di Nolfi, come apprendista, frequentò la medesima bottega dal 1962 al 1970, poi si trasferì a Napoli dove andò un altro salone. Ritornato a Montella nel 1975 riprese il suo “praticantato” da Giannotti, fino al 1979, anno questo in cui, anch’egli aprì una sua attività nel negozio attuale di via del Corso, rilevandola dal “collega” Amerigo Ziviello.
Aurelio mi ha ricordato che, all’epoca, insieme a lui c’erano altri “apprendisti” i quali, appreso il mestiere, emigrarono: esattamente si tratta di Salvatore e Aurelio Soriano che partirono per gli Stati Uniti e di Luigi Savino che, parente del vecchio Luigi Savino, partì per il Canada.
Aurelio mi ha mostrato e mi ha lasciato fotografare alcuni suoi vecchi “arnesi del mestiere e discorso facendo mi ha anche precisato che a Montella, nel 1984, furono censiti 9 barbieri per soli uomini e 9 parrucchieri per signora; in quello stesso anno fu anche stabilito il “principio della distanza obbligatoria” tra due stessi esercizi che fu, di fatto, definita in 150-200 metri l’uno dall’altro.
Per completare questo “articolo” sono stato in via Calore e “Peppo” Pizza, mi ha ricordato che lui iniziò ad apprendere “l’arte del tonsore“ nella bottega di via del Corso, al n. 139, gestita in un primo tempo (dal 1978 al 1979), dal barbiere Amerigo Ziviello e in un secondo momento (dal 1979 al 1993) da Aurelio Di Nolfi il quale, per l’appunto aveva, come poco innanzi già detto, “rilevato” quel salone giacché Amerigo (che era stato - a sua volta - “riscipolo” re masto” Erminio Dello Buono”) s’era trasferito, in quell’anno, a Verona.
Peppo avviò, dunque, una sua diretta attività, nell’attuale negozio, nel 1993 e mi ha ricordato che, all’epoca, per il servizio completo – di barba, taglio capelli e shampoo - richiedeva la tariffa di lire 10.000, equivalenti, al giorno d’oggi, a poco più di 5 € .
Sergio Volpe, quinto ed ultimo barbiere ancor oggi in servizio a Montella, esercita, come già detto, la sua attività, in via San Simeone, al numero civico 98.
Il suo salone è alquanto “originale” perché contornato da quadri colorati e da foto storiche assai interessanti ed offre, per incontrollabile passione del titolare, un “sottofondo musicale” costituito da tarantelle e dagli altri noti e numerosi canti folcloristici montellesi.
Sergio, chiacchierando, mi ha ricordato che lui apprese l’arte del barbiere da Luigi Lepore, attraverso un “tirocinio” durato quattro anni, dal 1969 al 1973; egli attuò quel “percorso formativo” insieme ad un suo coetaneo, Carmelino Bosco il quale, poi, emigrò, all’estero, in Canada.
Mi ha anche ricordato che inizialmente, nel 1974, esercitava l’arte in casa e che aprì la sua attuale bottega nel 1977 gestendola, così, con continuità fino ad oggi.
Dopo tanto “divagare” sull’argomento è ora il momento di concludere.
E’ fuor dubbio che l’arte di “Figaro” in passato era un’attività artigianale caratterizzata, tramandata ed affinata sia nell’utilizzo delle forbici e sia in quella dell’uso del rasoio sulla pelle; era un’arte esclusiva che si realizzava con movimenti lenti ma sicuri, attraverso tecniche che trascendono il susseguirsi delle “mode”.
Anche se antichissimo, il mestiere del barbiere è, comunque, un’attività sempre viva, in evoluzione adattandosi, essa alle esigenze e alle mode dei tempi correnti.
Infatti, rispetto al passato, i “barbieri odierni” hanno nuove capacità professionali, poliedriche e fantasiose tant’è che “lanciano” mode e “tagli” spesso originali o ripropongono, ai tempi attuali, usi e abitudini un tempo di appannaggio esclusivamente femminile.
Ne è riprova il fatto che oggi, abbondano i cosiddetti “Saloni di bellezza unisex” i quali offrono servizi per entrambi i sessi, che, escludendo la rasatura del viso, inglobano comunque il taglio e la colorazione di capelli, le depilazioni, i servizi di manicure ed assicurano anche molteplici prestazioni mirate tutte alla cura e all'igiene delle persone e allo loro “immagine”.
E’ evidente che, con questa molteplicità di “nuove” prestazioni, la professione del “barbiere” è, cosi come s’è già detto, di molto mutata e, acquisendo nuove e specifiche peculiarità, essa si è ben correlata alle esigenze moderne.
Come avvenne tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, i barbieri rivivono, nel nostro quotidiano, una rinascita e un prestigio sociale, insperato negli anni passati.
I “Saloni di bellezza unisex” sono ben frequentati ed offrono, a chi vi lavora, benessere, tranquillità, dignità positiva e nuovo prestigio.
C’è anche che noi anziani, abituati al vecchio “salone”, in questi “Centri di “hayr stylist” ci sentiamo in disagio tant’è che, abituati alle tradizionali e ridotte prestazioni, sta diventando un’impresa trovare un barbiere di “vecchio stampo” per cui, girando per le strade di una normalissima città italiana, difficilmente ci imbattiamo in “saloni” che offrono, con in insegne appropriate, solo servizi per gli uomini.
E’ per queste motivazioni che, per me e per altri miei coetanei, il mestiere del “barbiere tradizionale” assume una valenza particolare ammantata anche da affettuosa nostalgia.
Da ciò discende, e concludo per davvero, che anche il “mestiere del lontano Figaro” (come quello dei “caraonièri”, dei “sarti”, degli “scarpari”, dei “ferraciucci” e dei “trainieri”) resta e rappresenta - soprattutto per noi anziani - un simbolo, un caro e prezioso ricordo della civiltà montellese degli anni lontani e appartiene, dunque, ad un’epoca pregressa, caratterizzata da duro lavoro, da sofferenze, sacrifici e privazioni al giorno d’oggi inimmaginabili, soprattutto per le “giovani leve” alle quali – unitamente ai barbieri montellesi di ieri e di oggi – dedico, con sincera simpatia, questo mio “articolo”.
“Attrezzi del mestiere” in uso negli anni ‘60/’70 e collezionati da Aurelio Di Nolfi
N.B. : Questo articolo è già stato pubblicato sul periodico "Il Monte"- Sezione "Cara Montella" - Anno XVI- n. 2 – Maggio/Agosto 2019
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