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Inaugurazione del nuovo anno dell’accademia Vivarium Novum a Frascati ,di Roberta Bruno Pubblicato dal quotidiano del sud

FRASCATI – Si conclude oggi presso la magnifica Villa Falconieri, non a caso scelta come sede del Campus Mondiale dell’Umanesimo, l’inaugurazione del nuovo anno dell’accademia Vivarium Novum, istituita dal latinista di fama internazionale professore Luigi Miraglia, che accoglie e forma i giovani più meritevoli provenienti da ogni continente, regalando loro, oltre che una vera esperienza di vita comunitaria, una profonda formazione umanista. L’evento, intitolato “humani generis concordia” e dedicato alla memoria del filosofo francese Remo Bodei, amico e sostenitore dell’Accademia e recentemente scomparso, ha riunito attorno al tema della concordia e della tolleranza le grandi menti della cultura classica e rinascimentale come: Claudio Moreschini, Alessandro Tessari, Stephane Toussaint, Kurt Smolak, Davide Monaco, Marc Augé, Charles Guittard, Ivan Parga, Enrico Peroli, Guido Cappelli e Giancarlo Rinaldi.
Quando popoli diversi vengono a contatto portando con sé la propria storia e la propria cultura diviene possibile, se non addirittura facile, che il confronto, quando supportato da “un’ignoranza priva di dubbi” e “tracotanti certezze”, si trasformi in scontro e sopraffazione di una civiltà nell’altra,
«Quello che ci costringe a fare la guerra» afferma nel suo intervento Alessandro Tessari, professore dell’Università di Padova, ripercorrendo Il Liber de gentili et tribus sapientibus di Raimondo Lullo e il Dialogus inter philosophum, ludaeum et Christianum di Abelardo «sono il costume e l’abitudine» e avverte «il buio e la notte non stanno solamente nel passato, ma anche in quello che potrebbe succedere in futuro. Il male assoluto è ciò che può sempre sopraggiungere».
All’interno del Rinascimento è stato essenziale ritrovare quella “radice comune” al di là delle diverse fioriture di civiltà e di pensiero. Furono tanti i pensatori, come Raimondo Lullo e Pietro Abelardo, ma anche Nicolò Cusano, Pico e Marsilio Ficino, che hanno ricercato e dimostrato questa unione ragionando proprio sulla Concordia. Nella nota rappresentazione del Lorenzetti “Allegoria del Buon Governo” del 1338, conservata nel Palazzo Pubblico di Siena e scelta come immagine rappresentativa dell’evento, è possibile scorgere in primo piano la rappresentazione della Concordia sulle cui ginocchia è poggiata una pialla, simbolo del livellamento delle disuguaglianze, mentre, tra le mani, racchiude una corda che divide e distribuisce ai 24 cittadini senesi, i quali la consegnano al “Bene Comune”, che è intento a rintrecciarle. La corda qui è rappresenta il simbolo della concordia e, allo stesso tempo, porta con sé il concetto di Fides, la corda con cui si suona la cetra e si crea l’armonia.
A ricostruire e descrivere il concetto della concordia nel Rinascimento cristiano, spaziando da Savonarola all’abate Bessarione e restituendo la cultura del pensiero umano nella sua interezza, è Claudio Moreschini, professore dell’Università di Pisa e dell’Istituto Patristico Augustinianum di Roma.
Tale concetto è stato ricercato e affrontato soprattutto nei momenti più difficili della spaccatura tra Oriente e Occidente, ma nei tempi attuali è imposta una certa necessità del suo recupero, che può realizzarsi in primo luogo con la consapevolezza della storia che ci portiamo alle spalle, e poi con il confronto con i grandi pensatori del passato. Ancora una volta la cultura, la filosofia e la letteratura si impongono come pietre miliari della memoria e oltre che come chiave unica dell’avvenire.
Il futuro e il progresso morale, l’unico e vero sviluppo auspicabile, compongono difatti la questione centrale delle tante argomentazioni di alto livello culturale, che Marc Augé, docente dell’Ècole des hautes études en sciences sociales, affronta in modo magistrale, mettendo in risalto le grandi contraddizioni dell’età a noi contemporanea, le quali strappano, sotto le mentite spoglie di una finta tolleranza e di una “correttezza politica”, armonia e concordia.
«La scienza sta progredendo, ma anche l’analfabetismo» afferma Augé «le disuguaglianze nella conoscenza sono ancor più evidenti che nel consumo. Da qui un sentimento di disagio o d’ansia si diffonde, per ragioni oggettive, ma anche perché siamo informati di tutto ciò che accade ovunque istantaneamente e questo effetto cumulativo è di per sé ansiogeno. Di conseguenza, diventa minoritario o sospetto parlare di progresso».
Quella che propone il professore, sulla scia di diversi autori e filosofi, è “un’antropologia impegnata” contro un’umanità superficiale, che faccia “di ogni uomo, tutto l’umo”; ossia lo ricomprenda nella sua triplice dimensione: quella individuale (ognuno di noi con il proprio corpo e i propri affetti) inseparabile da quella culturale (che controlla i principi dei suoi rapporti con gli altri) e da quella generica (un essere umano, indipendentemente dal suo sesso e dalle sue origini).
Umanità ed educazione sono le uniche direzioni perseguibili per preservare quel futuro che contempli il pianeta, nell’aspetto materiale ed ecologico, senza dimenticare mai nessuna parte dell’umanità.
Tolleranza non è dunque il sofferto silenzio di un “sopportare con pazienza”, ma include uno sforzo intellettuale che porti all’incontro con l’altro e alla condivisione nella radice comune. In questo senso anche l’integrazione diventa una questione che riguarda l’identità, allo stesso tempo plurale e individuale, e la relazione diviene il rapporto essenziale di questo processo.
Stéphane Thoussaint, ricercatore del CNRS di Parigi e presidente della Societé “Marsile Ficin”, approfondendo il rapporto tra Pico e Ficino indaga esattamente questa dinamica del rapporto con l’altro, e afferma: «Nell’amicizia vi è confusione e fusione delle due individualità al punto che quello che ama non sa più esattamente come esprimere il suo amore e perde un po' della sua identità nell’altra persona». E continua: «La concordia tra i due è fatta di armonia, come le parti materiali di uno strumento sempre in tensione, e di simpatia, il sentire comune che si ritrova nell’universo malgrado le contrarietà e le tensioni del cosmo».
Ritorna allora l’interrogativo di Augé: «C’è spazio per un nuovo Umanesimo?».
Un umanesimo che non solo “tolleri” le differenze, ma che si sforzi di ricercare e promuovere l’armonia di fondo, di una concordia necessaria per tutti. Ebbene: lo sforzo dell’intelletto, il movimento dialettico che apre al dialogo tra le contraddizioni, il confronto intellettuale e, infine, il viaggio che nega “l’evidenza della casa”, ossia che neghi quel senso forte e talvolta violento dell’appartenenza, sono le uniche vie contemplabili del nuovo umanesimo per condurre alla concordia. Quest’ultima è il risultato di un’armonia tra le parti, e deve esserci nel rapporto dell’individuo con se stesso, affinché gli istinti più bassi vengano domati con l’educazione di sé; deve esserci concordia, poi, tra gli uomini, educati dall’arte e all’arte politica, la sola che genera “armonia delle parti nel corpo sociale” e, infine, un’armonia più generale, che è possibile ritrovare nel mondo, il kosmos, che non a caso significa ordine.
A rendere accessibile ai sensi l’idea di armonia universale è l’artista olandese Joost Willemze, ex studente dell’accademia e oggi musicista riconosciuto a livello internazionale e vincitore di tutti concorsi mondiali di arpa. Le mani esperte dell’artista si muovono sulle corde, dando vita a note alte e leggere, simili a bolle. Ogni nota sembra trasportare verso l’alto e, non appena svanita, è già pronta ad accoglierti quella successiva. Un silenzio innaturale proviene dal pubblico, immobile e sospeso come in un incantesimo che ha fermato il tempo, i respiri ed ogni cosa che ricordi il movimento umano.

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Oscar W - Rassegna teatrale (R)ESistiamo - San Michele di Serino

“(R)Esistiamo” la rassegna teatrale organizzata presso la Bottega del Sottoscala, piccolo teatrino a San Michele di Serino va avanti.  Il prossimo appuntamento è sabato 16 e domenica 17 novembre alle ore 20.30 con lo spettacolo “Oscar W.”, interpretato da Mariagrazia Torbidoni per la regia di Andrea Onori, produzione Virgolatreperiodico (Roma).

Lo spettacolo analizza la vita di Oscar Wilde, che è stata una parabola incredibile e che lo ha visto in un primo tempo indossare gli eleganti panni del conferenziere e dello scrittore di successo e poi gli stracci infamanti e vergognosi del condannato in carcere.

Attraverso l'intreccio e la sovrapposizione di storie, parole e personaggi appartenenti tanto alle opere quanto agli episodi più significativi della sua biografia, la piéce delinea la sua traiettoria esistenziale, dai momenti di esaltazione e di fama a quelli più tragici e bui.

Partire da Wilde per mettere in scena Wilde, il tutto nelle mani di una sola attrice che, in un susseguirsi di scambi tra persona e personaggio, dà vita ad una scena spesso fatta di ribaltamenti e trasformazioni, dove anche il tempo e lo spazio non seguono necessariamente le regole della logica, affidandosi piuttosto al fascino dell'immaginazione e del gioco teatrale.

Il rapporto diretto con il pubblico dà modo di illuminare Wilde nella sua veste più brillante, quella di raffinato affabulatore e uomo di mondo.

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Convegno a Montella Aree interne e sviluppo locale” avuto luogo di Bruno Roberta pubblicato dal Quotidiano del sud

MONTELLA – Mancanza di infrastrutture ma anche l’handicap della parcellizzazione delle forze locali e territoriali. Sono questi alcuni dei principali temi affrontati nel corso del convegno “Aree interne e sviluppo locale” avuto luogo, nella mattinata di ieri, presso il ristorante “Zia Carmela”. «Le scelte legate alla coltura castanicola devono essere strategiche - ha esordito introducendo il confronto il sindaco di Montella, Rino Buonopane.

Dopo le tante difficoltà avute per via del cinipide, dell’acqua e del clima, bisogna fare il possibile per ripristinare la produzione, oggi calata al 10%. Quello a cui stiamo puntando è la costituzione di un consorzio, entro fine anno, della castagna IGP e tutelare il prodotto proprio tramite la spinta degli attori della filiera. È importante farsi forza insieme. Il futuro è la castagna tutelata nella qualità e non nella quantità», assicura Buonopane. Anche lo sviluppo industriale è contemplato nei progetti del primo cittadino, che punta sull’insediamento produttivo dell’area PIP. Per il presidente del Consiglio Regionale della Campania, Rosa D’Amelio, «il ritardo nello sviluppo deve essere recuperato: da un lato bisogna capire come sostenere le aziende che sono in difficoltà, e dall’altro fare in modo che la castagna, già di denominazione IGP, diventi un prodotto di qualità sempre più eccellente. I dati Svimez sono drammatici non solo per le aree interne - prosegue la D’Amelio - ma per tutta l’Italia, che non cresce, e il Mezzogiorno nel complesso è sicuramente più indietro rispetto alla nazione». Secondo Fulvio Bonavitacola, vicegovernatore della Giunta Regionale Campania, a cui sono state affidate le conclusioni del convegno, per orientarsi nel prossimo futuro bisogna che si conosca “da dove si proviene”. «Nel passato - evidenzia il numero due di Palazzo Santa Lucia - la politica ha privilegiato l’area costiera e quella urbana, piuttosto che le aree interne». Bonavitacola che ha, poi ricordato, le tappe di questo cammino, dal terremoto degli anni ’80, fino agli investimenti, alle speculazioni e, infine, al completo abbandono del territorio, espone i punti da cui ripartire con un’inversione di rotta rispetto al passato. «Lo sviluppo dell’area è direttamente proporzionale alla sua capacità di essere collegata» commenta ancora il vicepresidente, alludendo all’importanza delle vie di comunicazione, soprattutto quelle del ferro mentre immagina le stazioni delle aree interne come «porte di ingresso e biglietto da visita delle comunità, capaci di attrarre visitatori non solo campani ma nazionali, anche grazie al recupero dei borghi antichi”. «In questo momento critico per la salute – continua - ci sarà una grande domanda per i luoghi ameni, e soltanto un consorzio in sinergia con le forze istituzionali potrà coordinarlo. Non basta un regista “da Napoli” - conclude - per questo bel film tutti devono concorrere, soprattutto chi vive il territorio».

 

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LA SAGRA IN DIRETTA

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Silvana Gambone "La svolta di Viola "

Nella cameretta color verde salvia, sulla sedia vicino alla finestra, i panni del bambino erano pronti già dalla sera precedente. Viola li aveva preparati con cura. Era un giorno importante sia per lei che per il piccolo glauco. Da quando era nato non lo aveva mai lasciato con nessuno, non per mancanza di fiducia, ma per il semplice fatto che voleva godersi ogni sua piccola conquista. Avrebbe dato la vita per suo figlio, perché mettendolo al mondo aveva ritrovato la sua. Lasciato il piccolo glauco nelle mani di suor palma, l'educatrice dell'istituto delle suore di maria bambina, viola s'incammina verso l'auto e si perde nei ricordi. Davanti ai suoi occhi si delineano i contorni del parco della grande villa che i suoi genitori custodivano per conto di una facoltosa famiglia romana. Un profumo l'avvolge mentre rivede la sua vecchia casa circondata da glicini che con il loro splendore tentavano invano di ricoprirne le crepe, per poi ritrovarsi adolescente e turbolenta giovane donna che a causa di un amore malato vive anni inquieti e tormentati. Quando tutto sembra perduto, una banale coincidenza farà prendere una nuova direzione al suo destino.

 

Commenti :

Zaira Varallo è con Silvana Gambone.
Libro scritto molto bene che racconta di una donna(ormai), in realtà molto forte, la cui adolescenza è stata un po' il Medioevo della sua vita....e che ne ha "indirizzato" la "svolta" positiva per il futuro. 😉Brava

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Ci siamo......Da alcuni anni dall'idea di Michelangelo Chiaradonna"Ricostruiamo il mulino di Montella"

Il 24 gennaio 2014 montella.eu pubblicava questo articolo di Michelangelo Chiaradonna : Carissimi concittadini, Quanti di voi, hanno a casa propria appeso ad una parete almeno un dipinto raffigurante „lo Ponte re lo jumo" con relativo mulino e il SS Salvatore sullo sfondo? Nel corso dei secoli, i nostri avi prima e le ultime generazioni poi, hanno assistito all ´evoluzione di quell´angolo caratteristico tra i piú belli d´Irpinia.Rappresentato dal ponte della lavandaia e dal mulino comunale. Dove decine e decine di pittori, famosi e meno famosi, professionisti e dilettanti, piccoli e grandi ne hanno immortalato le varie stagioni nel corso dei decenni. Partendo dal dipinto piu´famoso e piu´antico, quello del Palizzi... voglio proporvi un revival visivo, sperando che la vostra memoria illumini i vostri ricordi di un passato non troppo lontano; sperando di innestare quella sensazione di entusiasmo che porta e ha portato l´umanitá nel corso dei milleni a realizzare opere che ancora oggi contempliamo.......>>>>>>leggi tutto e inviaci un commento con il tuo nome e cognome

Realizzazione in miniatura del Ponte romano detto "della lavandaia" e del mulino comunale, ormai da decenni solo un rudere.Con questa realizzazione si vuole promuovere l´iniziativa per la ricostruziione del mulino!!!

 

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L'APPELLO di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Il Piano di Zona non prevede il trasporto e lo studente non può frequentare i laboratori prescritti dal neuropsichiatra - Le ore di assistenza garantite non sono sufficienti. Basterebbe un pullmino per portarlo in città . Ermes è un ragazzo autistico di 13 anni, vive a Forino e ha bisogno di terapie adeguate.

Di qui la scelta del neuropsichiatra che lo segue di indirizzarlo verso i laboratori attivati a Bellizzi. Ma Ermes non sa come raggiungere ogni volta il centro, a tre chilometri da casa sua, né la sua famiglia è in condizioni di accompagnarlo. Dal Piano di Zona che gli garantisce appena sei ore di assistenza la precisazione che non è previsto alcun trasporto per fruire dei laboratori. Eppure basterebbe un pullmino messo a disposizione dal Comune di Forino o da qualche associazione per aiutarlo a stare meglio e non perdere i laboratori. 

FORINO – “Ogni famiglia colpita dall’autismo vive una tragedia”, Ermes è il messaggero degli dei, figlio di Zeus e della Pleiade Maia. Quest’ultima, bella e solitaria, viveva in solitudine in una caverna, il suo nome, che proviene dal comparativo latino maius-maior, (“maggiore”, “più grande”) allude a qualcosa di ineffabile, ed è per questo che era associata, nella sconfinata immaginazione antica, al misterioso quanto fondamentale simbolo della fecondità.
Seguendo la mitologia si scoprono le Pleiadi trasformate in costellazione; queste compaiono nel buio della notte per accompagnare con la propria luce i navigatori che si sentono persi nell’immensità del mare.
Ebbene, Ermes nasce da questa unione prolifica tra il re degli dei dell’Olimpo e la potenza generatrice di una protostella, che solitaria e straordinaria stringe in grembo il potere della creazione. E quale poteva mai essere il ruolo di Ermes se non quello di messaggero degli dei?
Colui che nasce fanciullo, e tale rimane, vola rapido da una parte all’altra, re del Logos e del pensiero egli è l’unico preposto alla discesa nell’Ade, guadagnando così l’epiteto di Psicopompo.
Ermes è raffigurato con il caduceo, un bastone costituito da due serpenti che si intrecciano fino a formare una spirale, paradossalmente poi confuso con quello di Asclepio, il simbolo che vediamo affisso nella croce delle insegne farmaceutiche e che impone l’equilibrio del pharmakon, che è al contempo cura e veleno. I serpenti rappresentano, dunque, l’equilibrio tra il bene e il male ed Ermes, garante e messaggero, ne ha il controllo, suscitando il rispetto di tutti gli altri.


L’incontro nel profondo di Ermes con Ade fa perdere però al primo la parte essenziale del suo “essere comunicazione”, quello con la vita reale. Così, chiuso dall’interno, il messaggero rimane incastrato, come un Teseo senza Arianna, nel labirinto interiore.
Ermes è un eterno bambino, rinchiuso in un corpo che continua a seguire le leggi della fisica nello spazio e nel tempo, ha tredici anni, potrebbe chiamarsi in tanti altri modi, anche femminili, ma per comodità continueremo a chiamarlo Ermes.
Ebbene, come tutti gli adolescenti della sua età va a scuola, ma per via delle sue caratteristiche non resiste a lungo seduto tra i banchi dell’aula.
Ha una famiglia sicuramente complicata alle spalle: Zeus non è sicuramente un padre perfetto, occupato spesso da altri impegni è talvolta istintivo e violento, mentre la madre, unica nel suo genere, è rinchiusa in una profonda solitudine. Ermes, poi, non riesce ad attribuire alle cose lo stesso valore che gli altri vi danno; che sia il denaro, consuetudini o comportamenti, lo spazio o il tempo. Ma riesce ad amare, ed ama, in una maniera tutta particolare, la musica.
Se le sue giornate, trascorse ormai lontano dal perduto mondo mitologico, siano per lui ricche o meno di eventi, noi non possiamo stabilirlo, eppure possiamo fare qualcosa affinché anche la sua vita trascorra dignitosamente, come quella degli altri umani.
“Ogni famiglia colpita dall’autismo vive una tragedia”: la bellezza della vita che germoglia si ferma, impalpabile, dietro una campana di spesso vetro. Le carezze non toccano e gli sguardi non congiungono, le speranze e i progetti gelano, come quei fiori nati in una primavera che sa ancora troppo di inverno.
Diagnosticato intorno ai due anni, l’autismo è una malattia del neurosviluppo che decreta l’impossibilità per i bambini colpiti di raggiungere uno stato sufficiente di autonomia, costringendoli, invece, a vivere in un contesto di vita protetto e facilitato.
Non si può guarire, ma si può unicamente migliorare la qualità di vita, sia dei bambini che delle famiglie.
Ma torniamo ad Ermes e alla sua di vita. Oltre alle poche ore che lo trattengono a scuola (solo due!) e le mattine impegnate in una terapia occupazionale in un centro diurno del salernitano (uno dei modi per occupare il tempo), si inseriscono nella sua quotidianità tutta speciale sei ore donate da un’operatrice che fa parte del piano zona di Forino, che ha come obbiettivo quello di fornire sostegno al bambino e allo stesso tempo alla famiglia.
Ma tutto ciò può davvero bastare affinché le mura domestiche non diventino una cella per tutti?
“Dall’autismo non si guarisce”, è una condanna. Eppure, la bellezza dell’umanità sta nella capacità di saper trasformare i verdetti in assoluzioni, continuando a fare, a sperare e lottare nella vita, affinché questa possa essere sempre bella e sopportabile, e soprattutto degna di essere vissuta.
A questo scopo l’impegno medico e sociale si incontrano, dando vita a cure alternative che non si riducono prettamente ai medicinali ma in “terapie occupazionali”, che lasciano esistere ed esprimere il bambino.
Il neuropsichiatra infantile prescrive così ad Ermes di frequentare i laboratori scolastici di Bellizzi, a soli tre Kilometri da Forino, fiducioso in un suo coinvolgimento e progresso.
Questi laboratori oltre che gratuiti sono particolari, i ragazzi che partecipano svolgono attività teatrali (in un vero teatro!) musicali, artistiche, ma anche motorie e di riflessione, come lo yoga e lo Qi-Gong. Si svolge un’attività di Parent-traning che forma e aggiorna i genitori facendoli diventare cooperatori di un percorso educativo delicato ed importante, offrendo a quest’ultimi anche uno sportello di psicologia solidale.
Tutte attività che sono necessarie, per tutti gli Ermes, se non a guarire, per lo meno ad iniziare a vivere.
Le persone che collaborano in questo istituto sono tutte specializzate RBT e sono esperte di sviluppo comportamentale e cognitivo.
Quello che tiene ancora lontano Ermes da questo mondo è la componente disumana che vive nella burocrazia, e che non può non considerare questo ragazzo se non come una pratica o un numero. Disumanità che si può contemplare e compatire (forse) nella frase: «Il Piano di Zona non lo prevede».
Il diniego non riguarda solo il trasporto di Ermes verso Bellizzi, ma colpisce e incide su altro: come la possibilità di apprendere e perpetuare quei comportamenti che appartengono a quella considerata da millenni un’unica cosa con la dignità umana, ossia le pratiche cognitivo-comportamentali più intime, come poter andare in bagno correttamente, mangiare usando la forchetta non mettendo il viso nel piatto al pari degli animali.
Quella frase e quel diniego non solo non fanno più di quel bambino una persona, ma gli impediscono quel lento apprendere che lo riconduce e riabilita all’esistenza.
In una vita fatta di dolorose attese, scandita da crisi epilettiche e psicotiche, e domata a suon di Moditen e Depot, perché spegnere, insieme ad Ermes, anche la nostra ultima fiamma di umanità?
Quanto costi questo diniego forse chi sta dietro una scrivania non lo sa e non potrà mai saperlo, ma lo sa bene chi paga il prezzo di una decisione presa arbitrariamente e superficialmente,
che sia la famiglia che vive tale dramma, che sia un volontario che a tale scopo si batte senza vedere riconosciuta un briciolo di solidarietà o di giustizia, o che, infine, sia Ermes stesso, a cui viene tolta, di nuovo, la possibilità di vivere ed esprimere se stesso.
In Irpinia di piccoli Ermes ce ne sono 291, e ognuno di loro aspetta, come scrive De Andrè sulle orme dell’Antologia di Spoon River, che “una morte pietosa lo strappi alla follia”.
È il caso di chiedersi se la follia non sia, invece, la nostra.

 

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Castagna, la sagra sceglie i colori dell’autunno - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

MONTELLA. Dal legame con le radici al treno del paesaggio. Ieri la presentazione al Circolo della stampa - AVELLINO – Si è tenuta ieri la conferenza stampa di presentazione della 37esima sagra della castagna IGP di Montella. Presenti il sindaco Rizieri  Buonopane, l’assesso re con delega al turismo Angela Marano e l’assessore politiche agricole Emiliano
Gambone, a moderare Annibale Discepolo. Evento di qualità che indossa i colori autunnali, il rubino del vino, il verde dell’olio e il marrone che richiama alla terra, alle radici e al faticoso, ma dignitoso, compito di
raccogliere i suoi frutti. Novità di quest’anno il treno storico Avellino-Rocchetta, che partirà da Benevento, e che per i giorni 2 e 3 novembre giungerà fino a Montella. «La sagra è per noi occasione di promuovere il territorio - afferma il sindaco Buonopane due fine settimana che abbiamo a disposizione saranno sfruttati al meglio per organizzare il flusso turistico senza sovraffollamento.
Punteremo alla promozione culturale, con visite guidate al Convento di San Francesco, al Castello del Monte e al Santuario del SS. Salvatore, oltre che a quella naturale, con escursioni in montagna e nelle
aziende locali, grazie anche all’impegno delle associazioni. Stiamo, inoltre, dando vita ad un Comitato per il rifacimento del vecchio mulino, il recupero del luogo è un argomento caro a tutta la comunità montellese ». 

Tra mostre fotografiche, organizzate dal Forum dei Giovani, e le attenzioni dedicate ai bambini, non mancano le attenzioni alla qualità dei prodotti forniti, che saranno garantiti e accertati nella tracciabilità.
«Noi montellesi abbiamo la castagna nel sangue e nella tradizione» afferma Emiliano Gambone prima di spiegare le problematiche legate castagno e al territorio. «Il vero problema del castagno non è il cinipide, ma il cambiamento climatico. Quello, come tutti i parassiti, non attacca la pianta che lo tiene in vita, ma porta una diminuzione nella raccolta del frutto.

I cambiamenti del clima rappresentano invece un grande pericolo per l’intero castagno. La particolarità della nostra festa è che deriva dal rito della tradizione contadina e la nostra scommessa è questa: mantenere in vita la castagna per le generazioni future». Grande entusiasmo nelle parole dell’assessore Angela Marano, che elogia il lavoro svolto dalle associazioni locali, le quali si occuperanno della promozione del territorio non solo facendo scoprire le bellezze naturali, come l’Alto piano di Verteglia, ma promuovendo i luoghi di cultura e di culto. «L’attenzione al turismo - sottolinea Marano - sarà costante per tutto l’anno, in modo tale da mantenere acceso l’interesse per la nostra terra al di là u MONTELLA. Dal legame con le radici al treno del paesaggio. Ieri la presentazione al Circolo della stampa SUMMONTE Rivivono le antiche specialità Appuntamento oggi e domani a Summonte con la 37^ Sagra della Castagna dedicata ad uno dei prodotti più pregiati del territorio irpino.
Un viaggio nel segno della tradizione e delle ricette più genuine. Si inizia questo pomeriggio, alle ore 18, con l'apertura degli stand dolciari e gastronomici. Tantissime le specialità preparate dalle massaie summontesi a cui si affiancheranno le classiche caldarroste e ballotte, accompagnate da ottimo vino. Nè mancheranno musica e animazione.
Domenica alle ore 9,30 visite guida te al borgo e passeggiata nel castagneto e nei boschi e alle ore12 apertura stano gastronomici e festa nel centro fino a tarda notte.
LA SAGRA Volturara si mette in vetrina Musica, artigianato, tipicità, senza dimenticare le vie ferrate e di arrampicata. Sono gli ingredientidella 35esima edizione della "Festa della Castagna, del tartufo e del fungo porcino" in programma a Volturara stasera e domani.
Sono già centinaia, infatti, le roulotte e decine i pulman prenotati, a conferma della capacità di Volturara di essere un centro di attrazione Irpina sia per i prodotti di eccellenza, per le bellezze naturalistiche che per siti di interesse. Sarà l’occasione per andare alla scoperta del territorio, a partire dalle vie di arrampicata e ferrate. Da non perdere anche la tappa al Museo etnografico. 

Mongolfiere in aria Caldarroste dell’evento». Presente all’evento anche Pietro Mitrione, presidente dell’associazione In Loco Motivi, che insiste sull’importanza della comunicazione e dei trasporti in Irpinia.
L’Ofantina, l’unica arteria di collegamento di questa terra, è da oltre un anno con la viabilità interrotta per lavori.

A tal proposito il sindaco Buonopane afferma di aver ricevuto risposte positive dalla Provincia sulla messa in sicurezza della strada. La storica stazione ferroviaria di Montella è dunque pronta, per il 2 e 3  ovembre, ad accogliere turisti, curiosi e appassionati, assetati di cultura e affamati di bellezza.
Roberta Bruno

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Manzi: la mia vita nel segno dell’arte - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Montellese di nascita, una sua creazione esposta agli Uffizi - Questa domenica racconto la storia unica e straordinaria di un grande artista, il maestro Antonio Manzi, irpino di nascita e Fiorentino di adozione. La mente è uno strumento sorprendente, raccoglie insieme immaginazione, sensibilità e forze dell’intelletto; un gioco sinergico, che tormenta gli animi di coloro che guardano negli occhi i mostri che la mente genera, la cui espressione si sublima spesso in arte.  Ne sono figure la scrittura e la musica, ma non solo. Chi plasma la materia, imprimendole una forma immortale è, come il Demiurgo platonico, un’Artista.
L’arte, espressione di un’idea, rappresenta il segno del passaggio sulla terra di uomini straordinari.
“Il genio è l’1% ispirazione e per il 99% sudore” scriveva Thomas Edison, una tra le più grandi menti dell’Ottocento, alludendo alla semplicità e alla naturalezza che le grandi opere suggeriscono a chi le contempla. Eppure, l’osservatore ignorerà sempre la fatica e il tormento celati dietro quelle opere.
Antonio Manzi nasce a Montella il 15 marzo 1953, discendente, in linea materna, dalla famiglia Marano, agricoltori locali, tra i quali, nella memoria dell’autore, personaggio rappresentativo sarà il nonno, che il Manzi rappresenterà in ritratto all’età di 12 anni. Disegno significativo per l’autore, in ogni linea del volto ed ogni ruga vi sono le radici di un forte castagno; negli occhi, provati dalla fatica, si distingue il tratto del lavoratore assiduo e onesto; si colgono nel ritratto le radici che legano l’artista alla terra nativa.
Antonio possiede già nel suo patrimonio genetico l’arte:
I suoi genitori sono abili nel muovere le mani. Eredita, forse, proprio dal padre orologiaio, pratico dei piccoli ingranaggi, l’attenzione ai particolari e alle minuzie, e l’ambizione alla perfezione dei dettagli; mentre, dalla madre sarta, la grande libertà nel creare la bellezza.
«Nel 1957 io e la mia famiglia ci siamo spostati a Lastra a Signa, cittadina a pochi Km da Firenze. I miei genitori si separarono presto; non fu facile sopperire soli alla mancanza, anche economica, di mio padre. Ero un bambino molto vivace ed espressivo, e gli anni della mia educazione in un collegio per bambini difficili furono decisivi, per me e per la mia arte.
Per dieci anni sono stato a contatto con un’impalcatura umana complessa, maturando fortemente, e forse precocemente, quell’espressione artistica che ha meravigliato Firenze fin dalla mia prima esposizione».
Si può collocare attorno ai 12 anni non solo la sua maturità artistica, ma anche la consapevolezza delle proprie capacità. «Alla domanda cosa vuoi fare da grande – racconta – risposi: “voglio fare il Manzi”. Iniziai così a disegnare sui tavoli in marmo di una trattoria della zona frequentata dai personaggi della Firenze “bene”. Fui notato e apprezzato, e a 19 anni esordì con la mia prima grande mostra alla Galleria Guelfa di Firenze, riscuotendo un successo straordinario sia in partecipazione che in vendita».
Il primo periodo dell’artista è “tormentato”, come testimoniano le stesse rappresentazioni che evidenziano dolore psicologico e grande sensibilità.
«“Disegni dei mostri”, mi dicevano in paese. E io rispondevo loro: “i miei mostri un giorno saranno Angeli”».
Così difatti è stato. Ammirevole il cammino di quel bambino che, da autodidatta nella magna Firenze artistica, attraversa un percorso difficile ma notevole, lottando, fin da giovanissimo, per la propria libertà e indipendenza.
«La mia arte, espressione artistica forte, si manifestava con personalità. Una scuola mi avrebbe certamente corrotto e deviato dalla mia poetica. Ho seguito il mio percorso liberamente e ottenendo giustizia esclusivamente per il mio merito. Ho assecondato in maniera spontanea e naturale la mia arte, le mie ispirazioni e i miei interessi: dalla pittura ad olio al disegno, dalle ceramiche ai bronzi e ai marmi, dalla grafite alle matite a punta. Ho conosciuto tutto seguendo la mia straordinaria libertà e curiosità, lontano da qualsiasi mercato. Mi sono sempre rifiutato di essere un operaio di pittura».
Nella vita dell’artista è memorabile l’anno 1997, quando venne incaricato della realizzazione delle “Quattro porte” in bronzo del Santuario del SS. Salvatore in Montella.
«Un benefattore aveva destinato 100 milioni per realizzare l’opera in bronzo. Impiegai quattro giorni per completare le porte. C’è una preziosa particolarità nel modo in cui ho scolpito l’Ultima Cena nel bronzo di quelle porte monumentali: a differenza della scuola tradizionale, che prevede la collocazione della scena in orizzontale, io l’ho posta verticalmente. Scelta unica nel suo genere, con una modellatura pulita e lontana dalla gestione accademica. I costi delle porte furono tali da superare la cifra dei cento milioni, e fui proprio io a donare il resto. I montellesi ne furono colpiti. Volevo contribuire, rendendo omaggio alle mie origini, a quella devozione. Ero certo che il SS. Salvatore proteggesse anche me e che avrebbe continuato a vegliare sulla mia salute e la mia arte. Così è stato, quelle porte hanno rappresentato l’apertura simbolica del mio percorso artistico».
Dal ‘97 in poi la carriera del Manzi è stata coronata da riconoscimenti unici e straordinari, di cui un’artista gode in vita raramente. Nel 2005 espone a Firenze nel Giardino di Boboli, per sei mesi, 40 opere, fra sculture in marmo, ceramiche, bronzi e graffiti; una mostra sorprendente che cattura l’attenzione internazionale.
«Già esporre nel Giardino di Boboli - commenta l’artista – significa toccare il cielo con un dito.
Ma nel 2007 ho avuto l’opportunità incredibile di esibire le mie opere a Campi Bisenzio nelle sale di Villa Rucellai, dove, a seguito delle 150 opere donate, è nato il Museo Antonio Manzi. Una soddisfazione incredibile avere un museo per le proprie creazioni, e da vivo!» commenta ridendo l’artista. «Questi riconoscimenti sono stati per me importanti, emozione indescrivibile essere profeta in patria due volte, a Montella e a Lastra a Signa».
Nel 2018 il museo è stato visitato dal direttore degli Uffizi, il quale ha insistito affinché entrassi anche io a far parte della Galleria degli Uffizi. Ho donato un autoritratto, e durante l’evento a Palazzo Pitti nella Sala Bianca, tra i sindaci presenti c’era il sindaco di Montella Ferruccio Capone, il quale fece un discorso splendido, consegnandomi successivamente le chiavi della città di Montella e facendomi dono della cittadinanza onoraria». È un orgoglio, per la comunità Montellese, entrare nel museo di un grande artista nato a Montella e che allo stesso tempo omaggi questa terra.
«Porto la bandiera di Montella ovunque e con orgoglio: non siamo eterni, ma possiamo lasciare un segno».
Degno di nota è il regalo da parte dell’artista alla comunità montellese, una possente scultura in bronzo, alta 5 metri, definita “Elogio al Migrante”.
«Quell’opera straordinaria è un riconoscimento per tutti i montellesi nel mondo, soprattutto per quelli che non ci sono più e che hanno pagato con la vita l’emigrazione. Penso che l’uomo sia fatto per aiutare l’uomo, è questo il messaggio profondo di quel monumento. Con esso i montellesi si sono fatti onore nel mondo e oggi più che mai è fondamentale ricordarlo. Arte e bellezza ne sono il segno eterno. L’uomo si eleva solo se opera nel bene e in comunione con l’altro, questo è il messaggio, mistico e terreno, che ho voluto donare a Montella da Irpino».
In questa opera maestosa ritornano i tratti antichi della prima opera, quelli del nonno, le cui possenti radici sostengono le generazioni protese verso l’alto.

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Ama: in prima linea in difesa del territorio - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

MONTELLA. L’appuntamento di avvicinamento al trekking, promosso dalla giovane associazione  Prenderà il via domani il progetto della giovane associazione AMA (Associazione Musica&Ambiente) con la giornata di avvicinamento al trekking e alla sicurezza in montagna. Una gita all’insegna della natura e della sostenibilità, adatta a tutti coloro che desiderano avvicinarsi, anche per la prima volta, al mondo delle escursioni in tranquillità, potendo contare sul sostegno di esperti come Alessandro De Cristoforo, capostazione del soccorso alpino e speleologico Campania.
AMA, fondata da giovani, è impegnata nella salvaguardia dei beni ambientali e naturali, oltre che nella promozione di attività musicali e ricreative.
«AMA è nata in modo spontaneo» racconta il vicepresidente Alessandro Di Nolfi: «I campeggi estivi sull’Altopiano di Verteglia sono il momento più aggregativo per i giovani della zona. Ci si ritrova tutti in montagna, si sta in comunità e a contatto con la natura, si fa musica, si discute e ci si entusiasma, finendo inevitabilmente per sognare sotto un bellissimo manto stellato».
Alessandro, laureato in architettura, ha occhi irraggiati dalla passione che arde solo in coloro che credono fortemente in qualcosa, la stessa che batte nei cuori giovani e impavidi, ma che viene educata dai ragazzi di questa associazione in funzione di lucide analisi e studi attenti, consci che passi falsi in questa terra di mezzo non possono più essere fatti.


«La nostra associazione si pone come obbiettivo quello dell’informazione, sensibilizzazione e dell’educazione al territorio, per rendere conoscibili e fruibili le bellezze delle nostre terre tramite incontri periodici ed escursioni. Vogliamo cambiare il modo in cui si guarda alla terra - aggiunge il presidente Gennaro Volpe - che la si rispetti come luogo da valorizzare e non più come un possedimento personale da sfruttare. Puntiamo in particolar modo sui giovani, perché sappiamo che hanno in mano il futuro di questo territorio e, allo stesso tempo, la terra potrebbe restituire loro il futuro. Non vogliamo farlo da soli, ma attraverso una rete di comunicazione che colleghi tutte le altre risorse locali, culturali e turistiche. Dialoghiamo con Maps Cassano, Ente Parco dei Monti Picentini, Comune di Montella, Soccorso alpino e speleologico Campania, Forum Lioni, Pro loco Alto Calore e altri enti locali che mirano all’interesse e al bene dell’area».

Non mancano critiche e perplessità che riguardano la gestione passata del Parco regionale dei Monti Picentini. La pigrizia e l’indolenza, unite alla mancanza di una conoscenza approfondita delle norme che tutelano il Parco, hanno portato, nel tempo, invece che ad una vigilanza sulla flora e sulla fauna del parco stesso, ad un loro completo abbandono.
«Quando si vuole svolgere un’attività o costruire qualcosa si tende, tra l’incertezza e la negligenza, a negare il permesso, anche a chi si muove nel rispetto della sostenibilità naturale del posto». È evidente che questo atteggiamento non porta alla salvaguardia del territorio, ma lo condanna paradossalmente ad un vero e proprio abbandono. La grave conseguenza di questa pratica si risolve nella consegna del nostro patrimonio naturale al “più forte”, ossia colui che, non interfacciandosi affatto con l’ente legittimo, si appropria arbitrariamente del territorio, forte della mancanza o dell’insufficienza di qualsiasi controllo. «Il riferimento a coloro che indiscriminatamente tagliano i faggi in luoghi e zone protette, che distruggono, bruciano e scacciano, appropriandosi di un bene che è di tutti, è evidente» prosegue il vicepresidente «insomma, crediamo sia l’ora di frenare il disinteresse dilagante dei più, giovani compresi, che legittima i pochi ad appropriarsene illecitamente, disincentivando prepotentemente qualsiasi iniziativa». Sono inclusi tra questi anche i gesti vandalici, segno ineludibile di un sentimento di dominio sui luoghi. «Tempo fa – raccontano i giovani di AMA - abbiamo realizzato una zona “riposo” fatta di panche e installazioni in legno, completamente sostenibile. Quest’area è stata, purtroppo, immediatamente vandalizzata e distrutta, a sfregio non solo del nostro lavoro e del nostro impegno ma, a ben guardare, soprattutto del territorio».
Il raduno è previsto per domani ore 10.00, presso l’Altopiano di Verteglia, punto di riferimento sarà il ristorante la Faja, per poi dirigersi verso le Ripe della Falconara.

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Giornate FAI d’Autunno 2019 a Montella, Cassano e Volturara

Sabato 12 e domenica 13 ottobre si rinnova il consueto appuntamento con il Fai. Gli apprendisti ciceroni dell'Istituto Rinaldo D'Aquino di Montella e Nusco e, dell'Istituto Comprensivo “Alessandro Di Meo” di Volturara Irpina, Montemarano, Castelvetere sul Calore guideranno i visitatori alle Sorgenti della Pollentina di Cassano Irpino, al Convento di San Francesco a Folloni e al Santuario del Santissimo Salvatore a Montella, e alle Bocche del Dragone a Volturara Irpina Di Redazione Nuova Irpinia -10 Ottobre 2019 - Una suggestiva immagine di San Francesco a Folloni
Si rinnova il consueto appuntamento con le giornate Fai d’Autunno, che nel prossimo week end punta alla riscoperta del patrimonio storico, architettonico e naturalistico dimenticato, con ben 700 siti in tutta Italia. Sabato 12 e domenica 13 ottobre, gli aspiranti ciceroni ingaggiati per la promozione di luoghi inaccessibili o poco valorizzati saranno soprattutto gli studenti delle scuole secondarie superiori, che avranno l’onere di accompagnare i visitatori alla riscoperta dei luoghi e adottarli simbolicamente come custodi del territorio. In provincia di Avellino sono ben quattro i siti promossi dal Fai- Fondo Ambiente Italiano- che saranno visitabili questo fine settimana: le sorgenti della Pollentina di Cassano Irpino, che rinnova la presenza nell’elenco dell’associazione, il Convento di San Francesco a Folloni e il Santuario del Santissimo Salvatore di Montella, e infine la Bocca del Dragone di Volturara Irpina. Appena più ad est si trova invece il percorso “Natura ed arte: passeggiata naturalistica presso i Laghi di Monticchio e Museo di Storia Naturale del Vulture” ad Atella, provincia di Potenza e al confine con l’Alta Irpinia. Di seguito le mete inserite nel calendario delle Giornate Fai d’Autunno in Irpinia.

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“Ho scelto di partire per crescere” - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Per Mauro l’esperienza in Romania, poi il lavoro come ingegnere a Modena - Mauro Granese, nato nel 1992, è un ingegnere informatico di origine montellese.

Curioso, sensibile e sempre alla ricerca di nuove conoscenze, Mauro si è allontanato da Montella per seguire i suoi studi e i suoi interessi.
«Forse il mio caso è anomalo» racconta Mauro «mi sono laureato di martedì, e il giovedì mattina era già a lavoro. Incravattato e impomatato, seduto presso l’ufficio consulenza di NetCom group a Napoli.
In due giorni la sua vita è cambiata di tanto, da studente a lavoratore. Ma ancora non poteva immaginare che nelle settimane successive sarebbe cambiata ancora di più.
«Dopo quindici giorni di lavoro come consulente, l’azienda ha proposto, a me e un altro ragazzo laureatosi con me, di andare in Romania come HMI (Human-Machine Interface) pre-integrator per la compagnia di ricerca avanzata Magneti Marelli».
Si spostano le aziende e, dietro queste, si spostano anche gli ingegneri. Per nove mesi, tra neve, freddo, ma tanto calore umano, Mauro ha fatto esperienza in una delle più importanti multinazionali italiane specializzata nella fornitura di prodotti e sistemi ad alta tecnologia per l'industria automobilistica, con sede in Transilvania.
«Il nostro ruolo nella società in Romania era, nello specifico, “HMI pre-integrator”, ossia integratori software per HMI. Fornivamo, inoltre, supporto, in quanto figure professionali complete, agli sviluppatori assunti e ancora non laureati».
Nonostante l’inverno rigido e le difficoltà relative alla lingua, Mauro ha trovato un ambiente giovane e accogliente, che, persino ora che è tornato in Italia e lavora in CNH industrial a Modena, ricorda con nostalgia: «In Romania l’ambiente lavorativo era molto giovane e leggero. Di italiani eravamo in 4 o 5, e si creava un rapporto stretto e molto particolare che, invece, qui a Modena è più blando e limitato. Quello che mi ha colpito in maniera particolare, una volta giunto qui in Emilia, è stato trovare tra i colleghi tanti ragazzi del Sud, ma nessuno o pochissimi della regione emiliana o del Nord-Italia. Rispetto a questa “stranezza” mi sono risposto che l’andare in via è in generale qualcosa di comune e generale; da Sud al Nord, dal Nord al Nord più profondo e all’estero, tutti si spostano o cercano qualcosa di altro o qualcosa di nuovo, soprattutto negli ultimi tempi».
Mauro, dal tono tranquillo e sicuro, mi spiega il suo condivisibile punto di vista sul fenomeno dell’emigrazione, fenomeno complesso e ricco di sfumature, tiene a specificare, ma per certi versi naturale.
«Ho avuto richieste di lavoro anche al Sud, ma dopo aver studiato tanto ho creduto non valesse la pena rimanere fisso ancora nello stesso posto. Quello che più mi interessa ora è fare esperienza il più possibile. Voglio vedere e conoscere nuove realtà, ambienti differenti rispetto a quelli in cui mi sono formato. Voglio crescere professionalmente, sperimentare e apprendere nuovi modi di lavorare e punti di vista differenti. Credo che lo stare a contatto con “la diversità” sia l’unico modo per predisporsi sul serio alla conoscenza. Quando lavoro, gomito a gomito, con persone che provengono da tutto il mondo, mi rendo conto del grande limite imposto dal rimanere chiuso ostinatamente nella propria realtà, senza sforzarsi mai a capire la prospettiva dell’altro».
«Il sistema economico di tipo capitalistico» continua a spiegare Mauro «e la conseguente globalizzazione hanno portato allo scambio di capitale umano, la cultura di massa spinge chiunque a spostarsi, oggi non si può più pensare di poter controllare questo flusso o, peggio ancora, limitarlo».
La strumentalizzazione e la semplificazione politica e culturale, di questo fenomeno molto vasto e complesso sono, secondo Mauro, i peggiori compagni per leggere la realtà, tramite i quali nella cultura popolare si addita facilmente “l’estraneo”. Il tono di Mauro si fa più domestico e familiare quando i commenti sull’emigrazione raggiungono anche il suo paese d’origine, Montella. Eppure, non manca qualche nota di dispiacere e sconforto:
«Quando torno al mio paese mi capita di non sapere con chi stare, perché tutti quelli che conoscono sono andati via!» ride, ma poi aggiunge più serio:
«Come dicevo, sono convinto che lasciare il proprio luogo di origine per spostarsi sia un qualcosa di naturale, quello che mi fa rabbia, o peggio tristezza, è stare ad ascoltare le storie di amici che sono stati costretti a partire da una necessità impellente. Quella di andare via, per me, è stata una scelta, ma io non riesco a pensarmi “fortunato” solo per questo! Guardando alla mia terra, e con ottimismo, dico che per i prossimi dieci anni sarà così, se non peggio.

Non solo per i mancati investimenti o la inesistente svolta nel turismo, ma perché sono convinto che per questa “svolta” bisogna essere pronti. Bisogna che ci sia formazione, educazione, mentalità differente e aperta per volere, prima ancora di affrontare, un vero cambiamento. Ci vogliono generazioni e generazioni per cambiare il modo di pensare e di guardare alle cose, generazioni!»
«È giusto che chi scelga di partire abbia la libertà di muoversi. Contrariamente è snervante capire che questa scelta per tanti non esiste, e quando lo dico non penso solo all’Irpinia. Questo malessere mondiale ti fa capire quanto la società abbia fallito.
C’è poco da essere felici in un momento storico come questo» conclude Mauro «l’unico pensiero di speranza, in questo momento così buio e infelice, è che la coscienza di massa inizi a cambiare, e forse sta evolvendo. Se è come credo, la possibilità che nel tempo le cose comincino a cambiare è allora possibile».

 

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“Nei piccoli la purezza di San Francesco” - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

La settimana di gioia e iniziative culturali per festeggiare il Santo di Assisi attraverso la manifestazione Francesco d’Incanto volge al termine. «La manifestazione ha alle spalle una lunga storia e un’antica tradizione, che di anno in anno
si è ampliata e allargata a  sempre nuove iniziative e attività, coinvolgendo nel tempo tutte le fasce della comunità, dai più piccoli ai più grandi» spiegano gli organizzatori di Francesco d’Incanto Paola Giannone, presidente del Comitato Festa di
San Francesco e padre Cirillo del Convento di San Francesco a Folloni.
Il tema di questa XXII edizione è “Tu sei Eterno Gaudio”, messaggio tratto dalle parole e dalle azioni del Santo.
«L’eterno gaudio – spiega padre Cirillo - è una gioia che non ha inizio, né fine, è eterna proprio perché nasce dalla pace e dalla gioia interiore che non deve essere adombrata dagli accadimenti, spesso tristi e infelici, della vita, ma che deve, al contrario, dare luce, illuminando il cammino interiore prima, e quello altrettanto tortuoso della vita esteriore poi».
«Proprio a questo tema spiega il presidente Paola Giannone sono state dedicate le giornate di festa e impegno » che, nella giornata di ieri, hanno visto protagonisti anche i bambini.
«La figura di San Francesco, come quella di Gesù, è vicina ai bambini. È proprio nei bambini che è possibile ritrovare quella fiducia pura, che conduce ad amare incondizionatamente e genuinamente Dio», afferma padre Paolo, guardiano del Convento e responsabile della manifestazione. «L’incon tro con Francesco significa semplicità e gioia» continua padre Paolo «Francesco è stato un matto, un giovane innamorato della vita e dei piaceri, il suo percorso, il suo cammino, interiore o meno, non è così distante da quello di qualsiasi giovane di oggi; tra turbamenti e crisi inevitabili della crescita. Il Convento di San Francesco oggi è un luogo aperto a tutta la comunità, tutti possono recarsi qui e concentrarsi sulla
riscoperta di qualcosa che è dentro di sé. Essere frate, come ci ha insegnato Francesco in primis, significa sentirsi fratello e mettersi a disposizione dell’altro, proprio come un fratello».
Mentre Padre Paolo spiega i progetti messi in opera per la realizzazione della felice “Insula Franciscana”, che
verrà inaugurata prossimamente, i bambini provenienti dalle scuole dei paesi dell’ Al ta Valle del Calore (Montella,
Nusco, Bagnoli, Cassano, Montemarano e Castelfranci) si riuniscono all’interno del Convento duecentesco, guidati dalle maestre e dagli organizzatori: non esistono più classi e scuole differenti, ma comunione, fusione e allegra confusione!
«L’idea di Padre Paolo di coinvolgere le scuole in questa iniziativa è molto importante per il territorio» commenta la maestra Michela, dell’Istituto comprensivo di Bagnoli, recentemente accorpatoa quello di Nusco.
«La leggenda del sacco di pane, per esempio, fa parte della tradizione culturale di tutti i paesi dell’Alta Valle del Calore. Addirittura, in tempo di guerra, un pezzo della stoffa del sacco veniva distribuito a tutti i soldati figli unici che andavano in guerra, in segno di protezione. È importante coltivare la tradizione, e ancor di più se diviene occasione di incontro e collaborazione con le scuole dei paesi vicini». Unità e comunità sono i temi attorno aimquali l’intera comunità di San Francesco opera. Dalla nascita di questa iniziativa sono stati, infatti, creati due importanti eventi: la “Fiaccola d’Assisi”, una marciaper la pace di 400 km, organizzata dall’Associazione Podistica Montellese, che va da Assisi a Montella, i cui corridori portano con sé una fiaccola accesa sulla tomba del santo; e la “Marcia della Fratellanza Senza Confini”, una
marcia che impegna sindaci e cittadini dell’Alta Valle del Calore dai propri paesi fino alla croce antistante del Convento.
Ogni paese, inoltre, a nrotazione, porterà di anno in anno in dono l’olio che servirà a tenere accesa la lampada che arde e illumina per l’intero anno dinnanzi al Conventodi san Francesco, in segno di pace, unità e comunione.
L’arrivo della marcia “Senza Confini” è prevista per oggi, alle 17.30, seguirà l’accensione della “Lampada dei Comuni”.
Dalle 18.30 animazione per bambini a cura diPeter Pan mentre alle 20.00 la serata inizierà con la decima edizione del Palio del Sacco.
Dalle 21.00 seguiranno spettacoli musicali degli Ex voto con musica popolare e quelli della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Alle 23.00 spettacolo di fuochi pirotecnici a cura di Fernando Mastromarino e, infine, Dj set a concludere la serata.
SS. Messe alle 7.30, 9.00 e 11.30 e, alle 18, la Messa della Solennità di San Francesco, presieduta dal vescovo
Pasquale Cascio,

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Una indimenticabile emozione (di Salvatore Cianciulli)

Anche la 16a edizione della Marcia della Pace va in archivio. I tantissimi "Grazie" che ci avete donato significano tutto per noi, sono la conferma che il nostro messaggio è stato accolto ed è arrivato dentro di voi. La Marcia della Pace è stata concepita nel 2004 da un gruppo di amici podisti. L'abbiamo alimentata, anno per anno, tra tante difficoltà, vista crescere ed affermarsi. Oggi che è quasi maggiorenne possiamo dire con certezza che non sappiamo chi di noi della vecchia guardia ci sarà il prossimo anno, ma che di sicuro ci sarà la 17a edizione, questo era il nostro sogno, e noi tutti la stiamo già aspettando. Al prossimo anno e GRAZIE per averci fatto vivere ancora una volta una indimenticabile emozione, perchè il nostro cuore si alimenta di emozioni. Salvatore Cianciulli

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DIRETTA STREAMING ASSISI MONTELLA

 

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MONTELLA “MALEDETTA”. DELITTI IMPUNITI 2^ puntata "L'eliminazione di Ciccio Pascale " di Mario Garofalo

Se nella vita e nel delitto dell'abate Goglia, con la sua mitizzazione leggendaria operata dalla fantasia popolare, sembrano “magicamente” confluire e fondersi le multiformi connotazioni (elementi storici, cronachistici, sociali, superstiziosi) del secolo tragico in cui si consumarono, la vicenda biografica e l'assassinio di Francesco Pascale, detto Ciccio, rimandano, invece, alla fonte originaria del male, annidata nell'animo come compresenza riposta e prepotente di una istintualità “cattiva”, non più refrenabile dai sentimenti di moralità, di religiosità, di pudore, di rispetto e di pietà che sono alla base del vivere civile.
Il delitto di Francesco Pascale fu, in fondo, soltanto l'assassinio di un assassino.


La storia di questo personaggio si svolse nella prima metà dell'Ottocento, in una Montella che visse non passivamente gli eventi e i rivolgimenti politici e sociali di quel periodo cruciale della storia del Mezzogiorno.
Il giacobinismo del '99 aveva visto come protagonisti gli esponenti di alcune famiglie montellesi dalle idee avanzate e “rivoluzionarie”, come i Capone (con il capostipite Andrea), i Lepore (con Don Aniello), i Clemente (con il capo famiglia Dionisio ed il figlio Nicola), i Galea, gli Abiosi (con i quattro germani Febo, Domenico, Gennaro e Lelio). In piazza Bartoli era stato issato l'albero della libertà repubblicana, presto abbattuto dalla reazione sanfedista. A Montella erano sorte le prime vendite carbonare; si erano accesi i primi fuochi dei moti risorgimentali, del patriottismo e dell'antiregalismo, soprattutto ad opera dei fratelli Filippo e Scipione Capone.

Di contro, in stragrande maggioranza, la acquiescente fedeltà all' assolutismo borbonico - di cui massimo rappresentante fu Francesco Maria Trevisani – del popolo e delle famiglie più influenti della borghesia locale, tra le quali si distingueva proprio quella dei Pascale, da cui il nostro Francesco proveniva. La famiglia Pascale, dimorante nel rione Fontana, si annoverava tra le più cospicue del patriziato montellese; al paese aveva dato nei secoli passati figure prestigiose nel campo della religione, del diritto, della medicina, dell'avvocatura e del notariato. Politicamente si professava apertamente schierata su posizioni legittimiste e filoborboniche. Il rampollo Ciccio, per educazione ricevuta, si appalesò presto come un miope ed intransigente assertore di quel codinismo d' ancien régime tipico dell'assolutismo regalista. Ma di spiriti antigiacobini si era fortemente imbevuto anche durante il decennale periodo di studi teologici trascorso nel seminario di Nusco, allora vacante dell'Ordinario diocesano e retto dal corrotto vicario Emidio Della Vecchia, durante il regime napoleonico che ne aveva soppresso le tradizionali prerogative finanziarie e socio-religiose.


Nato a Montella nel 1790, conseguì l'ordinazione sacerdotale nei primi anni '20; svolse la sua professione clericale durante la repressiva restaurazione borbonica, caratterizzata dall'occhiuta sorveglianza e dall'incessante persecuzione dei pochi “galantuomini” del paese sospettati di simpatie liberali. Don Ciccio, a tutt'altro dedito fuorché alla sua missione pastorale, non mancò di esercitare per conto dell'autorità l'indegna attività di spia e delatore antiliberale, ricavandone favori, lucro e soprattutto impunità per le sue note azioni delinquenziali. Di lui si conoscono le fattezze fisiche, ricavate da un passaporto rilasciato a suo nome nel 1825 dall'Intendente di Principato Ultra per recarsi a Roma durante il giubileo indetto da papa Leone XII, al fine di “lucrare indulgenze”, spendibili nell'aldilà a sconto di una vita terrena peccaminosa e scellerata:

Francesco Pascale, nativo di Montella, sacerdote in veste di pellegrino accompagnato dal nipote Giuseppe. Connotati: età, anni 35; statura alta; capelli castagni; fronte giusta; occhi cervoni; barba folta; mento e viso regolari; carnagione naturale.

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KASO FEST Montella 21/22 settembre

l comune di Montella scommette sulle sue eccellenze casearie e sull'unicita' della PODOLICA. Le caratteristiche e le proprietà nutrizionali della carne di podolica la rendono unica e di qualità. Dal gusto intenso, saporito e leggermente dolciastro, grazie all’alimentazione naturale, pascolo e foraggi freschi, dei bovini allevati allo stato brado.
Questa due giorni dedicata alla podolica sarà un'immersione nei sapori, nei profumi, nelle tradizioni della nostra terra. Il tutto accompagnato dal folk irpino di ben quattro gruppi musicali: i due gruppi di Montella, Aria Nova e Associazioni Delli Gatti, e poi i LUMANERA ed i Sunaturi.
Non manchera' un convegno di approfondimento.
La Fisar curerà le degustazioni di vini, affidate a quattro cantine irpine.
Sarà possibile assaporare piatti a base di carne podolica, di ricotta, prodotti caseari abbinati a confetture locali.
Vi aspettiamo!
SABATO 21 e DOMENICA 22 Settembre
Ore 12
Piazza Bartoli - Via M. Cianciulli


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Da Montella in Inghilterra: qui opportunità e prospettive - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Roberto: ho scelto Londra per ricominciare, generazione 1991, è un ragazzo di Montella, anche lui arruolato tra le fila dell’armata G.I.E. (Giovani Irpini Emigrati): risorse del nostro territorio che cercano lavoro e fortuna altrove, lasciando, tra l’amore e il rancore, il luogo natale.
Roberto, eccellente cameriere, conosciuto da tutti i ristoranti della zona, ha sempre lavorato mentre cercava di stare al passo con gli studi di ingegneria. Dopo una pessima esperienza ad un CAF di Avellino, dove veniva trattato senza considerazione e senza rispetto, svolgendo mansioni che non inerivano le sue competenze, ha deciso di partire per Londra l’anno scorso. Racconta:
«Se avevo paura? La verità, cara Roberta, è che, affetti e famiglia a parte, non avevo niente da perdere. Ero arrivato ad un punto tale per cui la paura di rimanere qui, nella condizione in cui mi trovavo, tra mancanza assoluta di crescita e prospettive, vinceva su tutte le altre. Ricordo ancora le parole di mio padre, mi disse: sei mio figlio e vorrei tenerti sempre al mio fianco, ma se fossi un amico ti direi di andare via».
Mentre Roberto racconta le difficoltà della sua scelta mi tornano in mente le parole di una vecchia e malinconica canzone che il maestro di musica ci faceva cantare al “piccolo coro” della scuola elementare, e che, ironia della sorte, Roberto, senza neanche accorgersi, ripete fedelmente: «La noia, l’abbandono, il niente sono la malattia di questo paese» afferma. «Conoscevo storie di amici già partiti e che a Londra stavano bene. Così sono partito anche io. I primi giorni sono stato loro ospite, poi ho trovato un posto economico adatto a me.
Ho subito iniziato a consegnare curriculum, sia a mano che tramite internet, e dopo una settimana ero già assunto in un ristorante italiano: Carluccio’s.
Nonostante il lavoro vada bene le difficoltà ci sono, a partire dalla lingua. All’inizio, anche per andare semplicemente dal tabaccaio, mi preparavo il discorso da casa».
Roberto descrive il mondo del lavoro londinese, in cui l’offerta è così vasta che la conoscenza dell’inglese passa facilmente in secondo piano. Nel lavoro, poi fa notare, è da apprezzare soprattutto la meritocrazia.
«Ho iniziato come bartender – racconta Roberto - e in un solo anno ho avuto due aumenti di stipendio. Non solo c’è la possibilità di crescere lavorativamente, ma le giornate più affollate e faticose vengono adeguatamente ricompensate non solo economicamente ma, ancora più importante, umanamente. Mi sono sentito ringraziare per il lavoro che ho prestato, cosa che a chi, come me, era abituato in Irpinia ad essere riconoscente per la chiamata di lavoro, è una cosa che impressiona non poco. L’impegno dato viene riconosciuto e apprezzato. In Irpinia, purtroppo, non esiste mobilità sociale, non ci sono prospettive di crescita» afferma Roberto riesumando il ciclo dei vinti.
«Oggi, se penso al mio anno futuro sorrido, perché so che il mio impegno verrà ricompensato con una promozione: salirò di grado a poco a poco.
Qui a Montella, invece – prosegue Roberto con verdetto verghiano - stai dentro un pantano, ma ovviamente non affoghi. Sopravvivi».
Le parole di Roberto sono amare, ma vere e coraggiose. Ripercorrono le paure covate, nutrite e maturate nel silenzio delle giornate passate senza impegno e che si annidano nei cuori di tanti altri, giovani o meno.
«Montella è la mia casa e ne sento nostalgia, mi manca la mia famiglia: senza che io possa vederli i miei nipotini crescono e i miei genitori invecchiano. Tutti questi affetti mi vincolano a questo luogo, ma credo che è arrivato il momento in cui sono obbligato a pensare solo a me stesso; per non sentire più, alla sera, quella sensazione di aver buttato un’altra giornata.
È la seconda volta che torno a casa, e ogni volta che parlo con i vecchi amici li sprono ad andare via. Fino a qualche anno fa pensavo che fosse il luogo perfetto in cui crescere, ultimamente mi sto ricredendo su questa favola. Siamo in un luogo abbandonato a se stesso: senza possibilità per i bambini di praticare uno sport che non sia il calcio, senza strutture e senza ferrovie e con l’unica via di comunicazione per Avellino paralizzata da due anni. Ci hanno abituato ad accettare qualsiasi disservizio, tutto è nella norma e ci va bene così. Come se non potesse essere altrimenti. E invece le cose funzionano altrove, e io ho aperto gli occhi su questo, mi sono reso conto che le cose possono funzionare».
Quando Roberto dice che ha aperto gli occhi si riferisce a tutto l’impatto che si ha vivendo in una grande città come Londra: multiculturalismo, scenari diversi e possibilità sempre nuove, strutture pubbliche funzionanti e accorte alle esigenze del cittadino e del turista.
«Mi sono sempre definito di mentalità aperta e tollerante. Eppure, solamente stando immerso costantemente nella pluralità, capisci quanto sia affascinante la diversità delle culture, delle religioni e degli orientamenti sessuali. A Londra a Canary Wharf, il quartiere in cui lavoro, c’è una scalinata arcobaleno dedicata al tema dell’omosessualità, mentre nella metropolitana vengono continuamente fatte campagne di sensibilizzazione. Quando in una metropoli convivono dieci milioni di individui ci si rende conto di che cosa significhi la libertà di vivere se stessi come meglio si crede. Purtroppo per questo paese, qui siamo indietro anni luce».
Le differenze che Roberto evidenzia sono tali da rendere queste realtà quasi due mondi separati: «Avrei potuto farmi assumere in qualche fabbrica in zona – continua - ma la verità è che questo lavoro, oltre ad essere logorante e alienante, non elimina il rischio di finire un domani in mezzo ad una strada. E allora – chiede con rancore Roberto - chi ti prende più? Come ti reinventi?»
La domanda, che ha il sapore dell’ingiustizia, ritorna spesso nelle parole di Roberto.
«Perché non potermi mettere in gioco? Perché subire la frustrazione di questa incertezza? Non parlo del posto fisso, ma di una lecita mobilità nel mondo del lavoro: a Londra, se domani mi dimetto in dieci giorni ho già un altro impiego; qui, se domani mi licenziano come e cosa faccio?

In Inghilterra vedo molte possibilità che si aprono, le sento che sono tutte dinnanzi a me. Ora ho tanti progetti e voglio scegliere la mia strada. Posso continuare nel management, se voglio, o riprendere gli studi autonomamente, approfittando del fatto che lì l’università è finanziata quasi del tutto a fondo perduto, o ancora, posso spostarmi, magari verso gli Stati Uniti. Tutte possibilità, queste, che io mi vedo aperte dinnanzi solo ora».
Ricordo che al coro, mentre con il maestro cantavamo “Che Sarà”, proprio non riuscivo a capire il motivo per cui il protagonista della canzone doveva andare via. Me lo chiedevo soprattutto nella strofa in cui doveva separarsi dal suo primo amore, mi sembrava all’epoca una cosa così innaturale.
Oggi, che pare non siano passati 50 anni dall’uscita di quella canzone, mi soffermo su un’altra strofa, quella che recita così:
“So far tutto o forse niente da domani si vedrà”.
Ebbene, che sarà di tutti questi giovani e di questa terra?

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Borsa di studio in memoria del prof. Aretino Volpe, preside. Anno scolastico 2018/2019

I familiari del Prof. Aretino Volpe a partire dal 2011, anno della sua dipartita , hanno istituito una Borsa di studio alla memoria, per tramandarne il ricordo presso le nuove generazioni di alunni dell’Istituto di Istruzione Superiore “R. d’Aquino” di Montella e per ricordarlo nel modo più aderente ai valori che hanno contraddistinto il suo agire professionale ed umano.
La Borsa è destinata all’alunno/a delle classi quinte del Liceo Scientifico Statale “R. d’Aquino” di Montella che consegue il miglior risultato scolastico nell’anno di riferimento . Vincitrice del Premio 2019 e’ Fieramosca Natalia , alunna della classe V sez A, che ha riportato agli Esami di Stato il voto finale di 100 : quella di quest’anno e’ l’ottava Borsa di Studio “Aretino Volpe” assegnata dalla sua istituzione nel 2012.
Il prof Aretino Volpe, per venti anni Docente di Italiano e Latino e poi per altri dieci anni, Dirigente scolastico presso il Liceo Statale R. d’Aquino, ha sempre e fortemente creduto in una Scuola pubblica, inclusiva, democratica e nello stesso tempo meritocratica, che sapesse offrire opportunità educative a tutti ma anche capace di riconoscere i meritevoli e di premiarne il talento.
Ha impegnato le sue energie professionali e umane perché il Liceo Scientifico R. D’Aquino si affermasse come una scuola di qualità e d’innovazione, agenzia educativa autorevole e riferimento per le famiglie e per il territorio.
I meriti della sua azione sono stati ampiamente riconosciuti dalla Scuola che nel 2011 gli ha intitolato l’Aula Magna dell’Istituto di Istruzione Superiore R.d’Aquino in Montella.
Su invito della Dirigente scolastica dott.ssa Emilia Strollo, il premio sarà consegnato il giorno 11 settembre 2019 alle ore 10:30 nell’Auditorium dell’Istituto R. d’Aquino all’alunna Fieramosca Natalia da un familiare del Preside Aretino Volpe, a cui la Borsa di studio è intitolata, in coincidenza con la cerimonia di accoglienza degli alunni delle classi prime in Montella: momento simbolico e significativo per un passaggio del testimone ai nuovi iscritti dell’Istituto!

Montella 11 settembre 2019

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Partita da Montella, oggi lavora nel mondo dei guanti bianchi - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Miriam: così a Roma assaporo l’universo dell’arte - Miriam Pascale, nata nell’anno 1990, è una ragazza di Montella, tra le diverse qualità che la contraddistinguono emerge un grande senso creativo, che le permette di trovare equilibrio e armonia in tutto ciò su cui ripone lo sguardo. Appassionata d’arte e maestra ceramista si è diplomata presso l’Istituto d’arte di Avellino per poi frequentare l’Accademia di Belle Arti ad Urbino, città in cui studiava e si manteneva grazie alla borsa di studio e al lavoro di cameriera.
Attualmente Miriam vive a Roma, culla della civiltà e della cultura, il cui presente non rispecchia certamente i fasti dell’antichità.
Il lavoro per cui Miriam negli anni si è specializzata richiede garbo e sicurezza, tocco delicato e al contempo deciso, il gruppo professionale a cui la giovane montellese appartiene viene definito con un nome particolare e anche molto affascinante, quello dei Guanti Bianchi. Mi spiega:
«Sono chiamate “Guanti Bianchi” quelle figure professionali che si occupano di predisporre gli ambienti e prestano un supporto tecnico e pratico durante l’allestimento di mostre o di esposizioni d’arte. Ci chiamano così perché, quando maneggiamo queste opere, indossiamo dei guanti di cotone bianco. Non so spiegare il motivo per cui sia questa la mia grande passione, so solo che quando sono a contatto con l’arte e tocco con le mani queste opere meravigliose sento dentro un’emozione indescrivibile, sono felice e non smetto di sorridere. Credo sia l’effetto della mia grande passione».
Eppure, dopo anni di studio e di preparazione, di sacrificio e di forza di volontà, le mani di Miriam hanno calzato guanti di un bianco ben diverso.
«Ho studiato per formarmi professionalmente, anche dopo l’università ho frequentato un corso di otto mesi a Venezia, per curatori di mostre e rassegne, e alla fine abbiamo dato vita ad una speciale esposizione con capolavori di artisti internazionali, che prese il nome di “Command-Alternative-Escape”».
«Tuttavia – continua Miriam - terminato il corso, è svanita anche la magia e così, non riuscendo ad attraversare l’impenetrabile portale che conduce al mondo del lavoro, sono tornata a Montella e sono stata assunta in un supermercato della zona. Sono passati mesi, giorno dopo giorno mi sentivo morire lentamente, mi ha fatto resistere l’obbiettivo che mi ero posta di mettere qualcosa da parte per poi ripartire, e così a novembre ho lasciato di nuovo tutto e sono arrivata Roma, una città da cui mi aspettavo molto di più».
«È dura stare in un posto nuovo, dispersivo e sconfinato come Roma, per mesi e senza lavoro.
Quando poi, finalmente, a febbraio sono riuscita a trovare lavoro in una ditta di allestimento mostre, dopo pochi mesi il mio responsabile è sparito nel nulla, lasciandomi di punto in bianco di nuovo in sospeso e senza impiego.
È stata un’esperienza davvero terribile, piantata in asso così, senza garanzie, spiegazioni e prospettive e ancora senza lavorare. Presa dallo sconforto ho pensato di ritornare a Montella. La mia fortuna è stata poter contare sulla dimensione familiare che si era intanto creata attorno a me; infatti sia il mio ragazzo che mio fratello Marco vivono ormai a Roma per lavoro con me.
Ho cercato di non perdermi d’animo e ho iniziato ad ingegnarmi come meglio potevo: mi dividevo tra vari lavoretti al mattino e in serata facevo la babysitter.
Sinceramente pensavo che Roma potesse offrirmi di più. Sembra impossibile credere che una città che è in se stessa un’opera d’arte, che dispone di un patrimonio culturale incommensurabile, possa essere così degradata e consumata».
Ma nonostante le tante difficoltà, Miriam non smette mai di entusiasmare quando raccontando scende nei dettagli del suo lavoro e delle sue passion:
«Il modo in cui l’opera d’arte viene vista è l’opera stessa – afferma Miriam.
Una volta ho allestito a Villa Borghese una mostra di un’artista, Vettor Pisani, che avevo studiato con interesse all’università e che, dunque, conoscevo bene. Ecco, toccare le sue opere è stata un’emozione unica. È stato un po' come quando da bambino ricevi un gioco nuovo: già l’involucro di per sé possiede un’aura speciale e hai paura di romperlo solo togliendo l’imballaggio. Sfilare un’opera dal suo rivestimento è una grande emozione, forse non è percepibile dall’esterno, perché quando il lavoro è già compiuto e si sta dinnanzi al quadro esposto nessuno si pone domande, e tutto sembra così normale e scontato, come se l’opera fosse stata lì da sempre in quel modo. Invece chi usa il tatto, con i noti guanti bianchi, sa bene che non è proprio così.
Non so se può essere un buon paragone, ma personalmente in quelle circostanze mi viene da immedesimarmi in un muratore che tira su un muro e poi pensa: “oddio e se cade?” Ecco, a volte penso proprio questo!» ride imbarazzata.
Dietro all’apparente timidezza e ai grandi occhi espressivi di Miriam si nasconde in realtà una particolare tenacia, temprata dalla sofferenza.
Si dice che crescendo si perda la voglia di lottare per i propri sogni e ci si appiattisca, assecondando le forme che la vita impone. Ma Miriam dà a tutti l’esempio contrario.
«Tante volte mi sono detta: basta, cambio strada e cerco un lavoro che non abbia a che fare con il mondo dell’arte. Eppure, non mi sono mai arresa. Anzi, ho imparato a non arrendermi. Un tempo ero più razionale, adesso so come allentare la presa nel momento in cui mi rendo conto che le cose non vanno come vorrei. In quei momenti in cui brancoli nel buio o ti fai coraggio e non ti arrendi, o impazzisci. Sono fiduciosa e propositiva per questo nuovo anno, che per me, come quando ero a scuola, inizia con settembre. Per ora mando il mio curriculum e attendo risposte, ma, ripeto, non mi arrendo!».
Settembre è un mese particolare: la maggior parte dei giovani come Miriam, dopo aver passato le vacanze in terra natale, prepara la valigia per il rientro in città, lasciando il vuoto, oltre che nell’armadio, anche nei paesi.
«Ho notato con piacere che in queste settimane estive c’era vita a Montella rispetto all’anno scorso, ma da domani tonerà ad essere un deserto. Tra ottobre e novembre non ci sarà più neanche un ragazzo. Ogni volta che torno vedo sempre qualcosa che manca, si fanno passi avanti è vero, ma anche tanti indietro, e tirando le somme si rimane pressappoco fermi. Si intuisce che sono state messe in atto nuove idee, ma è allo stesso modo è semplice capire che gli ideatori sono sempre gli stessi personaggi e non i giovani». E Ancora: «Vedo tanti spazi lasciati a sé come la biblioteca: quando ci sono tornata mi ha dato un’idea di vuoto che mi ha molto intristito. O come Verteglia, i rifugi, la piana; luoghi che hanno tantissimo da offrire, ma che ancora non sono utilizzati».
Secondo Miriam qualsiasi posto privo dello spirito e dell’entusiasmo giovanile è destinato lentamente a morire.
«Esiste un’importante differenza tra la tradizione e il vecchio – conclude Miriam - non si può pensare di trasmettere le tradizioni con canali antiquati, bisogna sapersi adattare ai cambiamenti e ai nuovi tempi, altrimenti si rimane indietro e la tradizione, invecchiata, viene dimenticata.
Conosco tanti giovani, a partire da mio fratello, con un legame viscerale per questa terra, che potrebbero fare e dare tanto. Ma lo spirito da solo non paga».

 

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