Gianni Fiorentino, laureato in Giurisprudenza e titolare dell’omonima azienda agricola, ha ricoperto per anni il ruolo di consulente allo sviluppo locale ed è da sempre appassionato di vino. Nato e cresciuto a Paternopoli, in una casa in campagna nel mezzo di un vecchio vigneto, tra gli odori della terra lavorata e quello del vino fatto in casa, coltiva da sempre insieme ai fratelli il desiderio di costruire una cantina nuova, che faccia dell’innovazione la naturale estensione della tradizione.
Nel 2012 realizza l’aspirazione familiare: quello di un’azienda vinicola con una cantina caratteristica, in grado di raccogliere il passato delle tradizioni e guardare verso il futuro, tenendo insieme territorio e tecnologia. Sviluppare questa attività all’interno della proprietà familiare è stata una scelta che ha riguardato insomma tutta la famiglia: dalla unione della gestione dei vigneti, alla costruzione di una nuova cantina in bioarchitettura, fino all’avvio dell’attività di vinificazione e di commercializzazione del vino. «La nostra storia familiare è molto legata alla terra: mia madre era contadina e mio padre emigrante.
La nostra passione per il vino è un amore indotto anche dalle circostanze in quanto il vino è stato fin dall’inizio un convitato liquido all’interno della nostra famiglia. La vecchia cantina si trovava tra la cucina e le camere da letto e quindi, da sempre, la nostra è stata una convivenza di fatto con il mosto, con il vino, con le botti, le bottiglie...
Nel tempo, dunque, ci è sembrato naturale protrarre e provare a dare valore a quello che avevamo già. Agli inizi degli anni ’90 abbiamo dato vita alla prima cantina di Paternopoli, vinificando ancora in casa, fino a poi intraprendere questo nuovo percorso più strutturato, con i suoi punti di bellezza e difficoltà, ma che appartengono direi naturalmente all’attività d’impre - sa».
Per Gianni Fiorentino il settore del vino in Irpinia è ancora all’ini - zio di un percorso, molto è stato fatto e si sta facendo e ancora tanto si potrà fare nei prossimi anni, sia rispetto alle strutture aziendali che alla capacità di produzione, nonché nell’integrazione degli elementi di innovazione all’interno delle singole aziende: «Da questo punto di vista l’Irpinia, seppure siano presenti grandi marchi storici e affermati, è sul piano più generale una terra giovane, ma può fare di questa
condizione oggettiva un punto di forza: non avendo infatti dei modelli consolidati e strutturati sotto il profilo dell’identità e non solo, restano ampi spazi per creare o inserire elementi di innovazione e cambiamento funzionali alla modernizzazione del tessuto imprenditoriale ».
La mancanza di riferimenti strutturati e diffusi crea di fatto uno spazio di azione potenziale sul quale insistere. «L’Irpinia è produttrice del Taurasi, ma ogni cantina ha il proprio, con il risultato di avere spesso tanti Taurasi l’uno diverso dall’altro.
Inoltre, esiste un certo disequilibrio tra le aziende, in virtù di un individualismo che pur essendo prerogativa dell’attività di impresa, qui si traduce in una costruzione monca o addirittura assente di una visione condivisa e di spazi dove questa visione può generarsi e crescere.
La produzione del vino in Irpinia, rispetto al mare magnum del mercato dei vini, è una piccola parte, seppure di pregio, per cui proprio gli elementi della condivisione e del confronto possono in questo caso giocare un ruolo fondamentale ».
Per far sì che il prodotto si imponga e cresca sul mercato oltre alla necessaria “qualità del prodotto” è opportuno – secondo Fiorentino - arricchire la “qualità del racconto che oggi è parte integrante del prodotto stesso che si offre al cliente”, quindi la narrazione della storia delle aziende, del territorio, del paesaggio, del lavoro, delle relazioni. Su questo aspetto l’Irpinia ha un patrimonio unico e prezioso da narrare e nel quale ritrovarsi. Quello che manca, però, è forse la consapevolezza dell’importanza e della necessità del raccontarsi, in modo tale da poter esprimere all’esterno, all’enoturista, una percezione positiva e profonda della produzione irpina: «La spinta verso gli strumenti digitali, accelerata come non mai dal Covid, ha anche favorito una tendenza alla disintermediazione tra produttore e consumatore»,
spiega Fiorentino, «e questo fenomeno può aiutare nella costruzione di un racconto composito del territorio irpino, oggi episodico, frammentato e sconnesso, spesso assente.
Solo lavorando ad una ricucitura delle diverse parti e del ruolo e delle funzioni degli attori presenti, è possibile raccontare e lasciar conoscere l’Irpinia all’esterno e allo stesso tempo rafforzare la consapevolezza del territorio in chi ci abita, tirando fuori le storie autentiche ed esemplari».
La questione del racconto è dunque una questione centrale, soprattutto per l‘Irpinia, dove la mancanza di un racconto autentico e fondato su un atto d’amore preclude la visione e la comprensione di nuove possibilità, che oggi più che mai consistono anche nelle nuove tecnologie:
«Mettersi in cammino significa aprirsi alla conoscenza e alla possibilità di apprendere anche dagli altri per importare e contaminare di elementi di novità il proprio lavoro. I modelli predefiniti e stabili sono tramontati, dopo il Covid dobbiamo essere abili a navigare nell’incertezza, per continuare un viaggio di cui non conosciamo con certezza la mèta».
Lo sviluppo per Gianni Fiorentino non è solo nelle tecnologie e nella loro applicazione, ma anche nella “testa delle persone”, dunque rimane prerogativa indispensabile il lavoro di formazione, legato all’espe - rienza e alla conoscenza, che attribuisca il giusto e vero valore “a ciò che si ha e a ciò che si è”. Un aspetto fondamentale di questo processo consiste nell’apprendimento territoriale, che nella narrazione viene valorizzato su due fronti: sia mettendo in evidenza il prodotto sia fornendo una storia unica all’eno - turista-cliente, che a sua volta apprende il valore e la cultura che gli viene trasmessa proprio attraverso quella particolare narrazione.