Manzi: la mia vita nel segno dell’arte - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud
Montellese di nascita, una sua creazione esposta agli Uffizi - Questa domenica racconto la storia unica e straordinaria di un grande artista, il maestro Antonio Manzi, irpino di nascita e Fiorentino di adozione. La mente è uno strumento sorprendente, raccoglie insieme immaginazione, sensibilità e forze dell’intelletto; un gioco sinergico, che tormenta gli animi di coloro che guardano negli occhi i mostri che la mente genera, la cui espressione si sublima spesso in arte. Ne sono figure la scrittura e la musica, ma non solo. Chi plasma la materia, imprimendole una forma immortale è, come il Demiurgo platonico, un’Artista.
L’arte, espressione di un’idea, rappresenta il segno del passaggio sulla terra di uomini straordinari.
“Il genio è l’1% ispirazione e per il 99% sudore” scriveva Thomas Edison, una tra le più grandi menti dell’Ottocento, alludendo alla semplicità e alla naturalezza che le grandi opere suggeriscono a chi le contempla. Eppure, l’osservatore ignorerà sempre la fatica e il tormento celati dietro quelle opere.
Antonio Manzi nasce a Montella il 15 marzo 1953, discendente, in linea materna, dalla famiglia Marano, agricoltori locali, tra i quali, nella memoria dell’autore, personaggio rappresentativo sarà il nonno, che il Manzi rappresenterà in ritratto all’età di 12 anni. Disegno significativo per l’autore, in ogni linea del volto ed ogni ruga vi sono le radici di un forte castagno; negli occhi, provati dalla fatica, si distingue il tratto del lavoratore assiduo e onesto; si colgono nel ritratto le radici che legano l’artista alla terra nativa.
Antonio possiede già nel suo patrimonio genetico l’arte:
I suoi genitori sono abili nel muovere le mani. Eredita, forse, proprio dal padre orologiaio, pratico dei piccoli ingranaggi, l’attenzione ai particolari e alle minuzie, e l’ambizione alla perfezione dei dettagli; mentre, dalla madre sarta, la grande libertà nel creare la bellezza.
«Nel 1957 io e la mia famiglia ci siamo spostati a Lastra a Signa, cittadina a pochi Km da Firenze. I miei genitori si separarono presto; non fu facile sopperire soli alla mancanza, anche economica, di mio padre. Ero un bambino molto vivace ed espressivo, e gli anni della mia educazione in un collegio per bambini difficili furono decisivi, per me e per la mia arte.
Per dieci anni sono stato a contatto con un’impalcatura umana complessa, maturando fortemente, e forse precocemente, quell’espressione artistica che ha meravigliato Firenze fin dalla mia prima esposizione».
Si può collocare attorno ai 12 anni non solo la sua maturità artistica, ma anche la consapevolezza delle proprie capacità. «Alla domanda cosa vuoi fare da grande – racconta – risposi: “voglio fare il Manzi”. Iniziai così a disegnare sui tavoli in marmo di una trattoria della zona frequentata dai personaggi della Firenze “bene”. Fui notato e apprezzato, e a 19 anni esordì con la mia prima grande mostra alla Galleria Guelfa di Firenze, riscuotendo un successo straordinario sia in partecipazione che in vendita».
Il primo periodo dell’artista è “tormentato”, come testimoniano le stesse rappresentazioni che evidenziano dolore psicologico e grande sensibilità.
«“Disegni dei mostri”, mi dicevano in paese. E io rispondevo loro: “i miei mostri un giorno saranno Angeli”».
Così difatti è stato. Ammirevole il cammino di quel bambino che, da autodidatta nella magna Firenze artistica, attraversa un percorso difficile ma notevole, lottando, fin da giovanissimo, per la propria libertà e indipendenza.
«La mia arte, espressione artistica forte, si manifestava con personalità. Una scuola mi avrebbe certamente corrotto e deviato dalla mia poetica. Ho seguito il mio percorso liberamente e ottenendo giustizia esclusivamente per il mio merito. Ho assecondato in maniera spontanea e naturale la mia arte, le mie ispirazioni e i miei interessi: dalla pittura ad olio al disegno, dalle ceramiche ai bronzi e ai marmi, dalla grafite alle matite a punta. Ho conosciuto tutto seguendo la mia straordinaria libertà e curiosità, lontano da qualsiasi mercato. Mi sono sempre rifiutato di essere un operaio di pittura».
Nella vita dell’artista è memorabile l’anno 1997, quando venne incaricato della realizzazione delle “Quattro porte” in bronzo del Santuario del SS. Salvatore in Montella.
«Un benefattore aveva destinato 100 milioni per realizzare l’opera in bronzo. Impiegai quattro giorni per completare le porte. C’è una preziosa particolarità nel modo in cui ho scolpito l’Ultima Cena nel bronzo di quelle porte monumentali: a differenza della scuola tradizionale, che prevede la collocazione della scena in orizzontale, io l’ho posta verticalmente. Scelta unica nel suo genere, con una modellatura pulita e lontana dalla gestione accademica. I costi delle porte furono tali da superare la cifra dei cento milioni, e fui proprio io a donare il resto. I montellesi ne furono colpiti. Volevo contribuire, rendendo omaggio alle mie origini, a quella devozione. Ero certo che il SS. Salvatore proteggesse anche me e che avrebbe continuato a vegliare sulla mia salute e la mia arte. Così è stato, quelle porte hanno rappresentato l’apertura simbolica del mio percorso artistico».
Dal ‘97 in poi la carriera del Manzi è stata coronata da riconoscimenti unici e straordinari, di cui un’artista gode in vita raramente. Nel 2005 espone a Firenze nel Giardino di Boboli, per sei mesi, 40 opere, fra sculture in marmo, ceramiche, bronzi e graffiti; una mostra sorprendente che cattura l’attenzione internazionale.
«Già esporre nel Giardino di Boboli - commenta l’artista – significa toccare il cielo con un dito.
Ma nel 2007 ho avuto l’opportunità incredibile di esibire le mie opere a Campi Bisenzio nelle sale di Villa Rucellai, dove, a seguito delle 150 opere donate, è nato il Museo Antonio Manzi. Una soddisfazione incredibile avere un museo per le proprie creazioni, e da vivo!» commenta ridendo l’artista. «Questi riconoscimenti sono stati per me importanti, emozione indescrivibile essere profeta in patria due volte, a Montella e a Lastra a Signa».
Nel 2018 il museo è stato visitato dal direttore degli Uffizi, il quale ha insistito affinché entrassi anche io a far parte della Galleria degli Uffizi. Ho donato un autoritratto, e durante l’evento a Palazzo Pitti nella Sala Bianca, tra i sindaci presenti c’era il sindaco di Montella Ferruccio Capone, il quale fece un discorso splendido, consegnandomi successivamente le chiavi della città di Montella e facendomi dono della cittadinanza onoraria». È un orgoglio, per la comunità Montellese, entrare nel museo di un grande artista nato a Montella e che allo stesso tempo omaggi questa terra.
«Porto la bandiera di Montella ovunque e con orgoglio: non siamo eterni, ma possiamo lasciare un segno».
Degno di nota è il regalo da parte dell’artista alla comunità montellese, una possente scultura in bronzo, alta 5 metri, definita “Elogio al Migrante”.
«Quell’opera straordinaria è un riconoscimento per tutti i montellesi nel mondo, soprattutto per quelli che non ci sono più e che hanno pagato con la vita l’emigrazione. Penso che l’uomo sia fatto per aiutare l’uomo, è questo il messaggio profondo di quel monumento. Con esso i montellesi si sono fatti onore nel mondo e oggi più che mai è fondamentale ricordarlo. Arte e bellezza ne sono il segno eterno. L’uomo si eleva solo se opera nel bene e in comunione con l’altro, questo è il messaggio, mistico e terreno, che ho voluto donare a Montella da Irpino».
In questa opera maestosa ritornano i tratti antichi della prima opera, quelli del nonno, le cui possenti radici sostengono le generazioni protese verso l’alto.
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