RINALDO D'AQUINO
Il montellese più illustre, e non solo dell’età medioevale, fu Rinaldo IV d’Aquino (Magister Reginaldus III), poeta e rimatore della famosa Scuola Siciliana del '200.
Fece parte della Magna Curia e intrattenne corrispondenza con Ruggieri d'Amici, Tiberio Galliziani da Pisa, il notaro Jacopo da Lentini e lo stesso Federico II. Nato a Montella, secondo F. Scandone dopo il 1221 e prima del 1231, da Filippo, fratello del famosissimo San Tommaso, che era stato mandato a governare il feudo di Montella, da Tommaso I° d’Aquino, secondo altri fra il 1223 e il 1228.
Ma la tesi storicamente più accreditata sembra essere quella di Mario Garofalo (Rinaldo d'Aquino - Rimatore montellese del '200 - Società Storia Irpina - 1990) che lo vuole nato nell'ultimo decennio del XII sec. dalla nobile Teodora e da Landolfo, e quindi fratello e non figlio o nipote di Filippo e di San Tommaso.
Questa seconda tesi è condivisa da molti altri storici, fra cui G. Grion, V. De Bartolomeis, C. Guerrieri Crocetti e E. Kantorowicz.
Valletto da giovane e funzionario della corte di Federico II poi, per essere stato fra gli infedeli all'imperatore, nella congiura di Cappaccio (1246), fu da questi mandato a morte nel 1247 (secondo alcuni storici fu mandato in esilio con tutta la sua famiglia e vi restò fino al febbraio del 1266). La morte riservata ai congiurati fu oltremodo atroce: mutilati del naso, delle mani e delle gambe e accecati con un ferro ardente; alcuni furono trascinati, da cavalli, per le strade, sino alla morte; altri bruciati vivi, altri impiccati e, i rimanenti, infilati in sacchi di cuoio insieme a serpenti velenosi e indi gettati in mare. Secondo alcuni storici, invece, fu mandato in esilio con tutta la sua famiglia e vi restò fino al febbraio del 1266.
La conferma della sua montellesità ci viene dalo stesso poeta che, nella canzone "Amorosa donna fina", si qualifica tale: "... / Ned a null'omo che sia / la mia voglia diria, / dovesse morir penando, / se non esse il Montellese, / cioè 'l vostro serventese, / ...".
I "Codici" gli attribuiscono 11 componimenti, 9 canzoni e 2 sonetti (per altre 2 canzoni vi è discordanza nell'attribuzione). Fra queste, è assai nota una canzone amorosa, "Lamento per la partenza del Crociato", lodata da Dante nel "De vulgari eloquentia":
"Già mai non mi conforto
né mi voglia rallegrare;
le navi sono giunte al porto
e vogliono colare ..."
Jiacopo de Nicola
Portolano e procuratore regio
Troviamo Jacopo de Nicola da Montella nel 1318 negli Abruzzi in veste di potolano e procuratore del re.Proprio in quel periodo scade, infatti, il suo incarico ed il ritardo nel ricambio del Cavaliere Martino di Agerola gli provoca problemi nei rapporti col giustiziere di principato Ultra, Gerardo di Sant'Elpidio.Chiuso l'incidente e ritornato a casa, continua ad essere al servizio regio ed il 28 settembre 1322 riceve l'appalto per la fornitura di 5000 ( cinquemila ) remi da galea ed il 3 ottobre seguente gli viene concesso di tagliare nelle selve comunale di Montella e di Serino.
Dovrebbe essere morto prima del 1325. quando un appalto simile - di ben 8.500 ( ottomila cinquecento ) remi. viene assegnato a tale Cicco de Nicola . che dovrebbe essere suo fratello.
Suo figlio Angelo aveva intrapreso la carriera ecclesiastica e l'altro figlio Roberto è qualificato come nobile nei documenti in cui risulta occuparsi del bene dell'anima del genitore
Diego Cavaniglia, conte del Rinascimento:
Era figlio di Garzia I (1395 ca. - 1453)[2], nobile giunto dalla Spagna al seguito di Alfonso V d'Aragona e appartenente alla stirpe dei Cabanillas di Valenza, conte di Troia e barone di Montecorvino, e della contessa Giulia Caracciolo di Melfi (1420 - 1487), nipote di Sergianni Caracciolo, gran siniscalco del regno.
Cresciuto alla corte degli Aragona, discepolo prediletto di re Ferdinando I, fu da questo nominato nel 1477 conte del feudo di Montella[3], già possesso del padre Garzia.
Ebbe, sembra, una relazione giovanile con la principessa Eleonora[4], poi duchessa di Ferrara. Sposò nello stesso anno Margherita Orsini dei duchi di Gravina (1460 - 1521). Vissero a Montella, nell'ormai scomparso palazzo comitale.
Dal matrimonio con Margherita nacquero due figli: Troiano (1479 - 1528), poi Troiano I conte di Montella e di Troia[5], che fu regio consigliere e mecenate, che ospitò nel palazzo di Montella gli accademici pontaniani tra cui Giovanni Cotta e Jacopo Sannazzaro, che gli dedicò due egloghe, e Nicolina (1480 -1546), che non si sposò e visse tra la corte di Montella e quella di Napoli.
All'inizio dell'estate del 1481 il conte Diego I partì da Montella con i suoi uomini al seguito di re Ferrante alla volta di Otranto assediata dai Turchi. Verso gli inizi di settembre venne colpito, sembra, da una freccia al ginocchio. Morì pochi giorni dopo nel castello dei principi Castriota di Copertino dove aveva trovato accoglienza.
La salma fu riportata a Montella e inumata nella chiesa di San Francesco. Fu poi trasferita nel sarcofago realizzato dallo scultore Jacopo della Pila per volere della vedova[6]. La contessa vedova, nonostante fosse stata costretta a risposarsi, alla sua morte volle essere sepolta accanto al primo marito, ai piedi del suo sarcofago (la lapide della contessa venne poi spostata a seguito dei lavori del XVIII secolo e posizionata nell'ala destra del transetto, dove si trova attualmente). Per questo il sarcofago è stato adottato a monumento degli innamorati[7].
Giovanni Battista Abiosi
Montellese di origine anche se bagnolese per adozione, viaggiò in Italia, Germania e Africa. Dottore in medicina, dal suo contatto con gli Arabi acquistò esperienza in alchimia, astrologia e matematica. Pubblicò opere di critica letteraria, di alchimia e astrologia
Sebastiano Bartoli (1629-1676)
Professore di anatomia nell'Università di Napoli, fondò l'accademia degli " Investiganti della natura ". Studiò le sorgenti termominerali di Pozzuoli e per primo ebbe l'idea di utilizzare il termometro in medicina.
Ritratto in ovale inciso da Biondi - tratto dall'Opera degli uomini illustri del Regno di Napoli G.B.G.Grossi autore della biografia
BARTOLI, Sebastiano. - Nato a Montella probabilmente nel 1629, il B. studiò matematica, filosofia e medicina a Napoli, proprio nel periodo in cui la cultura napoletana si andava affrancando con consapevolezza sempre più estesa dalla passiva accettazione dell'autorità scolastica per seguire le nuove vie dell'esperienza e della ricerca naturale.
Il primo segno della sua presenza nella cultura napoletana del tempo ci è fornito da un ricordo biografico del medesimo B., il quale, nella lettera dedicatoria premessa alla nona delle Exercitationes,dice che nel 1654, superate le incertezze di un ambiente ancora diviso e polemico verso il nuovo, poté acquistare vera consapevolezza della via da seguire e della necessità di rifiutare la vecchia autorità delle scholae.C'è in questo ricordo del B. più di una semplice esigenza critica e negativa; c'è, piuttosto, il farsi strada di una coscienza scientifica che illumina lo svolgimento della sua personalità. Giacché il rifiuto dell'autorità si unisce ad un nuovo interesse per la natura fisica e la natura dei corpi, sottratta all'assolutezza di una metafisica e ricondotta alla verità umana dell'ipotesi.
Gli anni immediatamente seguenti al 1654 furono per il B. di attiva partecipazione al moto di rinnovamento della cultura napoletana, iniziato dal Cornelio e dal Di Capua e stretto intorno all'Accademia degli Investiganti. Di questa accademia il B. fu sicuramente partecipe, e delle polemiche che nacquero dalla sua attività fu acceso protagonista: tanto che anche su di lui si puntarono gli strali di Innocenzo Fuidoro, portavoce modestissimo della vecchia cultura, ma, come è stato rilevato dal Cotugno, autore di giornali in cui era "raccolto e distillato tutto il veleno che i Galenici propinavano quotidianamente ai danni dei novatori", e insomma cronista reazionario della sua epoca.
A questo punto l'attività scientifica del B. ha trovato la sua definitiva specificazione. Filosofo, matematico e medico, egli ha ormai concentrato il suo interesse verso la fisiologia e lo studio dei corpo umano. Tuttavia profonda rimane l'incidenza della sua originaria riflessione filosofica, ché non si trattava di legare insieme esperienze disparate, bensì di riaffermare l'esigenza più viva della cultura del tempo: dare unità alla filosofia e alla scienza, far nascere dall'intemo della scienza una visuale unitaria della vita.
Lo studio del corpo è per il B. studio del complesso di esperienze che danno unità al corpo. E queste esperienze non sono nulla di empirico e di separato dal principio per cui costituiscono un'unità, ma si legano intorno al centro irradiatore della vita che è la luce. Un centro, sì, metafisico, ma che serve essenzialmente a fornire l'unità fisica della vita e che si manifesta attraverso la unità visibile della vita. Nel B. questa mediazione non è effettivamente raggiunta - sicché egli si pone per così dire a mezza via tra il vecchio e il nuovo, tra la vecchia filosofia medica rinascimentale e la nuova scienza medica sperimentale - ma è certo che attraverso la sua opera altri argomenti si aggiungono alla polemica ormai prevalente contro la tradizione.
Quest'opera è principalmente racchiusa nelle Exercitationes paradoxicae (1666) che destarono le maggiori discussioni: basti ricordare l'aspra polemica del medico tradizionalista Carlo Pignatari svolta all'ombra dell'accademia dei Discordanti, ossia all'ombra dell'autorità di Luca Tozzi; ma il B. è apertamente protetto dal viceré Pietro Antonio d'Aragona, ed anzi è il suo medico ufficiale, tiene cattedra di anatomia nell'università di Napoli dal 1668 e dalla cattedra continua la sua opera di novatore.
Quando si spegne, a Napoli nel 1676, le polemiche sono più vive che mai, ma il processo di rinnovamento appare ormai irreversibile.
Opere: Artis medicae Dogmatum communiter Receptorum examen in decem Exercitationes Paradoxicas distinctum a S. B.,Venetiis 1666; Breve ragguaglio de' bagni di Pozzuolo. Dispersi, investigati per ordine dell'ecc. Signore don Pietro Antonio d'Aragona e ritrovati da S. B. Medico di Sua Eccellenza,Napoli 1667; Thermologia Aragonia sive Historia Naturalis Thermarum in occidentali Campaniae Ora inter Pausillipum et Misenum iam inuria deperditarum et Petri Antomi ab Aragona studio et munificentia restitutarum (opera postuma), Neapoli 1679; Tráctatus anatomiae hepatis, lienis, renum, et vescicae urinariae (opera manoscritta), Bibl. Naz. Napoli, coll. XIV. D. 38.
Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana, II, Napoli 1678, p. 276; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 451 S.; M. Barbieri, Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli,Napoli 1778, p. 138; F. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, I, Napoli 1781, pp. 66-70; E. D'Afflitto, Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, II, Napoli 1794, pp. 63 ss.; G. B. Grossi, S. B.,in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, VI, Napoli 1819, s. P.; C. Minieri Riccio, Notizie biogr. e bibl. degli scrittori napol. fioriti nel sec. XVII, II, Milano-Pisa-Napoli 1875, pp. 10 ss.; R. Cotugno, La sorte di G. B. Vico e le Polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo,Bari 1`914, pp. 30-32, 49-51 e passim;N. BadaIoni, Introduzione a G. B. Vico,Milano 1961, pp. 48-50, 65-70 e passim.
Francesco Maria Trevisani
Avvocato e giudice della Gran Corte Criminale di Napoli nel 1820.
Giacobini, Sanfedisti e briganti nella bizzarra memoria poetica di un giudice borbonico al tempo della Repubblica Napoletana.
Ne è prova l'esempio offerto da miriadi episodi di eroismi misti a violenze di ogni genere che condizionarono nelle piazze gli alberi della libertà.
A Montesantangelo i repubblicani abbatterono il castello e tutti gli stemmi gentilizi della città; a Vieste l'albero fu posto a suon di tamburi nella piazza del Seggio gremita da una immensa folla di cittadini; a San Severo'una accolta di giovani' l'8 febbraio innalzarono in Piazza Grande l'albero e poi abbatterono 'la baracca in cui al feudatario principe di Sangro i cittadini pagavano i balzelli'; a San Marco in Lamis, popoloso borgo, patria della giacobina Francesca de Carolis, fucilata a Tito il 27 maggio 1799, s'innalzò invece una colonnina sormontata da una croce di ferro a ricordo della missione dei padri serviti.
Da simbolo di fede si trasformò in simbolo di infamia in quanto alla sua base, a mo' di pubblico esempio, si esposero i cadaveri dei giacobini e quelli dei briganti tra cui Francesco Magro, Michele Verderame, Pasquale Gravina, Giacinto Augelli, Michele Arcangelo Tamburo, Matteo Antonio Gaggiano e Nicola Gravina catturati dal colonnello della gendarmeria reale Manthonè, incaricato dell'alta polizia del Gargano.
Di recente la colonnina venne eliminata per un malinteso senso della storia.
Nel novembre 1795 venne da Ururi, allora provincia di Lucera, trasferito nel regio giudicato di San Marco in Lamis il giudice Francesco Maria Trevisani che 'ne prese possesso al 18 gennaio 1796'.
Manifestò subito al sindaco Michele Nardella e a tutti i decurioni la sua profonda devozione alla dinastia borbonica per cui ai principi di aprile del medesimo anno sarà espulso da[l] paese e accolto a Montella sua patria di origine. Il 5 giugno, mutati gli amministratori badiali, tornò a San Marcoove a sue spese reclutò un folto manipolo di giovani contadini disposti a difendere la dinastia borbonica dalle minacce di una invasione francese. La mattina del 3 settembre 1798, a mezzo bando, informò i sammarchesi che 'i prodi e fedeli compaesani erano partiti per gli accampamenti di Sessa per la conquista di Roma'.
Novello Alceo, così incitò alla lotta i giovani coscritti:
E' arcinoto l'insuccesso militare del generale austriaco Mack e di http://www.garganoverde.it/images/masino-nardella/tooltips/Ferdinando-I-due-sicilie.jpg" alt="Ferdinando I delle Due Sicilie" width="150" height="196" style="margin-top: 5px; margin-right: 5px; float: left;" />Ferdinando I di Borbone (Ferdinando Antonio Pasquale Giovanni Nepomuceno Serafino Gennaro Benedetto; Napoli, 12 gennaio 1751 - Napoli, 4 gennaio 1825) è stato re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, con il Congresso di Vienna e con l'unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie." title="" data-original-title="Da Wikipedia" style="box-sizing: inherit; cursor: pointer; display: inline-block !important; color: rgb(28, 74, 201); border-bottom: 1px dashed rgb(217, 43, 43);">Ferdinando IV sconfitti clamorosamente dalle truppe francesi sotto Civita Castellana.Ite, Prodi, correte:
al vostro, al vostro brando
tutte le sue vendette il Ciel destina.
La Gallia Cisalpina
Vinta, e depressa ai vostri
piè vedrete.
Cadranno a cento a cento
Da voi morti i suoi figli;
e l'alta Roma
Scossa la dura soma
Dell'imposte catene, in un momento
Verrà del vostro Re sotto il comando.
Nel gennaio 1799 il giudice poeta dovette rimpatriare in Montella ove assunse la carica di 'regio luogotenente'. Il 28 maggio venne ancora una volta trasferito in San Marco in Lamis con il grado di 'capo reparto'.
Amministrò tredici giurisdizioni del Gargano percorso e devastato dal brigantaggio per cui venne dal duca d'Ascoli, vicario generale del Regno, nel dicembre del 1801 nominato capo reparto della provincia di Foggia. Nel 1803 fu promosso governatore della regia corte di Sessa in Terra di Lavoro per occuparsi di problemi amministrativi ed anche poetici.
Morì a Napoli il 13 ottobre del 1843.
Filippo Capone
Capone Filippo Palazzo MontellaAntica famiglia di Montella già nota nel XV secolo. GIULIO, GIUSEPPE, ANDREA validi giuristi in Montella ed in Roma secoli XVII e XVIII; FILIPPO (1821-1895) senatore del Regno, sostituto procuratore della gran Corte Criminale di Chieti nel 1860, giudice della Gran Corte Civile di Napoli e Catanzaro, primo presidente della Corte d'Appello di Trani, Ancona e Milano dal 1876 al 1883, professore di Storia del Diritto all'Università di Bologna nel 1861, professore onorario all'Università di Napoli nel 1862, grand'ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, grand'ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, insignito della medaglia commemorativa delle guerre d'indipendenza 1848/49 e 1859; SCIPIONE presidente della Cassazione, deputato e poi senatore del Regno d’Italia dal 1861 al 1867; ANDREA avvocato generale militare del Regio Esercito Italiano nel 1932.
Titoli: nobile
Dimora: Montella, Roma
Motto: “durando vinco”
Giuseppe CIANCIULLI (1902 – 1938)
Giuseppe CIANCIULLI, di Raffaele e di NATELLIS Clelia, nato a Montella il 15 settembre 1902 ed ivi deceduto il 6 ottobre 1938.
Laureato in ingegneria presso la Reale Scuola d’ Ingegneria di Napoli il 13 novembre 1925, partecipò a vari corsi indetti dalle Amministrazioni Pubbliche della città di Albenga e delle province di Livorno, Palermo ed Avellino, occupando in graduatoria sempre i primi posti.
Oltre all’ attività professionale svolta come consulente presso Enti pubblici, per la fiducia riscossa nell’ esplicitazione della sua attività professionale, gli vennero affidati grandi lavori di progettazione e di esecuzione dal Provveditorato alle Opere Pubbliche, dalla già citata Regia Scuola d’ Ingegneria di Napoli, dal Consorzio di bonifica e da numerosi altri Enti.
Per la strada che congiunge attraverso gli altopiani dei Comuni di Montella, Volturara Irpina e Serino, in seguito a Concorso Stradale indetto dall’ Associazione per lo Sviluppo Economico del Mezzogiorno e per il Turismo, l’ Amministrazione comunale di Montella, in data 25 luglio 1932, lo insignì dell’ ambìto riconoscimento della Medaglia d’ Argento di 1° grado per l’ incremento efficace dato alle comunicazioni valorizzatrici dei demani, con il lodevole concorso del Comune di Volturara Irpina.
Per i suoi requisiti venne addetto alle Direzioni degli imponenti impianti della Sila, del Calore e del Pescara con i più arditi lavori idraulici, stradali e di galleria.
Ha diretto i lavori di bonifica integrale del Vallo di Diano, ha progettato e diretto i lavori per la realizzazione del primo lotto dell’ Acquedotto Consorziale dell’ Alto Calore (sorgenti dell’ Acellica – ripartitore di Montemarano) destinato ad alimentare di acqua potabile 28 Comuni delle province di Avellino e Benevento, compresa la città di Benevento.
In qualità di dirigente dell’ Ufficio Tecnico della Provincia di Avellino venne incaricato nel 1936, dal Presidente A. DI MARZO, alla progettazione dell’ Ospedale Civile di Avellino (Luigi AMABILE, ora San Giuseppe MOSCATI) e della Caserma Allievi Ufficiali “Generale BERARDI”, riscuotendo lusinghieri consensi da tutte le Autorità cittadine.
Il Consiglio Comunale di Montella, nella seduta del 30 aprile 1960, con delibera numero 75, gli intitolò la strada che porta al Santuario del Santissimo Salvatore, strada da lui progettata e della quale ne diresse i lavori.
“… su richiesta del Sindaco Presidente dott. Ing. Attilio FIERRO, propone che la via comunale che mena al Santuario del Ss. Salvatore, con inizio da piazza Principe di Piemonte, venga intitolata all’ ing. Giuseppe CIANCIULLI, nobile figlio di questa terra generosa, nato in Montella il 15 settembre 1902, ivi deceduto in giovanissima età il 6 ottobre 1938.
Valoroso funzionario della Provincia di Avellino, progettò e diresse con alto spirito di religiosa devozione al proprio paese e con particolare amorevole perizia, del tutto gratuitamente, i lavori di costruzione della predetta via di accesso a l Santuario.
L’ ing. CIANCIULLI, col suo alto impegno, onorò il paese e merita tale attestato di devota riconoscenza.
Il Consiglio Comunale, ad unanimità di voti espressi per alzata di mano, DELIBERA, intitolare all’ ing. Giuseppe CIANCIULLI la via comunale che da piazza Principe di Piemonte mena al Santuario del Ss. Salvatore, sollecitando, all’ uopo, le autorizzazioni delle competenti ulteriori Autorità.”
Giulio Capone (1863-1892)
Giulio Capone nacque a Montella il 13 dicembre 1863 dal Com. Scipione e da Adele Solimene.
Visse i primi anni dell’infanzia tra gli ammaestramenti e i buoni esempi materni, manifestando subito le doti che lo distinsero dagli altri: bontà, rettitudine, intelligenza, affettuosità e precocità d’ingegno.Lo studio divenne la sua attività quotidiana già in tenera età. Egli non frequentò le scuole elementari pubbliche ma fu affidato dal padre al maestro privato Generoso De Stefano. Per un certo periodo proseguì gli studi nel seminario di Nusco in un clima familiare e accogliente, ma poco dopo lasciò il seminario per trasferirsi a Napoli, ove si era trasferita la sua famiglia in seguito all’esito sfavorevole delle elezioni del 1876 e alle conseguenti dimissioni del padre da sindaco di Montella, e si iscrisse al liceo classico "Vitt. Emanuele". Intanto in lui cresceva sempre più l’amore per il sapere e la conoscenza delle lingue gli permetteva di tradurre le opere dei più grandi letterati stranieri.
A soli sedici anni, nel 1879, terminò gli studi classici e, lo stesso anno, si iscrisse alla facoltà di Lettere presso l’Università di Napoli ove, nell’anno accademico 1882/83, si laureò con una tesi monografica su "Diurnali di Matteo Spinelli da Giovinazzo". Dopo la laurea, il ginnasio di Barcellona gli offrì una cattedra come professore di lettere, ma lui rifiutò per una malattia recente e gravissima.
Non insegnò mai.
Nel 1883 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, a Napoli, ove, nel 1888 si laureò in legge.
Nel 1891 fece gli esami per procuratore.
Nei mesi estivi era solito tornare a Montella ove organizzava degli spettacoli teatrali con i contadini di Garzano. Si interessò soprattutto di storia dei dialetti, di canti e racconti popolari, di filologia e di storia del diritto, in particolare quello romano.
Collaborò con le riviste napoletane del tempo: "Napoli letteraria" e "Cronaca Partenopea" scrivendo articoli di critica letteraria e di filologia.
Nell’ottobre del 1891 la malattia che lo aveva colpito si aggravò e, dopo alcuni mesi di sofferenza, morì nel febbraio del 1892. Fra le molte sue opere ricordiamo: "Canti montellesi", "Nna jornata a Monteddra", "Noterelle etimologiche", "Un astrologo bagnolese del 600", "Teatro in montagna" e una farsa in dialetto montellese
Michelangelo Cianciulli (1734-1819)
Nato a Montella nel 1734 e morto a Napoli nel 1819, sommo
avvocato dell’ Ordine di Santa Chiara e della Corona, Caporuota, giudice della Gran Corte della Vicaria Civile, avvocato fiscale del Real Patrimonio, membro della Giunta degli Abusi, della Giunta di Stato e della commissione per i dissequestri dei rei di Stato, Reggente al Trono di Napoli, Presidente del Consiglio di Stato, Dignitario dell’ Ordine delle due Sicilie fu chiamato a servire la giustizia anche sotto i Napoleonidi come Ministro di Giustizia e nella sessione legislativa del Consiglio di Stato, contribuì alla realizzazione della legge eversiva della feudalità.Oltre a redigere e sottoscrivere la legge sull'eversione della feudalità (2 agosto 1806) il CIANCIULLI presiedette - come Ministro della Giustizia (1806-1809) - la commissione incaricata di tradurre in lingua italiana ed eventualmente adattare alle esigenze del Regno di Napoli il Code Civil Napoleonico.Sottoscrisse, quale Ministro di Giustizia, il 3 giugno 1808 con Giuseppe NAPOLEONE, Re di Napoli e di Sicilia, Principe Francese, Grand Elettore dell’ Impero, lo STATUTO COSTITUZIONALE del Regno di Napoli e di Sicilia.
Scipione Capone
Nato nel 1825, si distinse nella repressione del brigantaggio quale colonnello della Guardia Nazionale. La sua biblioteca, ricca di 30.000 volumi, costituì il primo nucleo della biblioteca provinciale di Avellino. I suoi beni furono destinati alla fondazione dell'asilo infantile Capone. Il fratello luca, dottore in medicina, nel corpo sanitario, prese parte alla campagna del '66 con Garibaldi. Fu professore di laringoiatria nell'Università degli Studi di Napoli
Domenico Ciociola (1818-1896)
Domenico Ciociola nacque a Montella il 7 agosto 1818 e qui si spense il 20 settembre del 1896.
Canonico della Insigne Battesimale di Santa Maria del Piano, fu oratore di grande talento chiamato a svolgere la sua attività panegirica in tutti i comuni dell’Irpinia.
La sua attività didattica fu degna delle migliori lodi e, rigoroso e capace, seppe essere ottimo maestro di numerosi giovani, montellesi e non, ai quali seppe trasmetterete, col sapere, anche la sua umanità. Cultore non solo della ricerca storica, ma anche della natura e dei suoi infiniti segreti, amava avventurarsi in lunghe passeggiate fra i boschi delle nostre montagne alla ricerca di "piante officinali", delle quali conosceva ogni caratteristica ed ogni proprietà.
Notevoli erano le sue conoscenze di agraria e di pastorizia, conoscenze che infuse in due sue opere inedite: "Il Villico Montellese" e "Margherita Pusterla", una tragedia in cinque atti con versi in volgare ed in latino. A causa di un grave incidente di caccia, altra sua passione, gli fu amputata la gamba destra, ma questo sfortunato evento non gli impedì di effettuare delle importanti ricerche storiche sulle chiese di Montella e sulle sue numerose "Congregazioni".
Sue opere sonno: "Notizie circa la Chiesa del SS. Salvatore edificata sopra un ramo degli Appennini di Montella e Novenario per l’apparecchio della festa" (Napoli, 1873),"Breve elogio funebre pronunciato sul feretro del Cav. Stanislao Pascale il 24 Novembre 1878 nella Battesimale di Montella" (Avellino, 1879), "Festa centenaria celebrata in Montella ad onore del SS. Salvatore nei giorni 5, 6, 7 giugno 1879. Impressioni e ricordi" (Montella, 1896), ma la sua opera più importante e meritoria è senz’altro il suo "Montella - Saggio di memorie critico cronografiche" dato alle stampe, nel 1877, per i tipi della tipografia R. Cianciulli di Montella che, a distanza di 109 anni, vista la sua importanza e il fatto che molti dei documenti in esso citati, sono andati ormai perduti, nel 1986, è stato ristampato dalla Tipografia Dragonetti di Montella.
Giacomo Moscariello
Caduto in combattimento a Verdun nel 1918; medaglia d'oro americana al valore militare e croce di guerra francese
FERDINANDO CIANCIULLI (1881- 1922) politico, pubblicista.
Ferdinando Cianciulli nacque a Montella il 14 aprile del 1881 da Vincenzo e Giulia Marciano, nativa di Torella dei Lombardi. Il padre voleva farne un prete e lo iscrisse al Seminario arcivescovile di Benevento, ma Ferdinando non vi rimase a lungo perché mostrò subito di non avere la vocazione. Lasciato il Seminario, frequentò, per qualche anno, la Scuola enologica di Avellino.
Rientrato a Montella nel 1903, iniziò a collaborare con diversi periodici locali per poi fondarne uno suo: «Il Grido degli umili» che, nel 1910, diventò «il Grido».
La pubblicazione proseguì, salvo interruzioni nel periodo bellico, fino al suo assassinio nel 1922.
Per circa tre anni il periodico venne stampato a Montella in una cantina dell’abitazione del Cianciulli, poi, dal 1906, nelle tipografie di Avellino.
«Il Grido», unico in questo tra i periodici della provincia, trovò il suo pubblico nel proletariato urbano e tra le masse contadine. Veniva “letto” nelle sezioni, nei circoli, nelle sedi delle leghe e delle società operaie. Lo scrittore Mario Garofalo, nel libro “Alle origini del Socialismo in Irpinia, Ferdinando Cianciulli” ed. Centro dorso – Avellino - 1986, lavoro pregevole e fondamentale sul Cianciulli, riferisce che egli aveva addirittura l’abitudine di riunire nella piazza principale di Montella contadini e braccianti per leggere e commentare loro pubblicamente gli articoli del suo periodico.
Diffuso anche all’estero tramite i concittadini emigrati, intendeva divulgare gli ideali del Socialismo, richiamare a raccolta «i diseredati e gli oppressi» dell’Irpinia «aspra», «tenebrosa» e «feudale» per infondere in loro una coscienza di classe e organizzarli nel partito «dei poveri», il Partito socialista.
A soli diciassette anni Ferdinando si era iscritto alla Sezione di Benevento del Partito e a Montella nel 1901 ne aveva fondato una Sezione; altre ne costituì nei comuni della provincia. Fu, con altri socialisti, il principale promotore della Federazione provinciale irpina.
Sempre a Montella, aveva costituito la Lega contadini, la Lega dei caprai, la Lega reduci e la Mutua Cooperativa tra pastori, contadini ed operai.
Fu più volte eletto nel Consiglio comunale, dove condusse una tenace opera di opposizione; significativa quella contro gli esiti della questione demaniale tra Montella e Volturara, che si era conclusa in maniera sfavorevole al popolo montellese.
Ebbe un occhio sempre attento alle dinamiche sociali e politiche nazionali e internazionali, coltivò fecondi rapporti intellettuali, sia attraverso la corrispondenza sia con frequenti viaggi, con personalità nazionali di rilievo come Roberto Ardigò, Amedeo Bordiga, Leonida Bissolati, Enrico Ferri, Guido Podrecca, Benito Mussolini (durante il periodo di militanza socialista di quest’ultimo), Filippo Turati.
Partecipò a diversi Congressi nazionali del Partito socialista in rappresentanza della Federazione irpina, tra cui quello di Livorno del 1921 che segnò la nascita del Partito comunista italiano.
Il Cianciulli, però, scelse di non aderirvi: rimase socialista.
All’attività di pubblicista affiancò quella di scrittore. Sono suoi gli opuscoli “Il Martirio di Giordano Bruno” (1909) in occasione della collocazione del monumentino bruniano (oggi sulla facciata della Biblioteca Comunale di Montella in piazza Sebastiano Bartoli), “Per la lotta” (1911) in seguito ad una prima aggressione subita la sera del 13 giugno 1911, nei pressi della propria abitazione sita in via s. Simeone, oggi via F.Cianciulli. “Ascolta lavoratore” (1921) in cui sono diffusi i capisaldi dell’ideologia socialista “Zola nell’arte e nella vita”, “Garibaldi e i mille”, due inni “Inno alla plebe” e “Abbasso le frontiere” e un dramma “Verso la vita”, che ancora nel 1945 venne rappresentato a Montella da una filodrammatica giovanile.
L’attività giornalistica di denuncia dei privilegi e dei soprusi delle classi sociali piu’ abbienti a scapito dei più poveri alimentata da una fede incrollabile nei valori del socialismo, e testimoniata fino alla fine, l’aperto anticlericalismo avevano creato nei suoi confronti un clima di rancore e di avversità: l’assassinio non ne costituì che il tragico epilogo!
La prima aggressione subita nel 1911, che lo aveva lasciato in fin di vita e, quasi sordo dall’orecchio destro, non lo aveva intimidito, né fermato (…di ogni mezzo illecito abusando per riuscire nell’intento di sopprimermi, di soffocarmi in gola il grido ribelle, per spezzarmi tra le mani la penna che non si prostituisce, non si acqueta).
La sera del 22 febbraio 1922 una seconda, vile, aggressione andò purtroppo a segno: colpito a fucilate da ignota mano assassina, morì la mattina seguente per emorragia cerebrale. Prima di morire indicò come mandanti del delitto due famiglie locali. Il movente fu individuato dai magistrati nei «foschi risvolti di un altro scabroso fatto di sangue», l’omicidio della maestra Luigia Ceccacci, avvenuto nel 1920.
Ferdinando Cianciulli aveva condotto, sul Grido e nel paese, «durante il periodo di latitanza di due ricercati autori dell’omicidio, un’ aperta, implacabile campagna di stampa perche’ si catturassero gli autori del delitto , dei quali , per connivenza delle forze dell’ordine , si ritardava la cattura… Fu assassinio politico ?...Come deve essere definita l’eliminazione fisica di un uomo da vent’anni alla giuda di un partito in lotta per l’attuazione degli elementari principi umanitari di giustizia, di libertà e di uguaglianza, sempre in prima fila nelle aspre battaglie per l’epurazione morale e politica della vita pubblica dei comuni irpini, strenuo difensore degli umili, costretto dalla necessità di tempi e di luoghi ad ingolfarsi quotidianamente nella ridda degli interessi e dei personalismi che angustiano la vita della provincia, cosi attirandosi gli odi e i rancori dei tanti individui impietosamente messi alla gogna: una mafiosa faida di comune oppure un primordiale rozzo delitto politico?>> (Mario Garofalo, op. citata pag. 188) .
Ferdinando Cianciulli aveva sposato nel 1910 con rito civile Giovannina Morrone (1876-1939), insegnante elementare, che del marito condivise sempre gli ideali politici e sociali. Impegnata fin da giovane a sostegno del Partito socialista, aveva collaborato al Grido di cui era stata corrispondente, fino al 1915, da Cassano Irpino dove insegnava presso la scuola elementare. I suoi articoli, firmati G.C., trattarono in prevalenza la questione femminile e il tema del lavoro.
Ebbero quattro figli, un maschio Ferdinando- Bruno-Ardigò, che mori’ a soli undici mesi, e tre femmine Alba, Fernanda, Wanda.
In occasione dell’80mo anniversario della morte del “pioniere del socialismo irpino “, il Comitato costituitosi per la celebrazione, ha fatto affiggere sull’ingresso del fabbricato della sua casa natale una lapide commemorativa.
Filippo Bonavitacola, primogenito di sette fratelli, nacque a Montella il 3 settembre 1914 ove visse fino all’età di 13 anni, quando, con i suoi genitori, Domenico e Maria Michela Perillo, si trasferì a Cassano Irpino.
Figlio di contadini, conobbe ben presto il duro lavoro dei campi, le lunghe, aspre mulattiere degli altipiani irpini, le malinconiche distese di neve e i rigori del clima. Il suo corpo e il suo spirito si forgiarono fra la libertà, la letizia e le arcigne balze montane imprimendo al suo carattere la fortezza, l’animosità e la generosità della gente Irpina, e, anche se di carattere vivace, esuberante e coraggioso, fu un ragazzo coscienzioso, buono, intelligente e non mancava di adempiere ai suoi doveri scolastici.
Dopo aver assolto agli obblighi di leva ed aver ottenuto il congedo illimitato, venne richiamato alle armi il 14 gennaio 1939 e, assegnato al 2° Rgt. Ftr., partì volontario per la campagna di Spagna ottenendo la croce al merito di guerra, la medaglia di benemerenza per i volontari e la medaglia commemorativa.
Il 25 novembre 1940 venne richiamato nuovamente e il 28 giugno del 1941 giunse a Tirana per partecipare alla guerra d’Albania ove, nel giugno del ‘42 entrò nell’Arma dei Carabinieri come ausiliare.
Con la firma dell’armistizio Filippo si unì ai partigiani albanesi nella lotta contro i tedeschi e, fatto prigioniero (14.12.’43), finì nel campo di concentramento tedesco di Elbasani (Albania centrale).
Nell’aprile del ‘44 venne trasferito in Germania dove evase, nell’ottobre dello stesso anno, ma, trovandosi nell’impossibilità di raggiungere l’Italia, si unì ai partigiani cechi e russi.
Nuovamente catturato venne trasferito a Branoro, da dove riuscì ad evadere ancora e si unì alle formazioni partigiane slovacche. Di nuovo catturato, venne rinchiuso nel carcere di Nicolizzi e quindi trasferito a Branovo (Slovacchia) dove, l’8 dicembre 1944 venne fucilato.
Durante il processo e la lettura della condanna a morte mantenne un contegno fierissimo, rincuorando i compagni di prigionia e inneggiando al Re d’Italia. Fulgido esempio di alte virtù militari e di fierezza nazionale, al momento dell’esecuzione, assestando un vigoroso pugno al capitano tedesco che voleva bendarlo, scoprendosi il petto gridò: - Sparate pure, non temo la morte ! - .
Francesco Scandone (1868-1957)
Francesco Scandone, a cui ben meritatamente è intitolata la nostra scuola, nacque a Montella il 12/11/1868.
Fatti i primi studi con lo zio materno, Don Giuseppe Schiavo, più tardi li proseguì presso il Seminario Vescovile di Nusco, ove ebbe per maestro Mons. Felice Del Sordo che lo invogliò agli studi storici, come del resto fece il can. Domenico Ciociola nella cittadina natia.
Successivamente si iscrisse alla facoltà di lettere presso l’Università Federiciana di Napoli, confortato ed invogliato da due insigni letterati montellesi: Scipione e Giulio Capone.
Nel 1891 conseguì la licenza e, dopo due anni, il dottorato il lettere presso la suddetta università. Nel 1893 fu assegnato come Reggente di lettere al ginnasio inferiore di Gallipoli (LE) e l’anno successivo fu trasferito, con lo stesso incarico, al "Genovesi" di Napoli ove restò fino al 1902 quando fu trasferito al Ginnasio superiore di Cassino.
Intanto, nel 1895 aveva ottenuto l’abilitazione all’insegnamento delle lettere italiane, latine e greche e, nel 1898, il certificato di paleontologia presso l’Archivio di Stato di Napoli, avendo per maestri il Capasso, il De Petra ed il Batti ai quali si affiancava la sua fervida e proficua amicizia con Filippo, Giulio e Scipione Capone, emeriti studiosi e storiografi della nostra Montella.
Nel 1903 fu nuovamente a Napoli come insegnante presso il Ginnasio superiore "Vittorio Emanuele II" ove restò fino al 1912. Intanto, nel 1907 conseguì, con il massimo dei voti, il diploma Dalla Scuola di Magistero - Servizio Storico Geografico.
Nel 1911, in seguito a concorso, fu nominato ordinario di storia e geografia nel Liceo "Vitt. Em. II" di Palermo ove restò per ben cinque anni.
Nel 1917 fu di nuovo a Napoli, prima all’"Umberto I", poi, nel 1923, al "Genovesi" e quindi al "Vitt. Em. II" (1924). Nel 1925 fu preside al Liceo-Ginnasio di S. Maria Capua Vetere e nel 1927 fu Preside al "G. B. Vico" di Napoli. Nel 1930 fu trasferito al Liceo-Ginnasio "Mario Pagano" di Campobasso ove vi restò fino al 1933 quando fu collocato a riposo. Durante la sua permanenza a Campobasso, nel 1932, ebbe occasione di conoscere Benedetto Croce che ne ammirò la sua erudizione storica.
Ritornato a Napoli continuò a dedicarsi all’insegnamento per altri dieci anni: tre al "Pontano", tre all’Istituto Magistrale "Antonia Maria Verna" e quattro all’Istituto Magistrale "S. Rita".
Il 13 gennaio 1957, a circa 89 anni, dopo una vita laboriosa passata fra l’insegnamento ed un assiduo studio di ricerche storiche tra Archivi e Biblioteche e dopo aver prodotto un’ingente quantità di scritti, molti dei quali ancora inediti, si spense nella sua casa di Napoli.
Fra le sue numerosissime opere, che ci è impossibile elencare, visto il loro enorme numero e che prendono in esame la storiografia della maggior parte dei comuni irpini (e non solo), vogliamo qui ricordare la Storia di Avellino in 5 volumi, che gli meritò la cittadinanza onoraria del nostro capoluogo, il volume Roccasecca, patria di S. Tommaso, per il quale ottenne la cittadinanza onoraria di quella città, i suoi numerosi volumi storiografici su L’Alta valle del Calore e L’Alta valle dell’Ofanto, i suoi studi su Rinaldo d’Aquino "montellese" e i quattro volumi sulla Storia di Montella
Salvatore Pelosi
Ammiraglio, comandante, durante la guerra, del sommergibile Torricelli; medaglia d'oro al valor militare
Michele Cianciulli (1895-1965)
Avvocato, autore di pubblicazioni storiche e filosofiche.
Michele Cianciulli (Montella, 1895 – Roma, 1965) è stato un avvocato italiano e poi assistente all´università di Roma "La Sapienza", insegnava filosofia.
È autore di diverse pubblicazioni storiche e filosofiche. Le più note sono quelle sul Re Manfredi e sul brigantaggio nell'Italia meridionale.
È stato anche responsabile del Grande Oriente di Italia - massoneria negli anni 1950-1955.
La profonda amicizia col compositore Nino Rota è espressa in un epistolario tra i due.
Egli fù insigne avvocato della Santa Sede ,poliglotta di 15 lingue straniere parlate e scritte,nonché , Professore di letteratura italiana nell'Università di Firenze e di Storia della Filosofia nell'Università di Roma,autore di molte opere alcune sono catalogate sia nella biblioteca locale sia in quella provinciale sia in quella Nazionale di Napoli: Osservazioni sul Tempo e sull'Estetica – Due Estetiche (Gentile e Tilgher) – Il Messo del Cielo nell'inferno Dantesco – Un Filosofo della Bontà (Felice Ravaisson ) - Re Manfredi e la Tradizione della sua Tomba in Montevergine – Il Brigantaggio nell'Italia Meridionale dal 1860 al 1870 – Mazzini ed il Romanticismo – La Canzone di Giacomo Leopardi alla sua Donna e l'Eterno Femminino – 21 di Aprile – La Sibilla - Eugenio di Savoia – Estetica Morale ed Educazione – Colloqui con mio Fratello - Prigionia in Germania - Redattore della rivista mensile di Filosofia Mazziniana “ L'Idealismo Realistico “ negli anni 940.50 , nonché,fondatore della , eretta in Ente Morale di Assistenza e Beneficenza con D.P.R. N° 738 del 18.05.1968.con i beni ereditati con testamento olografo dalla Sig.ra Elena O' Connor del 24 settembre 1951 a margine riportato ed anche di sua esclusiva proprietà non di provenienza dalla Signora O' Connor., così come egli dispose per testamento olografo in data 27 ottobre 1956 nominando suo esecutore testamentario il Dott.Prof. Nino Rota,Direttore Artistico del Liceo Musicale di Bari. ATTO COSTITUTIVO DELLA FONDAZIONE "CASA DI RIPOSO ELENA E CELESTINO DE MARCO " del 29 luglio 1966
Giovanni Palatucci nacque a Montella il 31 maggio del 1909, da Felice e da Angelina Molinari.
In lui fin da ragazzo si manifestò un’intelligenza acuta ed operativa, stile e riservatezza nel portamento ed eleganza nei tratti, simpatia e giovialità nella vita di relazione.
Giovanni compì gli studi ginnasiali presso il Ginnasio Pascucci di Pietradefusi ed il Liceo nella vicina Benevento. Nel 1930, dopo la maturità, venne chiamato al servizio militare, e fu destinato a Moncalieri, in Piemonte.
Nel 1932, a 23 anni, si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Torino e, dopo una breve permanenza a Montella, superò gli esami per procuratore legale presso la Regia Corte d'Appello delle stessa città, ma la professione di avvocato non lo entusiasmava, per cui fece ritorno a Montella. Nel 1936, con grande disappunto del padre che lo voleva avvocato, fece domanda per andare nella Pubblica Sicurezza e, quindi, si trasferì a Roma per frequentare il 14° Corso di Polizia.
Terminato il corso venne assegnato, quale Vice Commissario Aggiunto di P.S., a Genova. Agli inizi del 1938 è presso la Questura di Fiume ove, successivamente, assumerà gli incarichi di Commissario e di Questore con la responsabilità dell'Ufficio Stranieri.
Questo suo incarico lo portò a diretto contatto con la realtà ebraica che, in quegli anni era sottoposta alle persecuzioni naziste.
Nella sua lunga attività, con il prezioso aiuto di suo zio, mons. Giuseppe Maria Palatucci, vescovo della Diocesi di Campagna (SA), e con la connivenza del regime, operò il salvataggio di migliaia di ebrei.
Questa sua attività si protrasse anche quando, con la caduta del fascismo, Mussollino proclamò la Repubblica Sociale Italiana.
Ma, l'8 settembre 1943, il potere ed il controllo della zona passò, di fatto, nelle mani dei tedeschi ed era assicurato dalle feroci SS, al cui comando fu posto il generale nazista Odilo Globocnick. Anche in queste difficili condizioni, Giovanni continuò la sua meritevole opera, fino a quando, il 13 settembre 1944, fu arrestato dalla polizia di sicurezza germanica e deportato, prima a Trieste e successivamente nel campo di concentramento di Dachau (Monaco di Baviera - Germania) ove, a soli 36 anni, il 10 febbraio 1945, trovò la morte.
Il folto stuolo di ebrei, scampati a sicura morte per suo merito, non lo dimenticò e, il 23 aprile 1953, con una grandiosa celebrazione, durata più giorni ed a cui parteciparono mons. G. M. Palatucci e suo fratello p. Alfonso, vollero intestargli una delle più belle strade e un parco in Israele, nella città di Ramat Gan, presso Tel Aviv.
Il 10 febbraio 1955, sulla collina della Giudea, nei pressi di Gerusalemme, si diede inizio alla piantagione della foresta "G. Palatucci" e un albero, sul Viale dei Giusti, a Gerusalemme, reca ai suoi piedi una lapide con il suo nome.
Il 17 aprile 1955, nel X Anniversario della Liberazione, l'Unione delle Comunità Israelitiche d'Italia, gli conferì una Medaglia d'Oro; nel 1974 gli venne intestata una via a Torino ; nel 1983 gi venne intestato un parco in corso Montegrappa a Genova; nel 1989 una strada ad Avellino ed, infine nella natia Montella gli è stata intestata la Scuola Elementare del rione Fontana , un Circolo Culturale, un Parco, e un volume curato dal compianto Goffredo Raimo.
Giuseppina Fierro in Rossi Nata a Montella il 1°maggio 1928.
Laureata in Lettere e Filosofia all’ Università Cattolica di Milano. Docente di Lettere al Liceo Scientifico di Montella intitolato al poeta Rinaldo D’ Aquino su sua proposta. Preside della Scuola Media di Montella. Impegnata in campo sociale e politico fu Dirigente Provinciale del Movimento Femminile della Democrazia Cristiana; decisivo il suo voto come delegata femminile al Congresso Provinciale nel 1969 che determinò la svolta del partito a favore della ‘ Sinistra di Base’ di Ciriaco De Mita. Dal Comune di Montella ebbe l’ incarico, svolto gratuitamente, di interessarsi dell’ assistenza, tramite la Prefettura di Avellino, delle “fasce deboli” della popolazione e in particolare delle donne sole e indigenti. Ha promosso e curato ricerche, raccolta di proverbi e mostre fotografiche al fine di preservare la memoria delle antiche tradizioni popolari, religiose e contadine montellesi. E’ deceduta nel pieno della sua attività il 6 luglio 1981.
Guido Gambone
Primo di cinque figli nasce a Montella, in provincia di Avellino, il 27 giugno 1909, da una famiglia del ceto medio.Giovanissimo, si trasferisce con i genitori a Salerno, ove compie gli studi frequentando il ginnasio: più tardi, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, lo troviamo al banco di zi' Domenico a Vietri sul Mare
www.guidogambone.com
(Montella, 13 settembre 1923 – Napoli, 11 marzo 2005)
è stato un cantante e attore italiano.Insieme a Roberto Murolo, Renato CarosoneeSergio Bruni è stato uno dei maggiori interpreti della canzone napoletana.Era molto legato alla famiglia, specialmente alla cugina Anna. Il suo celebre motivo Guaglione è stato tradotto in diverse lingue, anche grazie alle numerose tournée che il cantante compì in USA e Canada a beneficio delle numerose colonie di immigrati italiani ancora presenti alla fine deglianni Cinquanta nel continente nordamericano.Fierro ha partecipato a numerosi Festival della canzone italiana di Sanremo,sei volte e a diverse edizioni del Festival della canzone napoletana (del quale vinse la prima edizione organizzata dalla RAI appunto con Guaglione).......Continua
Antonio Manzi
Antonio Manzi nasce a Montella (Avellino) il 15 marzo del 1953, si trasferisce in Toscana, a Lastra a Signa nel 1957.
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L'arte del legno
Geno Auriemma, è un immigrato di Montella
il coach di basket più famoso d'America
Leonarda Cianciulli (1893 -1970)
Leonarda Cianciulli, familiarmente chiamata "Nardina", ma più conosciuta come la "saponificatrice di Correggio", nasce nel 1893 a Montella, in provincia di Avellino. Probabile figlia di uno stupro, non desiderata dalla madre, è una bambina debole, malata di epilessia e afflitta dalla solitudine tanto che più di una volta tenta il suicidio.
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