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Una Riflessione

capodanno 2017Alcuni post pubblicati qui su Montella.eu, in particolare “Si tenta di sopravvivere” tratto da CARA MONTELLA, ha stimolato alcune mie vecchie ( pubblicate altrove) e nuove riflessioni che mi piacerebbe condividere con “il popolo di Montella.eu”. “Come corre il tempo” ho pensato brindando, circondato da visi ed affetti familiari, con un calice di spumante questo primo gennaio scorso. Capodanno è sempre un crocevia di valutazioni varie che si pongono alla nostra attenzione confondendosi tra lo zampone e le lenticchie simbolo di speranza e desiderio di buona sorte. Credo che sia capitato a tutti fermarsi, almeno per un attimo, a riflettere e stilare il rendiconto dell’anno appena trascorso e, con esso, tutti gli altri che con il trascorrere del tempo s’infilano come perle lungo il filo maestro del tempo. Capita a volte, quando tutto intorno è piacevole allegria, di isolarsi

con i propri pensieri e, strappato il filo di cui accennavo poc’anzi, rivedere il proprio passato sfilarsi davanti ad occhi disillusi. Un percorso a ritroso che dalla foce del presente risale verso la sorgente del passato. Il mio rifugiarmi nel passato non è semplice nostalgia e nemmeno rappresenta l’ultima spiaggia dell’idealista. Piuttosto questo viaggio a ritroso è un metro di valutazione, una sorta di cartina al tornasole per misurare le distanze che “mi” separano da speranze tradite negli anni. Anno duemiladiciasette e sono ancora qui che aspetto! Aspetto dalla mia adolescenza, dai miei 18 anni e un bagaglio di speranze e sogni in più. Cosa aspettavo allora? Forse una società alla mia misura, più umana rispetto a quella ritrovata da adulto. Erano gli anni novanta, anni di enormi cambiamenti. Montella stava rifiorendo dopo il tragico terremoto dell’ottanta. Tanti miei amici più grandi di me lavoravano nel settore dell’edilizia e per strada si notava un benessere figlio del decennio appena messo alle spalle. Non capivo, allora, che quella ricchezza basata semplicemente sulla ricostruzione, sull’edilizia, con il tempo si sarebbe trasformata nel nodo scorsoio che strangola il futuro. Come ogni generazione che mi ha preceduto a partire dal’ 68 in poi, credevo che la passione delle mie utopie unita a quella di tanti altri giovani sfociasse, con il tempo, in qualcosa di positivo per la nostra generazione. A volte temo che la “sconfitta” maggiore in questi anni di crisi sociale sia questo inestinguibile senso di precarietà in cui stiamo affogando lentamente generazioni di disillusi. Se osservo la mia famiglia, gli affetti e gli esempi positivi che mi hanno circondato da sempre nella nostra bella Montella, comprendo che abbiamo perso la bussola per navigare nel futuro. Siamo come marinari che in balia delle onde del destino, non riescono a “leggere mappe” nel cielo stellato. Eppure i presupposti per una “navigazione serena” vi erano tutti. Porti sicuri a cui approdare erano ovunque all’orizzonte. Avevamo altre certezze. La stabilità di una famiglia. Un lavoro dignitoso in cui sperare. Percorsi di studi che avrebbero portato ad un miglioramento della propria condizione sociale ed esistenziale e realizzare, soprattutto, una maturazione personale per divenire quel “sii quello che vuoi essere” come afferma Paulo Coelho nella sua bella poesia “Le cose che ho imparato nella vita”. L’Europa vista dai miei diciotto anni non era questo “Moloch” di oggi. Rappresentava una prospettiva affascinante cullata anche dal disgelo tra le grandi potenze che sembrava aprire, finalmente, le porte a un periodo fiorente di pace e stabilità. Provo sconforto a pensarci oggi, consapevole allo stesso tempo, che il futuro avvolto in un velo di nichilismo rappresenti la Waterloo di ogni generazione di “sognatori”. Più il tempo passa e più spesso, alla luce di tutto questo, mi domando con rabbia quanto sia colpevole il mio silenzio rispetto a questa realtà “depravata”? In che percentuale ho contribuito, credendo inconsapevolmente in falsi profeti, a questo scippo di futuro a cui non ho saputo gridare il mio no? Ma soprattutto: quanto potrei fare ancora per riscattare la parte migliore della mia gioventù, dei miei pensieri d’allora, questa dignità comune di tanti giovani che sembra prostituirsi ogni giorno sulle strade della quotidianità? Forse è proprio vero che ci affezioniamo a “cose idiote”, ci rileghiamo per disperazione in “realtà immaginarie” celate da schermi e tastiere per non confrontarci con quella parte della realtà che appartiene al “sé”, al “noi”, e fatichiamo a ritrovare una corda comune che riannodi insieme la speranza nel futuro alla nostra idea di comunità.

Gianluca Capra

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