Analogie e differenze tra covid 19 e peste bubbonica. di Peppino Volpe
Analogie e differenze tra covid 19 e peste bubbonica. L’epidemia da CoViD-19 è solo l’ultima di una lunga serie di epidemie che hanno piagato il mondo nel corso dei secoli e alcune di queste hanno avuto un ruolo determinante nella scomparsa di intere civiltà. Ma le peggiori pandemie per la popolazione europea furono quelle causate dalla peste e quelle di cui si hanno maggiori testimonianze sono state quelle del trecento e del seicento.
La grande peste nera che iniziò nel 1346 e terminò nel 1353 con molta probabilità venne importata dal Nord della Cina (tanto per cambiare). All'epoca le sue cause ed il suo trattamento erano sconosciuti e solo 5 secoli dopo si scoprì che la peste era una malattia infettiva batterica causata dal bacillo Yersina pestis( in onore allo scienziato Alexandre Yersin che lo isolò per la prima volta nel 1896) e l'ospite più comune del batterio è il ratto e il vettore principale con cui si trasmette agli uomini è la pulce.
Questa è la prima grande differenza con il covid che come è risaputo è una malattia causata da un virus e probabilmente è stato trasmesso all’uomo dal pipistrello.
La peste è detta bubbonica perché una volta che l'uomo è stato punto dalla pulce, dopo un periodo di incubazione che varia dai 2 ai 10 giorni, iniziano ad ingrossarsi i linfonodi, formando dei bubboni della grandezza di un uovo di gallina, dolorosissimi. Negli stadi terminali, la cianosi conferiva al malato un colorito scuro, da cui anche il nome di peste nera.
Il batterio veniva portato dalle pulci per mezzo dei topi che salivano sulle navi mercantili e diffondevano il morbo nei diversi porti dove approdavano.
I gatti potevano essere di grande aiuto nel limitare la diffusione della malattia, purtroppo l'opinione pubblica dell'epoca pensava che erano proprio i poveri felini domestici i diffusori della malattia ed iniziarono a sterminarli e i ratti erano, quindi, liberi di proliferare e di trasmettere la malattia in maniera esponenziale e il tutto era anche favorito dalle scarse condizioni igieniche personali e ambientali (fogne a cielo aperto). La peste si ripresentò in Italia nel periodo tra il 1629 e il 1633(ampiamente trattata dal Manzoni) e colpì diverse zone del Settentrione (come per il coronavirus)
L'arrivo dell'estate e del caldo (al contrario di quello che è successo con il coronavirus) accrebbe ulteriormente la virulenza della peste e la situazione nelle città divenne insostenibile e spesso i parenti malati o morti venivano abbandonati nelle case o per le strade. Iniziò anche a diffondersi l’assurda credenza che alcuni uomini spargessero appositamente unguenti velenosi per propagare la peste, erano i famigerati “untori” che venivano additati, scacciati e a volte linciati.
Ma anche durante il periodo del covid, soprattutto nella fase iniziale, c’è stata la caccia all’”untore”, acuita dai social ed esponendo alla gogna mediatica il “positivo” di turno. E’ stato, per un bel po' di tempo, lo sport preferito dagli Italiani (soprattutto nei piccoli centri).
Durante la peste ,ovviamente, la popolazione non riusciva ad essere informata a differenza di quello che è successo con il covid dove tutti i canali televisivi facevano a gara a chi poteva mandare in onda le immagini più cruente dei pazienti intubati nelle sale di rianimazione degli ospedali ed aggiornare quotidianamente il bollettino dei numeri dei deceduti , terrorizzando soprattutto i cittadini emotivamente più fragili ed alcuni ,soprattutto i più giovani, ne pagano ancora oggi le conseguenze (isolamento sociale, ansia ,depressione, disturbi alimentari, fobie).
La medicina di quell’epoca non era ancora una scienza in grado di fronteggiare una simile epidemia, i medici erano pochi, vestiti in modo carnevalesco e senza armi terapeutiche e per questo fu lasciato campo libero ai ciarlatani ed alle fattucchiere che vendevano a caro prezzo intrugli miracolosi. Ma se vogliamo, anche durante il covid, virologi, epidemiologi, infettivologi, sedicenti scienziati esperti di pandemie, erano diventati delle vere e proprie star, invitati in tutti i salotti televisivi nazionali e spesso dicevano tutto ed il contrario di tutto, litigando tra di loro per guadagnarsi la palma del più bravo e contribuendo, così, a creare confusione nella mente degli italiani.
Durante la peste, l'unico modo serio per arginare l'epidemia furono le leggi imposte dalle autorità che vietarono feste e viaggi controllando con delle ronde i punti di accesso alla città e realizzando nelle aree periferiche, i “lazzaretti”, dove confinare gli appestati, misure paragonabili a quelle adottate durante il covid (lockdown nazionale, zone rosse e centri covid).
La peste raggiunse Napoli nel 1656, causando 150mila vittime su circa 300mila abitanti.
Ad Avellino su 10000 abitanti ne sopravvissero poco più di 3000. Mancavano anche i becchini, per cui il principe Caracciolo fece grazia ai condannati per obbligarli a seppellire i cadaveri o di bruciare i corpi in putrefazione per le strade.
Anche Montella pagò a caro prezzo l'epidemia di peste. Gli scenari tragici di quel periodo sono stati magistralmente descritti e documentati dal prof. Mario Garofalo (1656 annus horribilis). All'epoca, quasi tutti i montellesi avevano il diritto di sepoltura nelle chiese, ma dopo circa un mese dall'inizio dell'epidemia non vi erano più posti e, pertanto, venivano seppelliti nelle fosse comuni di cui una realizzata nelle vicinanze della chiesa della Madonna della Libera dove già esisteva l’ospizio per i forestieri e l'altra nei pressi della chiesa di Santa Maria Visita Poveri a Sorbo (dove risiedeva più del 40% dei montellesi).
Molti cadaveri vennero infossati anche sotto il pavimento della cappella Delle anime del Purgatorio risalente al XVI° secolo e recentemente ristrutturata, dove di solito venivano sepolti “i morti senza nome” (abbandonati, emarginati, viandanti ecc.), che a Napoli chiamavano “anime pezzentelle”, che dovevano purificarsi dal loro grande peccato: la povertà!!!
Nella chiesa barocca del Purgatorio ad Arco a Napoli c’era il culto delle anime pezzentelle ,che era una macabra tradizione napoletana che consisteva nell’adottare, da parte di ogni buon credente , il teschio ( “capuzzella”)di una predetta anima, custodirla in una teca o in una semplice scatola, e chiedere aiuto per una grazia (spesso numeri al lotto).Per ogni desiderio esaudito si portava un omaggio al teschio e si pregava per alleviarne le pene dalle fiamme del purgatorio (Arrefresca l’anima re lo preatorio ) .
Venne realizzato alla meno peggio anche una specie di lazzaretto (una baracca) nel largo di Piediserra ma non ebbe grande successo e ben presto venne abbandonato per le pessime condizioni igieniche. Anche durante il covid è stato attivato il “Covid Residence” nel comune di Montella nell'area attigua al Convento di San Francesco a Folloni (dotato di 41 posti) e messo a disposizione dei pazienti che erano impossibilitati a permanere nel proprio domicilio in sicurezza. Fortunatamente è stato utilizzato da poche persone.
Gli appestati, di solito, morivano in una settimana e rimanevano abbandonati nelle proprie abitazioni o insepolti per le campagne. I preti, a qualche morente, somministravano l'eucarestia ponendo l'ostia consacrata sull'estremità di una pertica. Era una morte in solitudine,priva dell'umana pietà, simile se vogliamo, con le necessarie eccezioni dovute ai tempi, a quello che è successo nei reparti di rianimazione degli ospedali del Nord e con le terrificanti immagini dei camion dell'esercito che trasportavano bare ai forni crematori senza dare la possibilità ai familiari di dare l'ultimo saluto.
In quell’epoca i montellesi ancora non avevano scelto un santo protettore, c'era già, a S. Simeone, la splendida Chiesa di Sant'Antuono che venerava S.Antonio Abate , guaritore dell'herpes zoster o fuoco di S.Antonio, ma alla fine venne scelto S. Rocco (come in tanti altri paesi limitrofi) che era uno specialista della materia ( protettore degli appestati, contagiati, emarginati, ammalati, viandanti e pellegrini, , invalidi, prigionieri, chirurghi, operatori sanitari, farmacisti). Finalmente la peste cessò di mietere vittime nell'agosto del 1657 dopo aver causato 1924 morti su una popolazione di 3000 abitanti (2/3).
In Italia i deceduti per covid sono stati 196.379. in Campania 9.623, a Montella questi erano i dati in piena pandemia
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