Quando a Sorbo nevicava ...Ricordi di Carmala Marano - Durante le lunghe invernate quando ero bambina, capitava spesso che a Montella e nel mio rione Sorbo, cadesse tanta di quella neve da costringere gli abitanti a spalare gallerie alte anche più di un metro davanti ai portoni delle case per potere uscire a fare cose essenziali per le loro famiglie, o addirittura ad uscire dalle finestre dei piani bassi. La coltre bianca copriva tutto, rendendo il paesaggio visto dall'alto, suggestivo e fiabesco, in un silenzio irreale che impediva anche il diffondersi del suono delle campane delle chiese e dei rintocchi dell'orologio della piazza. In casa era sempre accesso il focolare che oltre a scaldare tutta la casa, serviva ad far circolare il calore sopra una grande grata dove si essiccavano le castagne.
C'era anche una grande e bella cucina a legna, rivestita di mattonelle, acquistata da mio papà al suo rientro da lunghi anni di lavoro negli Stati Uniti d'America. Con questa cucina, dove naturalmente mia mamma faceva da mangiare, e dove si facevano quasi tutti i giorni le caldarroste, si manteneva l'acqua calda necessaria ai vari servizi e si asciugavano i panni. Per noi bambine e bambini erano giornate belle e divertenti, io aiutavo gli uccellini affamati a nutrirsi, che senza alcuna paura, si avvicinavano sul grande cortile a terrazza di casa mia. Quando non si andava a scuola, passavamo le giornate a correre su e giù nella neve calzando ai piedi solamente le calze di lana di pecora che tenevano caldo e non lasciavano passare l'umidità. I ragazzi si attrezzavano rimettendo insieme vecchie tavole di legno per costruire improvvisati slittini, utilizzandoli per fare spericolate discese verso la chiesa di S. Michele.
Per noi femminucce, anche se piccole, camminare per le strade era pericoloso per il rischio di cadute a causa del ghiaccio e perché i ragazzini appostati in vari punti strategici prendevano a pallate di neve chiunque passasse a portata di tiro. Un giorno, che era nevicato molto, io e alcune delle mie sorelle e amiche ci eravamo incammitate verso l'edificio scolastico, giunte a costeggiare un alto muro, ci accorgemmo che stavamo cadendo in una imboscata di pallate, sopra al muro un bel gruppo di ragazzini erano pronti a colpirci, per noi non c'era più via di scampo, dovevamo solo cercare di scappare il più lontano possibile, portandoci fuori dalle mire di quei ragazzini nostri coetanei, d'improvviso però una voce si alzò sopra al muro, che intimava a tutti "non tirate, sono le sorelle di Gerardo" e così nessuno di loro si provò a lanciare una sola palla di neve. Avevano avuto sicuramente paura per una eventuale vendetta che mio fratello più grande di loro, avrebbe messo in atto.
Non era come oggi, che appena cadono due fiocchi di neve l'amministrazione comunale fa una ordinanza di chiusura delle scuole. Si andava a scuola anche quando nevicava, le aule erano freddissime, ed era usanza che ognuono di noi portasse un pezzo di legna secca per potere alimentare la grande stufa scolastica in terracotta. Gli adulti, non potendo andare al lavoro nei castagneti e nei terreni coltivati, aggiustavano gli attrezzi agricoli, lavoravano le carni dei maiali che nei mesi freddi venivano macellati, preparando succosi prusciutti, salsicce, soppressate, e noglie, le donne preparavano le "ielatine" con le frattaglie dei maiali, pasta fatta a mano, stese, tagliatelle, gnocchi e altre prelibatezze. Sempre le donne, passavano le giornate fredde dell'inverno, armate di fuso e arcolaio a filare e poi lavorare la lana delle tantissime pecore che i pastori paesani avevano e accudivano.
Tessevano maglioni, mantelle, scarpette da notte e ogni tipo di calze e calzini. Tanti uomini, si ritrovavano nelle cantine a giocare a carte e a bere vino per intere serate, molte volte, alcuni di loro si ritiravano a casa barcollando in preda a una bella ubriacatura, con gravi rischi per le povere donne che li aspettavano. Nelle cantine non esistevano servizi igienici, e quando, a fine serata, gli ubriaconi uscivano, facevano i bisogni in qualsiasi angolo nascosto che gli capitava. Un bruttissimo ricordo per me fu il passaggio della guerra, quello che mi impressionava di più, era il vedere, grandi e piccini, provenienti da Napoli e da altre città della Campania, fuggiti e sfollati nel nostro paese, chiedere l'elemosina o addirittura un pezzo di pane per sfamarsi. A noi non mancava niente, e io ritenevo assurdo che questa povera gente, non per colpa loro, doveva subire tutto quello che le stava succedendo. Oggi a causa dei cambiamenti climatici, anche a Montella, come in molti altri paesi di montagna, le nevicate sono meno frequenti e intense di quando io ero piccola. Per il progresso non esistono più le condizioni di vita e gli avvenimenti di quei tempi, rimangono però, intatti i ricordi, che la mia generazione ancora presente, può raccontare ai tanti giovani sulle loro origini e su quella che fù la vita dei loro antenati.
CARMELA MARANO