La breve nota che segue vuole contribuire, senza alcun intento didascalico, alla ricostruzione di una "memoria" dell'8 Marzo, di ciò che è stato e cosa ancora può essere, i suoi valori fondanti e le prospettive.Ed anche per fare chiarezza
di tanti stereotipi e luoghi comuni che rischiano di snaturarne il valore. Volutamente non ho usato per l'8 Marzo il termine Festa, perché lo ritengo limitativo dal punto di vista semantico: l'uso che via via è stato fatto della ricorrenza ne ha smarrito il valore originario, facendo prevalere significati e riti funzionali alla logica del consumo di una società che crede di onorare le ricorrenze con l'avere, senza riflettere sull'essere, sui valori a cui rimandano.Mi sia consentito brevemente ricordare che la Giornata Internazionale della Donna ha un'origine segnata da difficoltà storiche, politiche e sociali che ne ha reso difficile anche l'istituzione.
Negli Stati Uniti, fu la socialista Corinne Brown il 3 maggio 1908 a presiedere il primo Woman's Day in cui si discusse dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni di operaie.
Quell'iniziativa fu la premessa alla prima e ufficiale giornata della donna celebrata il 28 febbraio 1909 sempre negli Stati Uniti. Circa l'individuazione della data dell'8 marzo va chiarito che comunemente è circolata una fantastica ricostruzione secondo la quale essa avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York: probabilmente si è fatto confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, e cioè l'incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall'Europa.
Ora che sia Cotton anziché Triangle la fabbrica in questione, ha un'importanza relativa ai fini del valore simbolico della ricorrenza, certo èche l'8 Marzo rimane data fatidica di riferimento mondiale.
In Italia la prima Giornata Internazionale della Donna fu tenuta soltanto nel 1922 per iniziativa del Partito comunista d'Italia che volle celebrarla il 12 marzo, perché prima domenica successiva all'8 marzo di quell'anno.Com'è intuibile, durante il ventennio, la Giornata non fu mai ricordata, riebbe"cittadinanza" in tutta Italia solo nel 1946: fu in quell'occasione che vide anche la prima comparsa della mimosa (che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo) come simbolo della Giornata secondo un'idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei.
Durante il Ministero Scelba, anni '50, distribuire mimose, diffondere Noi Donne (periodico dell'UDI) o piazzare banchetti in occasione dell'8 marzo, veniva considerato atto sovversivo e occupazione abusiva di suolo pubblico!
Solo nel dicembre del 1977 l'Onu adottò una risoluzione con la quale proclamò una Giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale: con essa l'Assemblea riconobbe non solo il ruolo delle donne negli sforzi di pace ma anche (e direi soprattutto) l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.
A che punto è oggi l'8 marzo?E' ancora utile celebrarne la ricorrenza e perché?
Uno degli stereotipi più diffusi è, infatti, quello che ritiene superflue e pretestuose oggi le rivendicazioni femminili, <>.
E' una mentalità diffusa, frutto di una società che va veloce e non ha (o non vuole avere) il tempo di elaborare pensieri lunghi, sceglie quelli"corti" , appannaggio non solo degli uomini ma ahimè di tante donne.
L'assunto è inesatto per svariati motivi. Non solo perché non considera la geografia dell'emancipazione della donna: in tante parti del mondo ancora oggi manca del tutto la parità formale (le leggi di fatto codificano una discriminazione ...) ma anche perché non riflette sulla mancanza di una parità sostanziale, anche là, dove è assicurata quella formale, Italia compresa.
E' un pensiero che riflette poco sul fatto che tuttora manca una parità sostanziale delle donne nella rappresentanza politica e istituzionale, nell'occupazione lavorativa e nella retribuzione economica delle prestazioni lavorative, negli organismi del potere economico e decisionale etc.
Ed è una condizione che non è solo negativa per le donne ma per la crescita complessiva del Paese , per il Pil della nazione, come ampiamente dimostrano rapporti e studi condotti da organismi internazionali , nei quali le donne, tra l'altro, "non dettano la linea" (Onu, World Economic Forum, Ocse etc.)
Volutamente si trascura che nascere femmina in Italia condiziona ancora le opportunità di carriera (il rapporto Global Gender Gap del World Economic Forum ci colloca al 124 posto sui 136 paesi presi in esame), che il tasso di occupazione femminile in Italia resta il più basso in Europa (il 47% contro il 67% di quello degli uomini) e che nella nostra provincia la percentuale delle donne disoccupate continua ad aumentare anche rispetto al dato nazionale.
Nascere femmina in Italia significa non essere garantita in termini di rappresentanza paritaria di uomini e donne nelle istituzioni, in coerenza con gli articoli 3 e 51 della Costituzione, e dei Trattati istitutivi dell'Unione Europea, relativi alla promozione della donna nei ruoli decisionali.
Sulla rappresentanza paritaria va fatta qualche considerazione più approfondita.
Se è necessario che siano introdotte nella legge elettorale, quale che sia il sistema prescelto, norme di garanzia per una rappresentanza di genere paritaria (perché le donne costituiscono più di metà della popolazione e dell'elettorato, è indispensabile che sia stabilito il principio del 50% di donne nelle liste dei candidati o nei collegi) dovrebbero essere previste sanzioni in caso di un loro mancato rispetto.
Per superare il sistema delle quote, utilissime per il riequilibrio di genere in una fase transitoria, ma più consono alla tutela di gruppi minoritari di potere, è oggi indispensabile un sistema di scelta che individui le candidate non per cooptazione (conosciamo tutti l'uso strumentale che se ne è fatto sebbene nato per un fine più giusto) ma secondo un principio di rappresentanza vera, frutto, attraverso l'espressione delle preferenze, di una libera scelta da parte dell'elettorato.
In definitiva il principio di rappresentanza paritario non si rispetta cooptando donne per garantire le quote, ma favorendone un protagonismo vero che le faccia scegliere dall'elettore (e dalle elettrici) per meriti, in virtù di un impegno civile, di competenze , per la validità delle proposte e quant'altro. E' di queste ultime ore però la notizia che la Legge elettorale in discussione alla Camera dei Deputati non prevede alcuna norma paritaria. Il testo di questa nuova legge elettorale non prevede la presenza nelle liste di un uomo e una donna alternati (la proposta è due uno - due uno) né la sicurezza che al Parlamento siederanno donne e uomini secondo le regole civili di una democrazia paritaria. Eppure sembrava che Renzi avesse tenuto fede a un vecchio impegno: la presenza di un numero pari di uomini e di donne nel suo governo è stata salutata positivamente da tutte le associazioni femminili( anche se subito dopo, però, la nomina dei sottosegretari ha dimenticato il principio, anzi ha riproposto i mali della vecchia politica scegliendo l'equilibrio delle correnti e non quello della rappresentanza paritaria e delle competenze)
Va anche ricordato che essere donna non dà certo garanzie per una bella politica. Le donne possono essere portatrici di un cambiamento radicale solo se sanno individuare e aggirare tutti quei comportamenti e quelle scelte che le omologano al già visto...
Riguardo ai traguardi di emancipazione ancora possibili voglio solo accennare alla questione della violenza sulle donne che pure è oggetto di tanti luoghi comuni e, peggio, di scrollatine di spalla che si riserva agli avvenimenti considerati ineluttabili: il dato è tristemente in crescita e la condanna ufficiale non sempre si accompagna a misure vere di tutela delle vittime.
Se è innegabile che le donne attraverso le associazioni di genere ( si assiste a un loro rifiorire non solo in Italia ma in tutto il mondo e Ginestra - al suo decimo anno di vita- è un esempio di testimonianza, modesto ma significativo, per il nostro territorio) molto abbiano contributo alla "emersione" di un fenomeno sovente sottaciuto dalle stesse vittime e da loro subito "in nero", va anche rilevato che grazie alla capacità delle donne "di fare sistema"e di "fare rete" con le Istituzioni locali, nazionali ed europee si sono realizzati strumenti legislativi di contrastato del fenomeno.
Non sono, invece, ancora del tutto soddisfacenti le iniziative a tutela delle vittime (centri di ascolto e di accoglienza, case protette): sarà questo il terreno su cui concretamente impegnarsi nel futuro prossimo!
Anche Ginestra si sta attrezzando per un obiettivo concreto: dar vita, già nei prossimi mesi, a un Centro di ascolto donna che, insieme alle consuete iniziative di carattere culturale e sociali, possa meglio qualificare l l'attività' di un'associazione di donne di tradizione laica, pluralista, apartitica ma non apolitica, aperta al confronto e al dialogo con tutti.
Montella 8 marzo 2014 Anna Dello Buono per
GINESTRA
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