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Trica e benga pesante di Giuseppe Marano

TRICA E BBENGA PESANTE 05Trica e benga pesante di Giuseppe Marano - (=LASCIA MATURARE COL TEMPO LE COSE IN MODO CHE POSSANO ESPLODERE IN MODO…RISOLUTIVO) 

Caro Vittorio il condensato di saggezza del popolo è per me insondabile, anche quello racchiuso in queste quattro parole del titolo nell’antico detto di Sorbo; ho cercato di interpretarlo pur certo di non riuscirci tanto è denso profondo. Mi faccio sentì “ogni mòrta re papa”, ma lo faccio quando non ne posso ppiù a sopportare, sarà la vicchiàja che il poeta antico chiamava morosa: intrattabile bisbetica come la peggiore delle Santìppe, altro che amorosa! E scusa se mi sfogo un poco con te, lo so che non serve a niente perché il male è sistemico, cronicizzato -come dicono con ‘professionale empatia’ i dottòri- in decenni di incuria politica.

Così ieri stavo cominciando a scriverti poi mi so’ “sfuttuto” sfiduciato, e ho lasciato perdere, ma stamattina non ce l’ho fatta a sopportare “sto pirtùso ‘mpiétto”, e, se pure non serve a niente, ti scrivo per stupido sfogo.
TRICA E BBENGA PESANTE 03Niente, qualche giorno fa vado in farmacia a prenotare una visita fisiatrica (qualcuno direbbe: “hai sbagliato a scrivere! Per te ci vuole quella psichiatrica!”) dallo specialìsta dell’ASL che mi viene fissata la metà di novèmbre prossimo.
Non mi meraviglio perché so di essere in un Paese colabrodo con immeritata maiuscola (non dico Montella ovviamente). Ma se io (non posso dire nemmeno: “Ai cani dicendo!” perché sono un “animale” animalista!) dicevo: ma se io tenessi un tumore, la visita oncologica me la fisserebbero quando già sarei crepato e andato agli “alberi pizzùti” o “a la gròlia re li cardùni”?
TRICA E BBENGA PESANTE 04Ditemi un po' schiaritemi le idee perché a una certa età si saranno rattrappite con me, come insegnava l’apologo di Menenio Agrìppa (“…che rròbba è? E’ na cosa che se màgna?”): ditemi un po' questo vi pare giusto? E ripeto, non è una cosa capitata con questo governo, ma si è incancrenita in decenni tra le compiaciute pacche sulle spalle impreziosite da giacche superfirmate e ammiccamenti politici bipartisan. Vi pare questa una democrazia? Questa in cui lo stato non rispetta il primo principio costituzionale dell’uguaglianza dei diritti o meglio della paritaria fruibilità fra tutti al di là dei ceti, dei diritti stessi?

Per uscire dall’astratto giuridichese croce e delizia della politica -pardon, di certa politica quella come si dice, mainstream, eternamente imperante- vi pare giusto normale che il nostro stato -che si proclama democratico cioè fondato sull’uguaglianza dei diritti e quindi sulla pari possibilità di usufruire degli stessi- offra o consenta (che è lo stesso) una enorme differenza di trattamento fra chi è “ricco” e chi è “povero”?

Abbiamo il coraggio di ripristinare le antitesi economico-sociali veicolate espresse chiaramente da parole e concetti da un sessantennio almeno opportunisticamente obliterati dimenticati sbeffeggiati come primitivi antidiluviani: i ricchi e i poveri. I primi, che dir si voglia: pescicani, capoccioni, paperoni super evasori fiscali, se ne vanno nelle migliori cliniche italiche o mondiali a curarsi sfilettando con piacere dalle loro tasche dorare fior di quattrini per curarsi operarsi, se ne strafottono altamente dell’oceano infinito degli indigenti che, per una visita o per un intervento chirurgico vitale devono aspettare per anni (o non aspettare più perché non fanno a tempo!).

TRICA E BBENGA PESANTE 02Questi sono gli eterni secondi: i poveri. Ma la inossidabile potentissima controparte dirà: dipende dalle regioni! Tutto colpa dell’infausto articolo quinto pare del 2005 (mi vien da citare il sorevése: “l’articolo quinto, chi tène mmano è bbinto”= per gli alloglotti: “l’articolo quinto, chi ha il potere ha già vinto”). Ma se chiedi alle Regioni ti rispondono: i soldi non sono sufficienti per le strutture e le infrastrutture, dipende dal governo, dallo stato, non da noi che siamo sfasolati; ecco l’eterno salvifico ping-pong del potere: la regione rimanda al Ministero, il ministero risponde che non tiene soldi sufficienti rimpalla al Ministero dell’Economia questo dice che c’è una congiuntura economica di deficit globale, non c’è da… fàle!

Ecco dove il potere si nasconde: nella fuga di specchi, nella polimerasi delle responsabilità: la colpa è di tutti e quindi di nessuno: “la irresponsabilità” istituzionale, costituzionalizzata…La confusione delle competenze non è casuale, ma istintivamente autoconservativa del potere che non vuol render conto a nessuno. Basta così caro Vittorio.

Son giunto ad una conclusione (tutta mia per carità!) che uno stato così mi appare nemico. Che ti uccide, non dandoti la possibilità di curarti, che anzi ti costringe a venderti la casa (se ce l’hai) per operarti a spese tue dal luminare magnate (in senso semanticamente lato: che magna anche pesante). E si blatera contro le “democrature” estere!
Questo Moloch vorrei combatterlo ma da quel poveretto vecchio che sono lo potrei fare solo pateticamente con la stupidamente confortante ottativa surreale parossistica iperbolica, assente nelle sintassi dei dotti: se potessi lo combatterei, a mio parere con legittimità naturale di autodifesa, come nemico.
E mi aiuta mi ispira il classico, se no che “ho perso” a fare anni a leggerlo: la lezione di Ulisse, che riesce a “sternare” il mostruoso possente umanamente imbattibile Polifemo: con un semplice “arzùlo” (= “un fiasco”) di vino. Ovviamente, fuor di metafora, userei qualcosa di meno inebriante del miracoloso vino di Ulisse.
La realtà caro Vittorio è che il superpotere economico sottomette a sé pure la politica.
Lo capisce pure il mio nipotino che non ce la fa più a sopportare il bombardamento con effetto rimbambimento dello tsunami pubblicitario nella TV pubblica: la RAI.
Scusa per qualche accento sorevese, ma penso non dispiaccia alle tue radici sensibili a questi echi antichi. Un caro saluto
Giuseppe Marano

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