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Sei personaggi in cerca di... ricordi (2^ parte) di Totoruccio Fierro

                                              SCIARPIGNO

L'origine del suo "stranginomo" è del tutto misteriosa.

 

Potrebbe, forse, derivare dalla parola inglese "sharp" che significa aguzzo, tagliente, pronto nelle risposte...Ma quanti montellesi all'epoca conoscevano la lingua anglosassone? Pochi, pochissimi, per la qual cosa è più probabile che, come tutti gli "stranginomi" che in quel tempo si affibbiavano alla quasi totalità delle persone e alle famiglie di provenienza, la sua etimologia fu sicuramente legata a fatti, cose, situazioni, aspetti fisici, frasi pronunciate, carattere, abitudini, comportamenti e quant'altro gli furono propri...

 

Era basso e segaligno, il suo viso rassomigliava a quello di una civetta: naso adunco, occhi piccoli e penetranti, sguardo sinistro e mefistofelico, faccia attenta, sospettosa e sempre sporca di terra. Sulla testa portava un cappello a larghe falde, di un colore indefinibile a causa dell'uso prolungato e della sporcizia depositatasi. I movimenti del suo corpo, coperto da vestito tutto rattoppato, erano contraddistinti da scatti cadenzati, improvvisi e sussultorei che ricordavano, appunto, quelli dell'uccello notturno! Che mestiere poteva esercitare un tale personaggio, se non quello di custode del Cimitero comunale?

 

Difatti, lavorò per tutta la sua vita tra le croci, le lapidi, le bare, le cappelle, le tombe del Camposanto e il suo impegno, la sua solerzia, il suo attaccamento al lavoro erano talmente sentiti e partecipati che, non solo trovava del tutto naturale mangiare e farsi il bicchiere di vino seduto tra i morti, ma addirittura dormire in loro compagnia in uno dei due vani posti alla sua entrata!

 

Insomma, era riuscito a stabilire tale una osmosi e"tacita convivenza" con chi non c'era più, da sentirsi parte perfettamente integrata del luogo, probabilmente sperando, in tal modo, che vivendo abitualmente tra i morti, la lama lucida, tagliente e inesorabile di una nera, beffarda e impietosa "Signora" l'avrebbe risparmiato!...

 

Quando si andava a far visita ai cari defunti, Sciarpigno godeva e si divertiva nel renderla più sofferta, scabrosa, incerta e problematica, soprattutto se essa avveniva nel tardo pomeriggio o nelle ore notturne!

 

Infatti, mentre percorrevi il luogo, non era del tutto improbabile vederlo spuntare di soppiatto e all'improvviso dai posti più impensati : si appostava dietro una lapide, dietro un cipresso, al di là di una colonna o di un cespuglio, usciva, facendo cigolare la porta, da una cappella, emergeva da qualche fossa, così come viene catapultato fuori il pupazzetto dalla molla compressa nella scatolina-giocattolo, ti seguiva silenziosamente, toccandoti lievemente sulla spalla, insomma, perseguiva la strategia del più intransigente terrore!...A tal punto che, andando al cimitero, dovevi mettere in conto non solo la comprensibile "paura" derivante dai " fantasmi " che potevano, più o meno, aleggiare in quel luogo, ma anche di quella che veniva scatenata dalle inopinate, grifagne e diaboliche apparizioni di mister " Sharp" !

 

Quando, poi, qualche volta, saliva al Paese per i motivi più vari, allora si assisteva a scene di risibile e folkloristico sommovimento: i ragazzetti si davano ad un fuggi-fuggi generale, le donne si segnavano con la croce, gli uomini o si abbracciavano al ferro dei lampioni stradali o, più ancora e "dignitosamente", affondavano le mani nelle tasche dei pantaloni, andando a perturbare gli incolpevoli e dormienti "satellitini" di Giove!...

 

A volte, lo si vedeva maneggiare le ossa dei morti come se fossero ramelli di albero e quando arrivava il 2 Novembre, diventava d'incanto disponibile e cortese verso tutti i visitatori, che non gli facevano mancare tangibilmente il loro riconoscimento!

 

Purtroppo, anche lui non potè sfuggire al roteare implacabile del tagliente falcione della nera e incappucciata "Signora"!... Una cosa è certa : lasciare il mondo dei vivi per quello dei morti, dopo tanti anni passati in loro compagnia, per lui non rappresentò sicuramente un fatto nè traumatico nè doloroso, e tutte quelle "passate " conoscenze lo avranno accolto a braccia aperte come un caro, sincero e vecchio amico! 

 

                                    CHJPPE - CHJPPE

 

La fonetica del suo "stranginomo" , prettamente montellese, era di difficile pronunzia. Non si capì mai perchè lo chiamassero così. A Montella, come si diceva, quasi tutte le persone avevano un soprannome, a volte curioso e bizzarro, e spesso si identificavano le famiglie di origine più con gli epiteti e gli "aliasse" che con il cognome proprio!

 

Abitava a Fontana e durante la bella stagione saliva lentamente il

 

Corso Umberto, appoggiandosi ad un nodoso bastone di castagno.

 

Quando i ragazzi lo vedevano avanzare, gli correvano incontro e tutti in coro gli gridavano: " Chjppe! Chjppe! "...

 

La prolungata e molesta canzonatura aveva il potere di mandare in bestia il povero vecchio che, quando non ne poteva più, faceva roteare il suo umile, ma pesante bastone e lo scagliava con violenza contro di loro, rischiando di accopparne qualcuno!

 

A volte, si sedeva al sole davanti all'inferriata della villa De Marco, attirandosi " l'ira funesta" del Cav.Celestino, perchè anche in quel

 

posto i fastidiosi monelli lo mettevano "in croce", creando frastuono e scompiglio!

 

Si racconta che il vegliardo, degno della nostra più sincera e accorata considerazione, un giorno, non riuscendo più a sopportare le continue e vessatorie molestie dei discoli e perturbatori ragazzi di Montella, decise di trasferirsi in un paese vicino, nella viva speranza di trascorrere l'ultimo tratto della sua vita in perfetta e serena pace...

 

Ma la solitudine e il silenzio, col tempo, erano diventati così grevi e insopportabili, che una volta, seduto su di una panchina del giardino comunale, nell'intento di frantumare ogni barriera di incomunicabilità ed emarginazione, a delle persone che per caso transitavano per quei vialetti osò dire : "Oh, come sono contento!, Oh, come sono felice!, Qui nessuno sa che il mio 'stranginomo' è Chjppe-Chjppe!".

 

Non l'avesse mai detto: fu un lapsus froidiano? Sta di fatto che

 

il "notiziario" si allargò, diffondendosi per tutte le contrade del paese e, da quell'infausto giorno, schiere sempre più nutrite di "picciotti" lo assalirono al grido di : "Chjppe-Chjppe!".

 

"Male pe' male, - pensò- me ne torno a lo paese mio!"...

 

Arrivò a Montella, ma non riuscì più a risalire il Corso : il famigerato "faocione", lo "allisciò" tra la prima e la seconda guerra mondiale! 

 

                               ZI' PIETRO LO FIURAJO

 

essuno sapeva il suo paese di origine, ma parlava il più classico, sonoro e coinvolgente dialetto napoletano. Alto e robusto, indossava sempre un giaccone alla cacciatora e durante la stagione invernale camminava senza cappotto. Però, gli si vedevano addosso due o tre camicie, due o tre maglioni, e, a volte, anche due giacche! Portava ai piedi delle scarpe fatte a mano - a quei tempi non esistevano negozi di calzature - , che spalmava con abbondante grasso luccicante e puzzolente!

 

Era d'indole buona, pacifica e tutti gli volevano bene e lo consideravano un vero e sincero amico.

 

Veniva nel nostro paese tre o quattro volte l'anno e andava vendendo i calendari di "Barbanera", che, all'epoca, tra previsioni del tempo, fasi lunarie, andamenti climatologici, risultavano utili soprattutto ai contadini. Vendeva, inoltre, figurine di tutte le specie - non quelle di Panini - e innumerevoli cianfrusaglie che tirava fuori dalla tasca della giacca a guisa del prestigiatore che estrapola dal cilindro colombi, conigli, cose ed oggetti inaspettati e sorprendenti!

 

Per annunciare la sua presenza, andava gridando, con un fascino particolare, per le strade, i vicoli, le piazze del paese : "Barbanera! Chi vo' legge? Azzeccatevi fetienti ! (quest'ultima parola, però, più che gridarla, ovviamente, la sussurrava a sé medesimo) ".

 

A Montella, come tanti altri poveri viandanti, andava a pernottare nell' Ospizio della Libera (a quel tempo di alberghi nel paese, neanche la "puzza"!).

 

Egli dormiva su di un misero pagliericcio in una delle stanze a pianterreno, prospicienti l'ampio sagrato della Chiesa. Per molti anni venne nel nostro paese a vendere la sua modesta mercanzia, preferendolo agli altri, perché, -diceva- quando andava in quelli viciniori, neanche le più convincenti informazioni sull'utilità del calendario o le più pesanti "skioppettate" riuscivano a far mettere mano alla tasca alle persone del posto!

 

Fu pochi anni prima della seconda guerra mondiale che Zì Pietro si ammalò.

 

Rimase degente su quell'umile giaciglio per alcuni giorni, in preda ad una febbre altissima, senza assistenza, senza cure, senza conforto alcuno e un pomeriggio di estate anch'egli scivolò tra le ombre dell'Ade...

 

Si disse che a stroncalo fu la polmonite, una malattia che in quel tempo era la principale causa di morte, non essendo ancora disponibili gli antibiotici, che, con la scoperta delle "muffe" nel 1928 ad opera del Fleming, solamente nel 1945 furono immessi sul mercato farmaceutico. A conferma di ciò, debbo confessare che anche mio padre, mi si perdoni la digressione, che si chiamava Carlo Gelsomino, fu vittima della stessa malattia a soli 34 anni, lasciando due orfani ed una vedova.

 

E' forse utile ricordare che in quel periodo non esistevano, in tutta l'Alta Valle del Calore, nosocomi, case di cura, ospedali, strutture di primo e pronto soccorso, ma solo, nei casi più fortunati, un paio di medici per paese! Non che adesso, a distanza di quasi un secolo, le cose siano cambiate o migliorate, perchè se sei colpito da improvviso malore, allora, via sull'ambulanza alla volta del Tricolle di Ariano, lontano decine di chilometri, da dove, mancando le attrezzature necessarie, ti rimbalzano verso la Città Ospedaliera di Avellino, con la viva speranza che, a causa di questo ozioso ed inutile girovagare, ci arrivi vivo e non

 

"stennecchiato"!

 

Per onor del vero, debbo ricordare che tra gli anni sessanta e settanta del 1900, a Bagnoli Irpino funzionò "amleticamente" la Clinica "Troianiello", sulla cui storia, efficienza, validità, mi trattengo a forza a metter lingua!

 

Tornando al povero Zì Pietro, non si è mai saputo se qualche suo familiare si preoccupò di recuperarne la salma, traslandola al paese di origine, o se, com'è più credibile, fu affidata alle cure solerti di Sciarpigno!

 

Per verificare quest'ultima tesi, è sufficiente che il curioso si affidi alle odierne e inconfutabili prove scientifiche del DNA!

 

                             AITANO RE JANCA-JANCA

 

 Abitava verso Sorbo ed era un ritardato mentale, alto e robusto.

 

I tratti somatici del suo volto erano quelli classici del mongoloide, e, aperti, sereni, pacifici, gli conferivano un particolare fascino.

 

Non si poteva, cioè, parlare di bellezza vera e propria, ma, di una

 

singolare attrattiva sì!

 

Sia d'estate che d'inverno, non calzava mai scarpe ed i suoi piedi erano enormi, ruvidi e sporchi all'inverosimile, a tal punto che, quando si sedeva, sembrava che gli avessero cucito sotto la loro superficie plantare due sagome di cuoio di colore nero!

 

Le sue caviglie, poi, a causa del suo deambulare scalzo, non mostravano alcun segno dei malleoli, ma erano tozze e possenti!

 

In primavera e durante l'estate, lo si vedeva scendere lungo il Corso Umberto ad andatura quasi solenne, portando sotto il braccio una lunga e grossa zappa, con lo "stilo" doppio, a cui prestava particolare cura, come se si trattasse di una cartella piena, zeppa di documenti segreti della CIA o del KGB!

 

La sua figura spariva dietro la curva dell'Ospizio, ma il suo cammino continuava fino a Folloni, dove la famiglia possedeva un terreno. Chi lo vedeva all'opera, diceva che la sua zappa sprofondava con tale violenza nella terra, da praticare buche di oltre trenta centimetri!

 

Era, tuttavia, innocuo e docile, incapace di arrecare danno a persone e cose e, pur avendo più di vent'anni, si esprimeva con la semplicità e l'innocenza di un bambino che ne ha sei o sette !

 

A volte, mentre attraversava il Corso, i ragazzi, che riescono sempre con facilità a riconoscere il "diverso", gli tiravano la giacca o cercavano di strappargli la zappa : allora Aitano lanciava strilli acuti come un neonato in fasce, senza, però, mai reagire! Tale situazione era tragicomica, perchè tra gli astanti c'era chi si dispiaceva di cuore e chi, invece, più cinicamente se la rideva a crepapelle!

 

Aitano discese e salì la via centrale del paese per tante volte, ma un bel giono quei monelli che lo appostavano per burlarsi di lui non lo videro più...

 

Non aveva neanche trent'anni, quando raggiunse, senza rumore, il regno dei più!

 

Ovviamente, anche di lui si occupò il nostro "vecchio e caro" Sciarpigno!

 

 

 

 

 

Spero sinceramente di aver suscitato il vostro interesse, nell'ipotesi contraria vi chiedo umilmente scusa!

 

 

 

                                                  

 

                                                          Cari saluti

 

          

 

                                                     Totoruccio Fierro

 

                

 

 

 

 

 

                

 

 

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