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Graziano Casalini , la mia biografia

Casalini 02 BIOGRAFIASpett.le Redazione Montella.eu , Leggo nella rubrica degli autori del Vs. sito, che nessuno di noi, ha, fino ad ora inserito la propria biografia come richiesto, forse perchè quasi tutti paesani e conosciuti alla maggior parte dei visitatori del sito. Io non sono montellese, ma toscano e più precisamente della provincia di Firenze, ma molto legato a Montella per aver sposato una ragazza del vostro paese e per aver conosciuto fin dal 1966 il paese con tutte le sue specialità gastronomiche tipiche legate alla produzioni agricole in genere, alle castagne e ai latticini realizzati col latte delle mucche podoliche allevate allo stato brado. Il paese con i suoi importanti luoghi di culto, le vestigia dell'antico borgo, i panorami con i paesaggi mozzafiato, le acque finissime delle varie sorgenti, ma, soprattutto la cosa più importante e particolare di Montella, la comunità delle sue genti per la loro ospitalità, il cuore e il bel dialogo, che una volta rotto il ghiaccio si può avere con tutti.
Casalini 05Ed ecco la mia storia, nasco nella frazione, Bassa nel comune di Cerreto Guidi, nel 1942 con la seconda guerra mondiale in corso, da Antonio e Rosa Boschi due giovani di origini contadine, naturalmente mezzadri, per come era strutturata quasi tutta l'agricoltura toscana in quel periodo. Mio padre per essere stato colpito dalla poliomelite all'età di 21 anni, con i postumi di quella brutta malattia fu costretto a cambiare mestiere imparando un nuovo lavoro, stando comodamente seduto: quello del calzolaio. Mia madre feceva la casalinga, pensando ad allevare conigli, animali da cortile e a coltivare un piccolo orto. I miei primi ricordi di piccolo bambino furono i ricordi della guerra, col fronte che vedeva attestati gli alleati sulla riva sinistra del fiume Arno, mentre l'esercito tedesco stazionava sulla riva destra fronteggiandosi quasi tutti i giorni a suon di cannonate e bombardamenti che cadevano dalla nostra parte dove si trovava il mio piccolo borgo. Spesso gli alleati bombardavano strade, ponti, linee e centri ferroviari, io non avevo paura a sentire il crepitio delle batterie contraeree tedesche e incoscientamente quasi né ero divertito. Quando avevo appena due anni abbandonammo casa, per passare i mesi estivi del 1944 in rifugi scavati nel terreno tufaceo della collina, nei pressi di una chiesetta vicino all'abitazione di alcuni zii, in seguito ad un bombardamento alleato che provocò nel nostro piccolo borgo abitato da nove famiglie, otto morti e altrettanti feriti, per puro miracolo o combinazione, nessuno di noi subì dei danni fisici o meteriali. I tedeschi erano in ritirata e il fronte sull'Arno durò poco tempo, provocando comunque ingenti danni, tante vittime per i bombardamenti, le rappresaglie, con vere e proprie stragi di persone innocenti e le razie di tutto ciò che poteva servire ad un esercito in fuga e pronto a riorganizzare altri fronti più a nord.

Gli uomini validi non impegnati in guerra dovevano vivere alla macchia o in nascondigli improvvisati per il rischio di essere deportati in Germania o aggregati alle truppe tedesche, mio padre, per la sua invalidità poteva circolare liberamente. In autunno rientrammo nella nostra casa, dove avevano soggiornato alcuni militari, fortunatamente alcune cose importanti per la famiglia, come la macchina da cucire di mia mamma, non furono raziate perché mio padre le aveva ben nascosce in un sottoscala costruendo un muro che isolava quello spazio alla visibilità dell'ambiente. Intanto io crescevo, e verso l'età di tre anni, mi davo da fare, con martello chiodi e pezzi di sughero al banchetto accanto a mio padre, che allora lavorava in casa alla fabbricazione tutta manuale di vari tipi di scarpe: anfibi in cuoio e vacchetta, sandali da donna con zeppa, zoccoli in legno molto richiesti dopo la guerra ecc. ecc. Aveva anche da fare molte riparazioni ai paesani, in tempo di guerra le scarpe rotte non si buttavano e venivano fatte aggiustare più e più volte, prima di sostituirle con altre nuove.

Alle ore di "lavoro" seguiva tanto tempo dedicato ai vari giochi all'aperto, non esistevano giocattoli e io mi divertivo col legno delle cassette da frutta e delle casse delle aringhe a costruire macchine agricole, trattori trebbiatrici e quanto di più strano mi viniva in mente. Non mi mancavano gli attrezzi per realizzare i miei prototipi, usavo i trincetti, la raspa, la lesina, le pinze, le tenaglie e il martello di mio padre, facendolo arrabbiare quando gli rovinavo il filo dei trincetti rendendoli inservibili per l'uso del taglio del cuoio e della pelle. A sette anni iniziai gli anni della scuola, a Bassa esistevano solo le classi elementari, tutte con pochissimi alunni, per cui alcune erano accorpate, io frequentai la prima insieme ai ragazzi della seconda, il primo giorno di scuola notai subito che avevo difficoltà visive, non riuscivo a vedere bene ciò che la maestra scriveva sulla lavagna, ero affetto da miopia, mi servivano gli occhiali e i miei genitori si affrettarono a farmi passare una visita con la relativa prescrizione delle lenti, che da allora ho sempre portato ininterrottamente. I cinque anni passarono velocemente, oltre alle lezioni del pomeriggio, cercavo di aiutare mio padre nel suo lavoro, cucivo con spago e gli aghi alcune parti di tomaie per un tipo di scarponi anfibi. I calzolai per cucire non usavano aghi, ma setole di maiale, io non riuscivo con le setole, e mio padre preparava gli spaghi con gli aghi, l'importante era dargli in qualche modo una mano.

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Dopo gli esami di quinta dovevo scegliere, se andare alla scuola media, adatta a chi doveva intraprendere gli studi superiori con il ginnasio liceo e poi l'università, oppure la scuola di avviamento al lavoro, commerciale o industriale più adatti, a chi, purtroppo come nel mio caso, doveva successivamente iniziare uno dei tanti mestieri possibili che il mondo del lavoro poteva offrire. Per questo, dopo averne parlato con i miei genitori, di cumune accordo decidemmo per la scuola di avviamento professionale. Una scuola particolare, che non era in tutti paesi, la più vicina si trovava a Santa Croce Sull'Arno a sette Km da casa, dove oltre alle materie classiche, si studiavano: tecnologia laboratorio tecnologico, fisica e chimica, disegno tecnico, con in aggiunta ore di pratica in officina, la materia si chiamava, esercitazioni pratiche che si svolgeva nelle ore pomeridiane alcuni giorni della settimana fino alle ore 18. Queste esercitazioni consistevano nella pratica del lavoro manuale di aggiustaggio, prima su legno e poi su metallo, con l'ausilio di vari tipi di lime, strumenti di misurazione e piccoli macchinari, da aseguire ognuno al proprio posto su un bancone dove tutti si disponeva di una morsa e di un cassetto portattrezzi. Una scuola che lasciava pochissimo tempo per studiare e per i compiti a casa, per di più, per essere raggiunta e rientrare ogni giorno, bisognava impegnare altro tempo nel viaggio, non c'erano allora gli scuolabus e nemmeno gli orari dei bus di linea si combinavano con gli orari di entrata e uscita, l'unico mezzo per arrivare alla scuola era la bicicletta, per fortuna in un percorso completamente pianeggiante, ma tutti i giorni dovevo pedalare per 14 km, e con la pioggia, col vento, con il freddo non era affatto divertente. Quando pioveva pedalavo sotto un mantellone di tela oleata impermeabile con cappuccio, per il freddo mi riparavo con un cappotto pesante di lana color militare, una sciarpa, un berretto in pelle con paraorecchi, due guantoni a muffola di pelle di coniglio, che i miei compagni di classe spesso mi chiedevano per improvvisare degli estemporanei combattimenti di boxe.

Furono tre anni durissimi, ma nonostante tutte le difficoltà arrivai agli esami di terza che riuscii a superare con una buona media, ricordo ancora l'esame in officina dove in otto ore dovevamo trasformare un pezzo di ferro grezzo, in due pezzi perfettamente spianati a squadra e a misura su tutti i lati, per poi unirli attraverso un incastro a coda di rondine, realizzato a seguito di una tracciatura e poi finito con l'ausilio di un seghetto e di tutti i tipi di lime disponibili, molto più facile a dirlo che a farlo. Comunque al termine dell'orario, con grande soddisfazione riuscii a consegnare un lavoro ben riuscito, con un ottimo voto all'esame, di quella che era considerata una delle più importanti materie di quel ciclo scolastico. Per ragioni economiche, molti ragazzi come me, dopo quella che allora era la scuola dell'obbligo, sceglievano un lavoro, che in quel periodo si poteva facilmente trovare.

C'era richiesta di apprendisti per lavorare nelle varie industrie dei paesi vicini: nelle vetrerie di Empoli, nei calzaturifici di Fucecchio, nelle concerie di S.Croce, in diverse officine meccaniche e nell'edilizia, ma c'era anche la possibilità di impiegarsi nella contabilità delle tante imprese della zona e nelle svariate attività artigianali. Io trovai il mio primo lavoro nell'ufficio di un rappresentante di prodotti chimici per le concerie, che consisteva nel tenere aperto otto ore al giorno l'ufficio con vari compiti classici per un impiegato, quali ricevere gli ordini via telefono, ricevere le consegne delle ditte fornitrici, compilare le bolle di consegna, provvedere alle spedizioni e giornalmente tenere la corrispondenza dattiloscritta con alcune ditte fornitrici. Non era il lavoro che pensavo per me quando andavo a scuola, ma era importante portare a casa subito un piccolo stipendio, e accettai il primo che mi venne offerto. Durante il giorno avevo alcune ore in cui rimanevo inoperoso, così pensai di continuare gli studi, iscrivendomi ad un corso per corrispondenza di Radiotecnica, però il basso stipendio non mi permetteva di pagarne il costo, nemmeno con l'aiuto dei miei. La scuola si chiamava Scuola Politecnica Italiana di Roma, autorizzata dal Ministero della Pubblica Istruzione.

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Con l'ausilio della macchina da scrivere, impostai una lettera indirizzata al suddetto ministero. Descrissi le mie condizioni economiche e quelle della mia famiglia, e che avrei voluto continuare gli studi nonostante avessi dovuto iniziare a lavorare, in sostanza chiedevo, che nell'ambito della promozione dell'istruzione tecnica, il ministero mi riconoscesse un contributo per poter fequentare il corso di Radiotecnica. Si trattava di un corso teorico pratico, con lo studio delle varie materie attinenti, attraverso dispense dattiloscritte per la parte teorica, e per la parte pratica, la fornitura dei vari componenti necessari al montaggio di diverse apparecchiature, fra le quali: un provavalvole, un oscillatore modulato, alcuni ricevitori radio a 2 / 3 / 4 / 5 valvole, il 5 valvole supereterodina. Non credevo che dal ministero mi avrebbero risposto, invece dopo pochi giorni arrivò una lettera con la quale, venivo invitato a presentarmi all'Ufficio Provinciale per L'Istruzione Tecnica di Firenze, per informazioni. Il giorno stabilito fui ricevuto nel suddetto ufficio, parlai con un ingegnere, spiegando le ragioni della mia richiesta, e che avevo scritto al ministero perché la scuola scelta era autorizzata dal ministero stesso.

Dopo un lungo colloquio il Dott. Vannucci, ricordo ancora il nome, mi confermò l'iscrizione al corso e il pagamento delle prime due lezioni, con l'impegno del pagamento del rimanente dopo il risultato assolutamente positivo dei primi due esami. Gli esami andarono tutti molto bene, come pure i vari radiomontaggi, alla fine la scuola mi inviò un attestato di frequenza, e del superamento delle relative prove teorico pratiche del corso di Radiotecnico Radio Montatore Radio Riparatore. Per gli ottimi voti ottenuti, e per il perfetto funzionamento dei miei radio montaggi, la scuola mi propose un lavoro presso la sede di Roma, consistente nel ripristinare tutte quelle apparecchiature, che alcuni allievi non riuscivano a realizzare correttamente e completamente. Andai a Roma portando in un borsone tutto quello che avevo costruito, un dirigente della scuola esaminò il tutto, e dopo un breve esame mi chiese se era disposto a iniziare una collaborazione, io accettai con la riserva di parlarne in famiglia.

Ero troppo giovane per spostarmi nella capitale, e dopo i consigli dei miei scrissi alla scuola, ringraziando per la fiducia accordatami e per l'allettante offerta, comunicavo che a causa della lontananza e della mia età non avrei potuto soddisfare quanto la scuola mi proponeva. Avevo realizzato quello che da bambino mi piaceva pensare, cioè, di conoscere e scoprire i segreti delle onde elettromagnetiche che permettevano le trasmissioni radio e la loro ricezione con la riproduzione, da, e per tutto il mondo, di segnali, comunicazioni, notizie, musica, immagini ecc. ecc. Iniziai a fare le prime riparazioni di apparecchi radio ai vicini di casa che avevano saputo dei miei studi, mi capitavano i guasti più strani, i peggiori da risolvere erano quelli, in cui i topi si erano introdotti all'interno dei circuiti mangiando tutto quello che trovavano, rovinando le bobine dell'oscillatore e quelle dell'alta frequenza, molto difficili da reperire, da riavvolgere e ripristinare, senza avere a disposizione lo schema elettrico degli apparecchi. Comunque per tutti gli altri guasti, si trattava di sostituire valvole, resistenze, condensatori, trasformatori, potenziometri, facilmente reperibili, molte volte dovevo rimettere la cordicella dell'indice del quadrante delle stazioni. La radio era allora come la TV di oggi, nelle case non si poteva più stare senza, per questo era molto gratificante e anche conveniente fare questo appassionante mestiere. Tramite un parente meccanico e rivenditore di cicli, motocicli, macchine da cucire, apparecchi radio, conobbi, a Empoli il titolare di un piccolo laboratorio di radiotcnica interessato nella ricerca di un giovane preparato e capace di affiancarlo nella sua attività. Si chiamava Marino, e aveva anche un'altro lavoro, faceva l'operatore cinematografico nel cinema più importante di Empoli, questo non gli lasciava il tempo necessario per tenere aperto il laboratorio, aveva bisogno di qualcuno che gli garantisse l'apertura, quel qualcuno ero io. Lasciato il lavoro dal rappresentante iniziai a fare il radiotcnico a tempo pieno, era quello che avevo sognato quando incominciai gli studi di radiotcnica, guadagnavo più di quello che prendevo durante il precedente impiego, ma ancora non soddisfacente per un giovane diciottenne. Era bello rimettere in funzione e a posto moltissimi tipi di radio vendute fino all' anno 1960, ma serviva anche la voglia di andare oltre, introducendosi nel campo della televisione, cosa che a Marino sembrava non interessare, poteva essere un'ulteriore fonte di guadagni, ma avrebbe anche richiesto un ampliamento del laboratorio e probabilmente anche l'aiuto di qualche altro collaboratore. Andammo avanti fino al mese di agosto del 1961, quando un giorno si presentò in laboratorio un signore, non per una riparazione, ma per chiedere se mi sarebbe piaciuto andare a lavorare alla Coop: Consorzio Cooperative di Consumo di Firenze, che oltre a prodotti alimentari stava iniziando, nei propri negozi la vendita di beni durevoli, un vastissima gamma di articoli per la casa, elettrodomestici, radio, televisori, lavatrici, frigoriferi, macchine da cucire, solo alcuni dei più importanti, che naturalmente avevano bisogno di, consegna, installazione e riparazione anche al domicilio dei clienti soci consumatori. Dopo l'assunzione, nel settembre del 1961, sarei stato impiegato in queste svariate attività. Non avevo ancora la patente di guida, necessaria per quel nuovo tipo di lavoro, che in breve tempo riuscii a prendere, la Coop mi rimborsò la spesa sostenuta, e così appena arrivato il documento, mi recavo, con un piccolo furgone Fiat 750, quasi tutti i giorni in Firenze ma anche nei vari paesi della provincia a consegnare o installare ogni tipo di elettrodomestico. Si circolava bene, e potevamo spostarci facilmente nelle varie zone, capitava spesso, di non poter rientrare alla sede prima della chiusura serale a causa di imprevisti che puntualmente capitavano, nelle case dei clienti: mancanza di prese elettriche, difficoltà nel posizionare antenne per la tv, e nelle campagne del chianti, corrente non sufficiente a far partire i frigoriferi. Nell'estate del 1962 le consegne aumentarono per l'acquisto da parte delle famiglie del primo frigorifero. Con altri due colleghi, continuai questo tipo di lavoro, spostandomi giornalmente in quasi tutti i paesi della provincia, per consegne, installazioni, e riparazioni. Intanto le varie Cooperative associate al Consorzio aprivano punti vendita specializzati con personale proprio, come pure ad Empoli uno dei primi grandi magazzini a gamma completa italiani. Il servizio dal Consorzio, si riduceva esclusivamente alle consegne degli elettrodomestici, occorreva però la gestione del settore a livello di magazzino, e per questo fui incaricato di questa gestione, con la qualifica di magazziniere, e con un cospicuo aumento di stipendio.

Nell'aprile 1962, andando la domenica in giro per sale da ballo incontrai a Lastra a Signa, una ragazza originaria di Montella, che si era traferita in Toscana per ragioni di lavoro, Carmela," Lina "un nome più semplice usato dai suoi familiari, aveva già trovato e imparato in poco tempo un mestiere, faceva la magliaia, lavorando molte ore del giorno la lana su una macchina manuale da maglieria. Ci ritrovammo alcune domeniche a ballare, e normalmente come succede fra giovani di quella età, i nostri incontri diventarono sempre più piacevoli, fino a che decidemmo di fidanzarsi. Avevo raggiunto alcune delle cose più importanti, mi mancava un mezzo più comodo (fino ad allora avevo a disposizione per spostarmi un ciclomotore)

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decisi così di acquistare una piccola auto Fiat 500, che mi serviva anche per lasciare per sempre il treno, e per andare al lavoro comodamente, senza l'assillo di arrivare in ritardo alla stazione. Il mio lavoro in quel periodo alla Coop, era gratificante, mi piaceva, ma comportava una gran mole di attività che non sto qui a descrivere, però aveva solo poco di attinente con quello per cui mi ero preparato da ragazzo.

Nel 1966, in marzo, mi trasferisco con i miei genitori e mia sorella Graziana a Lastra a Signa, in un appartamento nuovo acquistato da Lina, il 25 aprile ci sposammo, dopo la cerimonia e il ricevimento con i parenti partimmo in 500 per il viaggio di nozze, da cui non poteva mancare la metà finale, MONTELLA.

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Ci fermammo a Roma, e a Napoli dove ci aspettava un fratello di Lina, passammo due giorni in quella grande e caotica città, accompagnati da mio cognato visitammo alcuni luoghi di importanza artistica e monumentale, il terzo giorno il programma prevedeva una bellissima gita a Capri, di buon mattino, lasciata l'auto in garage, prendemmo un taxi e dal porto con un aliscafo in venti minuti arrivammo all'isola dei faraglioni e della grotta azzurra. I panorami, il mare, le case arroccate, gli orti con le siepi in fiore, i vari ristoranti, i negozi, il porticciolo, uno spettacolo. La mattina successiva, prendemmo l'autostrada per Avellino, che ancora non raggiungeva quella città, ma si fermava a Baiano, dopodiché si doveva percorrere la statale Appia, che portava a Montella, quella strada tutta curve e saliscendi non finiva mai e io dicevo a Lina, ma dove abitavi? ma dov'è il tuo paese? erano le 4 del pomeriggio, quando arrivammo in vista del sospirato paese, trovammo a accoglierci, la zia Albina col marito zio Donato e i loro figli e figlie cugini e cugine di Lina. Ci ospitarono offrendoci per alcune notti la possibilità di pernottare all'interno della Villa Celestino De Marco, di cui lo zio era custode responsabile, al centro del paese, un bellezza unica per Montella, dove al mattino ci svegliavamo al canto degli uccelli, la villa era circondata da un grande giardino, e il posto, chiuso al pubblico era incantevole, l'aria pura, frizzante del mattino, faceva venire la voglia di rimanere per sempre lì. Passammo delle giornate bellissime, il tempo volò, e trascorsa la festa del 1° maggio, rientrammo a casa per riprendere le nostre relative attività lavorative. A seguito dell'introduzione nel mio magazzino di un vastissimo settore di articoli di abbigliamento di cui non avevo né conoscenze né competenze gestionali, mi fu proposto un trasferimento al reparto elettrodomestici del nuovissimo grande supermercato di Empoli il SUPERCOOP, che accettai di buon grado perché tornavo senza alcuna penalizzazione economica al mio lavoro originario, quello concernente il reparto elettrodomestici, con le solite mansioni, di consegna, installazione e riparazione di una gamma piuttosto larga di apparecchiature. Nel settembre del 1967 entrai a far parte del gruppo di giovani ragazze e ragazzi dipendenti della Cooperativa Del Popolo di Empoli, quasi tutti commessi e addetti ai vari reparti di vendita. E questo sarà ininterrottamente il luogo del mio lavoro fino alla data del 1° gennaio 1997 primo giorno da pensionato. Nel corso degli anni, all'interno di questo grande punto di vendita ho ricoperto ancora una volta le più disparate mansioni, da quelle precedentemente descritte, a quella di capo reparto, con la responsabilità dell'organizzazione del lavoro giornaliero del personale addetto, per quanto riguardava la vendita, l'allestimento dei banchi nei vari reparti, e poi gli ordini delle merci ai fornitori e al magazzino centrale di Firenze, la ricezione delle stesse, con preventiva prezzatura (non esistevano ancora i codici a barre e il sistema pos alle casse). Allo scopo di raggiungere, ogni anno, gli obbiettivi e i preventivi che la direzione della Cooperativa programmava, partecipai più volte ad alcuni corsi e studi teorici, sulle varie tecniche di vendita e di marketing, utilissime nell'applicazione pratica all'interno dei vari punti di vendita. Uscendo dal descrivere la mie attività lavorative, passerei ora a raccontare un po' della mia vita familiare, cioè quella di me, di mia moglie e delle nostre tre figlie, che nell'arco di nove anni sono nate dalla nostra unione.

Nel 1967 nasce la prima, la chiamiamo, Sonia, nel 1970 nasce Silvia, e nel 1976 nasce Manuela, per loro tre nessun problema, per mia moglie purtroppo tre tagli cesarei, e finito il pensiero di avere un figlio maschio, a dir la verità, a me non interessava più di tanto, e di solito dicevo l'importante è che vada tutto bene, e che, o maschio o femmina siano sani. Per avvicinarmi al luogo di lavoro e per altri problemi legati ai miei genitori che convivevano con noi, ci trasferimmo in una bella casa terratetto in una zona signorile di Empoli, dove potevamo avere le camerette per le tre figlie e l'appartamento esclusivo per i miei.

Da questo spostamento rimaneva penalizzata l'attività di mia moglie (magliaia) che veniva a trovarsi fuori zona, del resto con tre figlie piccole non avrebbe avuto molto tempo da dedicare al suo lavoro, anche se nella casa c'erano lo spazio e alcune stanze per ospitare un piccolo laboratorio. Continuò a fare quello che poteva nel tempo che gli rimaneva libero, quando le figlie andavano a scuola, poi ci fu un periodo in cui la maglieria era molto richiesta, alcuni maglifici le richiedevano campionature, ma per i quantitativi della produzione erano necessarie macchine automatiche anche elettroniche computerizzate, per cui era richiesta pratica di programmazione, e l'esecuzione continua di adeguamento dei programmi, alle varie tipologie, le più importanti: lo sviluppo taglie e le regolazioni adeguate al filato da lavorare. Il laboratorio di Lina era ubicato, in due stanze al piano terra dell'abitazione, insufficiente per l'introduzione di nuove macchine da maglieria e in posizione inadatta per i rumori molesti non permessi, oltre certi orari in zone residenziali. Intanto la figlia più grande, terminato il primo ciclo di studi e raggiunta la maggiore età, decise di intraprendere l'attività della mamma, per cui per diverse ragioni e necessità di cumune accordo, tutti in famiglia decidemmo, di usufruire di una legge comunale che prevedeva la concessione in diritto di superficie di terreni nella zona artigianale di Carraia, poco distante da casa, per edificarci un piccolo capannone dove spostare il laboratorio sottocasa. Gli artigiani interessati a queste concessioni erano molti, per fortuna e per le condizioni, la nostra domanda fu accettata dall'uficio tecnico comunale. Nei primi mesi del 1990 il laboratorio era già nella nuova sede. La mole di lavoro aumentò, per il numero di macchine che si acquistarono e per la forte richiesta che veniva dai vari maglifici quasi tutti nella zona Pratese, questo richiedeva il trasporto bisettimanale di filati da smacchinare e di teli tessuti da riconsegnare, per essere passati alla successiva fase di montaggio e rifinizione. Il mio tempo libero, dal lavoro alla Coop, il più delle volte era impiegato nel fare questo tipo di trasporti e nel tenere i contatti con le varie ditte che ci davano e commissionavano i loro ordini di lavoro.

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Nel marzo del 1997, dopo il ripetersi di seri problemi al cuore, ci lascia mia madre Rosa, mio padre, per le difficoltà a camminare praticamente infermo su una sedia a rotelle, ma perfettamente lucido di mente, coetaneo di mia madre, arrivò fino a novantacinque anni, e una infezione provocata da un catetere urinario, se lo portò via, era il 25 novembre 2004.Il mio babbo, (in Toscana si chiama così), da sempre invalido, aveva avuto in me la massima fiducia, e molte volte, fin da quando ero piccolo, mi responsabilizzava, facendomi fare cose da adulto per lui troppo impegnative o addirittura impossibili. Questi particolari fecero si che io maturassi prima del tempo e procurassero in me l'orgoglio di essere di immensa utilità a tutta la famiglia. Dal primo gennaio del 1997, vengo assunto all'INPS con la qualifica di Pensionato a vita, e dal quel giorno mi impegno a tempo pieno in aiuto nella piccola azienda di famiglia, che nonostante la crisi del settore continua ad operare fino al gennaio 2001. Chiuso il laboratorio di maglieria, mia moglie va in pensione, mentre la figlia Sonia, socia nell'attività riprende gli studi laureandosi in scienze della formazione primaria, e di seguito trova subito da lavorare nella scuola, prima in quella privata e poi in quella pubblica. Quando ero ragazzo pensavo sempre di avere un piccolo appezzamento di terreno da coltivare, mi capitò di acquistarlo vicino al mare, nel comune di Rosignano Marittimo frazione Vada, era un terreno poco coltivato, di circa 3000 metri quadrati pianeggianti, vi erano diverse piante da frutto in prevalenza meli e peschi, che occupavano alcune decine di metri tutti su di un lato. Quella zona è adatta, per la conformazione del terreno, alla coltivazione degli olivi, di comune accordo con Lina decidemmo di piantumare, tutta la parte libera, con ottantacinque piantine di olivo, era la primavera del 2001, dopo due o tre anni, in autunno, iniziammo a raccogliere le prime olive, oggi a distanza di oltre venti anni, le piante sono grandi, hanno bisogno, per ogni stagione produttiva, di una potatura, di una concimatura e di qualche altro piccolo trattamento, per avere sempre ( condizioni climatiche permettendo ) una raccolta di olive più che sufficiente a coprire il consumo annuo di olio EVO di 4 famiglie, la nostra e quelle delle tre delle figlie.

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Ora che io e mia moglie abbiamo passato gli ottanta anni, dopo aver fatto molto anche come nonni, avendo tre nipoti, speriamo solamente di rimanere il più possibile in buona salute autonomi e capaci nei limiti della nostra età di continuare a svolgere quello che più ci piace. E poi......sarà quel che il nostro buon Dio vorrà.

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Questa è la mia biografia, che mi sono divertito a scrivere, mi farà molto piacere se riterrete di pubblicarla, ed è anche un ricordo da lasciare alla mia famiglia, dedicata soprattutto ai tre nostri nipoti, Daniele, Emma, Elia e come richiesto, per il Vostro sito Montella.eu.
Grazie un sincero e cordialissimo saluto
Graziano Casalini

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