“Al Sud nessuna opportunità per noi ingegneri” di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud
Dal Politecnico alla scommessa con la Magneti Marelli - Aurelio De Simone, classe 1992, è un brillante ragazzo montellese, appassionato fin da piccolo agli studi scientifici. Dopo la laurea triennale in ingegneria aerospaziale all’università Federico II di Napoli e la specializzazione al Politecnico di Torino, ha sviluppato una tesi sperimentale a Lowell, vicino Boston, collaborando ad un progetto tutto italiano sulle strutture aeronautiche. Una volta tornato in Italia è stato costretto al Nord per lavoro: nessuna azienda meridionale ha ricercato la sua figura professionale.
«Scegliere ingegneria per me è stato uno sviluppo naturale, mi piacevano la matematica e la fisica e prediligevo discipline non troppo mnemoniche, come ad esempio medicina; il calcolo rappresentava per me il giusto compromesso tra teoria e attività pratica. Ho scelto ingegneria aerospaziale per pura curiosità sugli aerei.
L’esperienza americana è stata particolarmente formativa. Lì cercavano dei ragazzi italiani per portare avanti un progetto sullo studio del comportamento della struttura globale, scindendola in piccole parti e definendo dei calcoli sulle microstrutture. I ragazzi formati in Italia hanno un diverso atteggiamento e approccio nei confronti della teoria: abbiamo basi molto più teoriche rispetto a tanti altri studenti europei e non.
Dopo la laurea sono stato contattato da Avio Aero, un’azienda che opera nella progettazione e produzione di oggetti e sistemi per velivoli, per uno stage di sei mesi, finito il quale, non avendo avuto un’offerta per la posizione a cui ambivo, ho cambiato società, passando ad una multinazionale italiana che si occupa della fornitura di prodotti e sistemi tecnologici per il mondo automobilistico, la Magneti Marelli».
Aurelio è entrato far parte del gruppo Marelli con un graduate program, ossia un programma di formazione che passo dopo passo introduce il soggetto all’interno di un contesto lavorativo.
«Sono entrato nella società con un graduate program – racconta Aurelio - ossia un processo di formazione e inserimento ai fini dell’azienda, funzionale al raggiungimento di una figura particolare, come ad esempio il direttore dello stabilimento. Oramai le aziende puntano alla formazione delle figure professionali dall’interno: un ragazzo neolaureato viene assunto e iniziato al contesto lavorativo dallo stesso gruppo. Vengono fissati degli obbiettivi, ed una volta raggiunti, se ne pongono di nuovi; in questo modo è data ai giovani la possibilità di formarsi e, al contempo, far carriera».
Avendo vissuto in diversi contesti Aurelio riporta l’esperienza vissuta tra Napoli e Torino: «Posso dire che la mia formazione è stata complementare: un’ottima base teorica a Napoli coronata dallo sviluppo di una mentalità più pratica a Torino. Mi spiego: Napoli possiede un ambito accademico certamente più preparato, ci sono ricercatori molto in gamba e noti sulla scena internazionale; Torino invece si affaccia sullo scenario europeo non solo geograficamente, ma anche perché è allacciata alla stragrande maggioranza delle aziende presenti sul territorio e oltre il confine. Lavorativamente parlando, il vasto raggio d’azione del Politecnico si traduce in un approccio molto più pratico ed europeo, mentre, nell’ambiente partenopeo si è irriducibilmente ancorati all’approccio tradizionale e teorico; che non è un male, anzi, è un gran punto di forza della formazione meridionale, ma forse l’unico.
A Torino, come dicevo, aiuta la posizione geografica più europea, ci sono sicuramente più soldi, più contatti e più scambi culturali: tesoro per un ambiente accademico. Nell’ambito universitario del Nord la vita è decisamente semplificata, mentre Napoli è una città che ti tiene sempre in lotta. Tuttavia, bisogna dire che i professori sono molto più disponibili ed umani al Sud, e che le associazioni studentesche sono riuscite ad ottenere tanto, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli appelli d’esame. Dal mio personale punto di vista questo si traduce per lo studente in una semplice dinamica: al Sud un esame si prepara nei tempi “giusti” per darlo nel migliore dei modi, mentre al Nord l’esame “si tenta”, trasformando l’università in una corsa sterile.
Il vantaggio teorico che si ha quando si arriva al Politecnico è notevole: metà degli esami li avevo già affrontati a Napoli, e la preparazione dei miei compagni che provenivano dalla triennale settentrionale era minore rispetto alla nostra. Viceversa, il loro orientamento pratico era evidentemente maggiore del nostro: conoscevano ed utilizzavano una quantità di programmi mai sentiti. Credo che il mio percorso sia stato la giusta combinazione».
La piacevole chiacchierata con Aurelio tocca molti punti interessanti, immancabile il parere del giovane ingegnere sull’Irpinia: «È piacevole tornare in vacanza ma non lavorerò mai qui, non perché ho dei limiti al riguardo, ma perché non esiste un piano industriale. Inoltre, neanche da Napoli ho mai avuto proposte per la mia figura professionale. Recentemente ho ricevuto un’offerta da Ema, Europea Microfusioni Aerospaziali, risibile rispetto alla mia posizione attuale e senza alcuna prospettiva di carriera.
Ogni volta che sono tornato a casa in questi anni ho trovato davvero pochi cambiamenti, diciamo il minimo sindacale urbanistico – ride – ma nessun programma per un piano industriale o traccia di rapporti con l’Europa. Mancano le aziende che danno la possibilità di rimanere sul territorio».
Gli esempi e i paragoni che Aurelio pone tra l’Irpinia e altrettanto piccole realtà del Nord fanno però riflettere: «Poniamo un esempio: Villar Perosa, in Piemonte, è un comune italiano di 4.000 abitanti, la metà di Montella, ma è allo stesso tempo culla di tantissime aziende, tra le quali la SKF, il più grande distributore di cuscinetti a sfera al mondo. Ma la realtà industriale non è per forza tutto: il più noto festival musicale e letterario italiano si tiene annualmente a Barolo, nelle Langhe cuneesi. Questo evento è cresciuto nel tempo fino a diventare un’attrazione mondiale, valorizzando le risorse del luogo e le tradizioni agri-vinicole della regione che lo accoglie.
Come si può pensare allo sviluppo dell’Irpinia quando dalle nostre parti non esistono collegamenti, infrastrutture o incentivi? L’anno passato abbiamo avuto una bellissima occasione per rilanciare la nostra terra, il Verteglia Mater. Doveva essere un evento unico nel suo genere e invece è stata una grandissima delusione.
Sono mancati i collegamenti con il nostro paese oltre alle strutture necessarie per ospitare tutte quelle persone, facendo venire meno, di conseguenza, la microeconomia che gira attorno a questo tipo di eventi. Inoltre, l’assenza di un direttore artistico, perlomeno competente, che riuscisse ad organizzare un programma anche semplice per intrattenere gli ospiti durante le giornate o che si occupasse della gestione simultanea dei palchi allestiti per le serate, è stata una mancanza ancora più grave per un evento di quella portata. Sinceramente credo che la mancata replica dell’appuntamento di quest’anno sia il segno silente del grande fallimento.
Se da un anno all’altro non si opera per sopperire alla mancanza di strutture ed infrastrutture funzionali a tale evento, è inutile illudersi e prendersi in giro: l’abbandono di tali iniziative è già scritta. Un vero peccato, questo evento poteva riportare alla nostra meravigliosa terra la visibilità che merita».
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