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{/source} Virginio Gambone
E mentre il vapore sale sempre più
si diffonde intorno’ amico odore e antico.
Ed io tornando indietro
di un cinquanta ed altri sette anni
vedo mia madre curva a scoperchiare
con la sinistra mano la pigna
ltta
che bolle al fuoco re lo fucurile;
con la destra rabbocca
d’acqua calda d’un’altra pignattina
il più capiente utènsil di cucina.
Commenta intanto per me che guardo:
‒ L’ acqua fredda ngrurisce li fasuli ‒, rimescolando pe nna cocchiarèlla.
Ripone finalmente in un pijatto
nno zérpole re pane in giusta dose,
lo bagna con l’acqua bollente dei fagioli,
vi semina su pochi di questi;
su tutto qualche giro d’olio che scende
quasi filo d’oro fuso attenta che manco nna occia a terra vada.
‒ R’uóglio ‘n derra, non sia mai!
Porta scarògna, èi mal’aùrijo ‒
commenta perché io ben lo rammenti.
Infine v’aggiunge un pizzico di sale.
Ed ecco già pronta è la mia merenda
che preparata da una fata appare.
Vorrei ancora contemplare
la dolcezza infinita della mamma mia
ed indugiare a lungo nella malinconia
ricordando l’amore suo e la fatica
nel preparare il cibo buono
i sapori semplici di casa
per dieci bocche
che giunta l’ora non si fan pregare.
Ma ‒ l’immagine rubo a ver poeta ‒
il tempo, recalcitrante equino,
in aria punta i piedi ,
agita la testa,
nervoso il crin sbandiera...
E mi contento per oggi non sposare
con la mia pasta leguminose
già belle, pronte e inscatolate,
ma senza odore, senza poesia.
ALLA STUFA ECONOMICA '.
E il tuo tepore ci accoglieva dolce
come il profumo delle castagne
poste ad arrostire sul piano caldissimo nell'inverno che sapeva di pace.
Ah, compagna insostituibile
che consolavi le famiglie
dopo giornate piene
e ne allargavi il cuore!
C'è rimasta solo la TV spazzatura,
ahinoi!, la sera....
Chiesa parrocchiale e cattedrale
– A don Vincenzo Nargi –
Ministro dei ministri del Signore,
oppure, se volete, ministrante,
insomma, chierichetto d’un nove anni,
servivo compunto al santo altare,
insieme ad altri miei compagni
la prima volta nella mia chiesetta
durante la Settimana Santa.
Il pievano, paterna figura,
bell’aspetto, giusta misura,
orava, solennemente misurato,
cingolo e camice, senza la pianeta,
non so ben che salmi in latinorum,
sul ritmo lento del gregoriano,
tanto riposante, tanto in pace.
E noi si guardava, e risentiva,
attenti, partecipi, commossi
sapendo che Gesù quel dì moriva.
Il celebrante tacendo, ad un tratto
tolsesi i calzari, e nudo i piedi
genuflesse tre volte nel cammino
e dal transetto andò verso l’altare;
genuflesse un’altra volta ancora,
ma non s’alzò, si stese ai piè di quello;
faccia in giù si stese, un po’ a fatica,
col volto tra le mani, con gran piéta.
E pregò in silenzio un po’ di tempo;
– tutta in silenzio era anche la chiesa:
qualche sospiro, un colpo sol di tosse –
parve dicesse in sé, da fede spinto,
quasi Davìd peccatore penitente:
“innanzi a te, mio Dio, nulla m’estimo”.
Si vuole che il non verbale
più delle parole dice e parla.
Vero è, ché quella volta
mi commossi, e piansi:
a veder tant’uom, sì ripettato,
sua nobile figura tanto amata,
stesa, in camice e cingolo soltanto,
sul freddo pavimento a faccia in giù,
sembrommi riscoprire
l’Amore di Gesù.
Ministro dei ministri del Signore,
oppure – se volete – ministrante,
insomma, chierichetto d’un dieci anni
servivo compunto al santo altare,
la prima volta in una cattedrale,
con altri fanciulletti del paese:
luci, ricami, incenso, candelabri,
cerimonie, mozzette e un presbiterio
con chierici, canonici, prelati.
Quasi togliea il respiro tanta festa.
E sul suo trono il vescovo, solenne,
con mitra, pastorale e croce d’oro
iniziò a pontificar col segno santo.
Era di fronte a noi quel santo uomo,
e ci guardava fisso ogni tanto;
o meglio alla mia dritta riguardava.
D’istinto lì voltandomi scoprii
Antonio che dormiva, rosso in viso,
testa in su verso la volta
con begli affreschi tra cornici a stucco.
Mi svegliai da tanto incanto, e risi.
Tanto risi, che il pastor
teso lo sguardo, quasi bieco,
mi sembrò chiedere s’avessi inteso
dove s’era, e il suo disappunto.
E' stato pubblicato il "Vocabolario Montellese-Italiano" del Prof. Virginio Gambone - Editrice La scuola di Pitagora - Napoli - pp. 480 con
illustrazioni B/N.Il volume, pur redatto a carattere scientifico, si presenta con un linguaggio accessibile e presenta opportuni apparati per una lettura ed una consultazione proficua anche per i non addetti ai lavori. Presenta oltre 10.000 lemmi. E'ricco di note semantiche, etimologiche, filologiche e storico-sociali.Il Vocabolario è in vendita presso: le Edicole Cianciulli - Fierro - Volpe, Foto Sica, Ricevitoria totocalcio Sarni, nonchè presso l'Autore.Il costo è di € 32,00. Per le Associazioni ed Enti è previsto uno sconto se pari o superiori a 10 copie.
Giudizio critico sull'arte di Aurelio Fierro
Una voce ed un sorriso per sempre
Si è spento a Napoli, nell’aprile di quest’anno, dopo lunga malattia, il nostro concittadino Aurelio Fierro, interprete di grande successo della canzone napoletana.
Negli anni sessanta, specialmente, recandoci fuori, non era difficile, nel dire la nostra provenienza, sentire l’interlocutore esclamare con ammirazione: - Ah, voi siete compaesano di Aurelio Fierro!-. Insomma, anche noi montellesi abbiamo goduto di riflesso del suo successo e della sua popolarità.
Era nato nel 1923. Frequentava a Napoli la facoltà di ingegneria, ed era a buon punto con gli studi, quando vinse su seicento partecipanti il concorso Voci Nuove, voluto dalla Curcio, con la notissima canzone Scapricciatiello. I napoletani in principio avevano detto: Ch’àdda fa, ssu cafone e fore!? Invece Aurelio poté eseguire da vincitore il brano, in piazza Porta Capuana, dinanzi a pubblico di circa cinquemila persone. Era il 1954.
Seguì la vittoria al Festival della canzone napoletana con Guaglione (1956); nella stessa manifestazione si collocò anche al secondo posto con Suspiranno nna canzone. L’anno successivo conquista ancora il primo premio con Lazzarella. Nel 1958 resta ancora al primo posto con Vurria.
In quegli anni partecipò più volte anche al Festival di Sanremo conquistando, in una tornata, il secondo posto con Fragole e cappellini.
Altre canzoni di successo: A pizza, A sunnabula, Preghiera a na mamma. Inutile ricordare le belle interpretazioni di brani appartenenti alla grande canzone italiana, come Signorinella, Romantica, Vipera, Come pioveva.
La sua voce è limpida e pastosa a un tempo, gradevole ed emessa senza sforzo; ascoltarla è come bere un bicchiere d’acqua fresca nella sete. Le sue canzoni sono conosciute in tutto il mondo. Quelle di maggior successo appartengono al genere allegro. Ciò è stato dovuto alle sue qualità, alla testo e alla musica, in linea con la sua indole e la sua personalità, ma anche al momento storico; intendo dire che i suoi motivi si sono fatti interpreti della temperie umana e psicologica popolare degli anni a cavallo tra gli anni 50/60, quando il periodo più doloroso del dopoguerra era ormai alle spalle, erano avviati a soluzione i drammatici problemi lasciati sul tappeto dal disastro nazionale, si metteva in moto il cosiddetto boom economico, sicché ci si poteva concedere del buon umore e dell’ottimismo. Analoga lettura va fatta del successo di Domenico Modugno Nel blu dipinti di blu, brano noto anche con il titolo di Volare e che, nell’ambito della canzone italiana, rimane il più emblematico e quello metaforicamente più complesso e pregnante, relativamente all’ottimismo e alla fiducia discendenti dalle migliorate condizioni economico-sociali, e di vita del paese. Nell’ambito della cinematografia dopo essersi passati dal Neorealismo al Neorealismo rosa, era iniziata l’era dei film spettacolari, dei colossal.
Aurelio Fierro va ricordato anche per alcuni successi editoriali: Grammatica della lingua napoletana, premio internazionale S. Valentino D’oro della città di Terni (ed. Rusconi 1990 - 19942); Storia della canzone napoletana dalle origini al ‘900 ( con
Vincenzo De Meglio - ed. Luca Torre, Napoli, 1992); Storie e leggende napoletane (Rusconi, 1995). Aveva a suo attivo anche delle esperienze cinematografiche, nell’ambito dei film del cosiddetto filone napoletano. Ricordiamo Lazzarella (1957), diretto da Carlo Bragaglia; tra gli interpreti, oltre ad Aurelio, Domenico Modugno, Terence Hill e Alessandra Panaro. “Nelle prime visioni il film ottenne solo 35.000.000 (di incasso), ma sull’intero mercato 773.657.000”.
Ha lasciato inedita una grammatica del dialetto montellese. Ne avevamo parlato insieme più d’una volta…
Per sua scelta è tornato nella terra dei padri: le sue ceneri riposano nella cappella di famiglia, nel cimitero di Montella.
Virginio Gambone
AUTOLESIONISTA, MA NON TROPPO
– Refonnènno a nno ritto latino –
“Beati moculi in terra coecorum,
quod est”: addó so tutti orbi
uijàto a chi uère
pe nn’ uócchji soltanto.
E’ promoresèmbio
re stato fatto:
addò no ng’è nisciuno
tu si’ lo meglio;
si’ sapientissimo
addó so tutti fessa.
Pe chi cchi nge l’aggio?
Pe tutti e pe nisciuno.
Puro pe me:
so cristariéddro
addó so tutti orbi.
Puro leuànnomi l’acchiali,
ddrà cónto tanto!
Speranno però
Ca nisciuno, ddrà
- pe fà nno paraóne -
mi manna pe a l’ària
a portà nno ggiàmmbo-ggètto!
Ad una amica di quarant’anni fa
L’ amicizia vera è come l’amore:
passano gli anni e più s’afferra al cuore.
Estemporaneamente scrissi a te,
ritrovata amica, con vecchio poetar,
parole blese, pur di sechenènza
ma mi viene facile, che ci posso far!
Superate parole, pur dimesse?
Così mi viene, ma ci metto il cuore.
Non so giocar le carte, arte antica,
eppur va di moda, da sempre, e oggi
non si prevede ch’ essa andrà a finire:
tressette, briscola, scopa, ramino,
scala quaranta ed altri giochi ancora,
hanno sempre avuto un grand’avvenire;
ed io a che vergognarmi dei miei versi
se mi fanno dire rendommi felice?
Ed ora ti saluto, amica antica,
ritrovarti dilectavit animum meum.
In parte questo scritto g’è apparso in altra rubrica di questo sito più velocemente… Ripropongo quanto già detto completandolo e aggiungendovi una mia lettera di tempofa sulla sua poetica.
Si è spento domenica sera, 10 gennaio, nel sua dimora, al rione Sorbo di Montella, il dott. Elio Marano. Aveva 86 anni. Lo ricordiamo non per vieto rituale, ma perché la vita e la personalità di quest’ uomo di valore merita un momento di pausa e di riffessione. Nativo di Montella, da nobile famiglia, si era allontanato dal paese, per frequentare le medie a Benevento e poi il ginnasio-liceo a Gradisca. Laureatosi in medicina e chirurgia presso l’università di Napoli, aveva iniziato subito la professione accanto al padre, pure medico chirurgo, nel paese nativo, nell’immediato dopoguerra, dopo aver servito la Patria (servizio di leva) come ufficiale medico. È stato sulla breccia in pratica per 60 anni, sempre con passione e trasporto giovanile.
Elio non si è distinto solo come medico, ma anche come uomo: sindaco negli anni 78-79, amico sensibile di tanti suoi concittadini e non, corretto e disponibile con i colleghi, amante della natura e della montagna, della sua terra, esperto fotografo.
Fu il primo a sottolineare in una qualificata mostra fotografica, nei primi anni Settanta, le impareggiabili bellezze della sua terra, che ha assai amato. Quelle foto ora sono lì a ricordare le caratteristiche del territorio, come era prima dei guasti non più rimarginabili, causati dal terremoto del 1980 e anche da scelte discutibili dell’uomo.
Il dott. Marano era anche ispirato poeta e scrittore, che dalla sua professione, mutuava un singolare stile, fatto di scelte stilistiche, che rendevano schietto e prensile il suo linguaggio. Peccato che solo nell’ultima parte della vita, quando gli impegni professionali premevano un po’ meno alla porta di casa sua, ha potuto dare alle stampe le sue liriche e le sue riflessioni, affidandole al periodico montellese Il Monte.
Ritornando un attimo ancora alla sua vita professionale, dove ha profuso le sue migliori energie, con indiscutibile professionalità, che si univa ad un senso di umanità e amore verso i sofferenti spiccatissimo, bisogna evidenziare quanto fosse amato dai suoi pazienti. In ciò la dice lunga questo episodio: Una signora, che durante i malanni di questi ultimi mesi andava a fargli visita e a rendersi utile per qualche servigio in casa, al dottore che la ringraziava, con cuore e ripetutamente, rispose: – Dottore, non lo dite neanche. I nostri guai sono stati i vostri per tanto tempo; ora è giusto che i vostri guai siano anche i nostri –. A Ron Èlïio, come lo sichiamava in paese, si inumidirono gli occhi, pur controllando la sua commozione, perché egli anche in questo è stato maestro di vita : misuratamente riservato e dignitoso, virtù che attingeva alle riserve proprie dell’autentica nobiltà, anche nelle più amare situazioni di vita. Ed era di facile comunicativa.
Un ricordo particolare, che ha del curioso: mi chiese più volte di dargli del tu e di chiamarlo Elio. Non fu facile, ma alla fine ci riuscii. Se non ché, talvolta, era lui a darmi del voi e chiamarmi Professore. Ridevamo del pasticcio. Ed io aggiungevo con ironica/umoristica solennità: - Fai bene a darmi il titolo, mi onora; / sum ego magistrorum magister, ‘lo mèglio, / a ddó non ge ne so cchiù, io so lo capo’ – . E con questo versaiolese tra italiano, latinorum, e vernacolo, che a te tanto piaceva, ti saluto, o indimenticabile amico. Mi perdonerai la baldanza. È che come per gli altri amici anche per me sei ancora qui. E quando si diventa coscienti di non poterti incontrare più con quella esuberante dose di entusiasmo per le buone e sante cose, con quella grande ricchezza di mente e di cuore, veramente si avverte il vuoto e ci vien da dire: Uh, ch’ àmmo perso!...
* * * * * * * * *
Ora trascrivo, qui, una lettera che mandai al Dr. Marano tempo fa, trovandomi fuori Montella. Si tratta di un giudizio scritto a caldo, relativamente a un suo intervento sulla rivista Il Monte. Su Elio Marano poeta e scrittore intendo tornarci più compiutamente, in seguito e in sede più specifica. Ma anche al frequentatore di questo sito vorrei dare un’ idea della sua arte.
«Carissimo dottore,
come di consueto, ho letto con naturale, spontaneo interesse le tue “puntate” sul Monte (n°1/2007). Esse hanno come caratteristica quella di far riflettere divertendo: “Castigas ridendo mores”. Il sarcasmo è sì pungente, ma non tristo; bonario, ma non banale e accomodante. Lo stile sobrio, quasi familiare, ma svelto e congruo. Piacciono certe frasi o espressioni ad effetto, mai civettuole però, piuttosto dovute al bisogno di comunicare con efficacia e pregnanza il pensiero.
Lo spirito di fondo prende corpo nel richiamare il fratello-uomo a quella mesótes o mediocritas che a noi deriva dalla filosofia greca, e che il cristianesimo ha assorbito in sé, ha fatto sua. Ma tale modo di rapportarsi alle cose di questo mondo, penso sarebbe sorto in noi, come penso sorse nell’uomo antico, dall’esperire la vita, prima delle grandi teorizzazioni o organizzazioni del pensiero di Aristotele o di Tommaso d’Aquino. Né credo che colui che lo incarni nel suo agire lo faccia solo per obbedienza al “principio di autorità” (ipse dixit), ma perché convinto che sia l’unico comportamento capace di farci godere delle buone cose della vita e del creato meglio, e più a lungo, senza soffocarci, senza strozzarci, e senza strozzare gli altri.
Quindi puoi immaginare quanto mi sia riuscita gradita la lettura di “Animalisti più e meno”, che ha anche il merito di mettere a nudo le contraddizioni stridenti dell’essere umano. E si potrebbe dire che gli animalisti esagerati potrebbero, proprio per le loro posizioni esagerate, al massimo sortire l’effetto di costituire un richiamo all’ insegnamento oraziano, “est modus in rebus”, e ricondurre tutti alla mesótes.
Simpatico “Il navigatore satellitare”. Qualche esperienza è capitata pure a me, anche se con esiti molto meno negativi di chi finì contro il vespasiano. Qui è chiaramente prevalsa la vena umoristica.
Contrariamente alle altre due, il secondo pezzo è improntato a meditazione più coinvolgente, venata di maggiore tristezza. Ti dico subito che è il pezzo che ho preferito di più. Forse per la mia predisposizione al coinvolgimento emotivo nella sofferenza, alla mia naturale “simpatia”, intendendo il termine nel suo significato etimologico e profondo di capacità di sentire come nostre le pene altrui (soffrire insieme).
Mi è piaciuto di più, perché mi è congeniale cercare l’uomo sincero, l’uomo col “cuore di carne”, per dirlo con le parole del profeta; e perché nei drammi non bisogna piangersi a dosso, ma riprendere il doveroso cammino, pur sapendo che chi soffre in silenzio soffre doppiamente.
M’è piaciuto di più, infine, perché ritengo che il personale dolore, come ogni altra personale esperienza, sia la cosa più irripetibile che possiamo raccontare agli altri, consentendoci di “incontrarci” con loro ed essi con noi, ed arricchire ciascuno la propria umanità.
La vicenda personale occupa appena qualche rigo, è detta con misura, per naturale virtuosa riservatezza, ma lascia avvertire che la notizia dei mass-media l’ha tirata fuori dal cuore, dove occupa un posto di centralità.
Il dolore poi è la cosa più forte che ci accomuna alla croce e anche alla resurrezione di Cristo, ogni giorno. Incomprensibile mistero, nel quale però ci è dato di aver fiducia.
Con affetto filiale o, meglio…, fraterno, perché sei più giovane di tanti anagraficamente più recenti e, cioè, anche e specie del sottoscritto. V. G. ».
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