La Castagna: il pane dei poveri… di Salvatore Cianciulli
La Castagna: il pane dei poveri… La castagna, dalle sue origini, è sempre stata definita il pane dei poveri perché per le per le sue capacità nutritive e per la sua ampia possibilità di utilizzo in cucina, dalla farina alle caldarroste, ha sempre avuto un largo utilizzo nelle famiglie meno abbienti. In un passato recente però è stata una vera e propria ricchezza per le nostre comunità. Con il tempo, a causa della scarsa valorizzazione del prodotto locale, della concorrenza di altri prodotti di qualità inferiore ma più competitivi economicamente, dell’aumento dei costi per la raccolta e per la lavorazione, e ultimamente a causa della infestazione da Cinipide, il frutto castagnale dall’essere la principale fonte di reddito di tante famiglie si è ridotto ad essere solo una forma di integrazione del reddito, comunque importante, e che dipende soprattutto dalle “annate”. Perché una buona annata per le nostre comunità significa una maggiore disponibilità economica e di conseguenza una economia locale che “gira”.
Nei mesi di agosto e settembre l’umore delle persone dipende soprattutto dai fattori atmosferici…. è un po’ come se fossimo diventati tutti “metereopatici”: “fa troppo caldo, c’è secceta”, “otta viento re terra!”…e siamo tutti con il naso all’insù a sperare nella clemenza del tempo.
Ma negli ultimi tempi un flagello ben più grande della infestazione da Cinipide, del Cancro del castagno e del famigerato Vento di Terra, si è abbattuto sulla castanicoltura: La Burocrazia…
Ho ereditato da mio padre una azienda agricola importante, che non rappresenta la mia fonte di reddito principale, ma che per tradizione, impegno morale e piacere personale ho deciso di portare avanti. Un territorio al quale la famiglia Cianciulli è legata visceralmente da generazioni.
Mi sono dovuto quindi confrontare con tutte le dinamiche amministrative e burocratiche per la gestione di una azienda agricola. Collabora con me il caro Angelo che ho assunto grazie ai contratti di lavoro in agricoltura che riescono ad essere abbastanza elastici e funzionali ad una coltivazione stagionale come quella delle castagne. Ho calcolato che producendo almeno 100 quintali di castagne riesco a mantenere a costo zero la mia azienda. Il di più dovrebbe arrivare dai contributi per il biologico e per le aree svantaggiate, contributi che il castanicoltore dovrebbe poi reinvestire nell’azienda, e che invece sono finiti per diventare l’unica fonte di reddito, trasformando la castanicoltura da attività produttiva ad attività assistita da fondi comunitari senza i quali la maggior parte delle aziende chiuderebbero.
Ma vediamo quale percorso il castanicoltore deve affrontare per mantenere la sua azienda e beneficiare di questi fondi.
Per avere una azienda agricola in regola un agricoltore deve avere:
1) Un commercialista;
2) Un consulente del lavoro per i dipendenti;
3) Uno studio tecnico competente, per la presentazione delle domande per i contributi, che in genere percepisce un compenso che va dll’8% al 12% circa delle indennità ricevute;
4) Bisogna essere iscritti ad una associazione che ti indirizza ad un
5) Istituto di certificazione che viene, a pagamento, a fare le verifiche sul territorio della sussistenza dei requisiti di idoneità per ricevere le indennità.
Se poi si vuole ricevere la certificazione di “Castagna di Montella” bisogna:
6) Richiedere l’iscrizione dei propri castagneti nell’elenco di quelli controllati per la produzione di “CASTAGNA DI MONTELLA”, con il pagamento di una relativa tariffa di iscrizione;
7) Pagare una quota per il controllo della superficie destinata a coltura (circa 15 euro ad ettaro):
8) Nel caso in cui si volesse chiedere l’autorizzazione all’uso della etichetta, per la vendita diretta del proprio prodotto, di “CASTAGNA DI MONTELLA”, bisogna pagare una tariffa annuale (circa 100 euro);
9) Una verifica ispettiva presso la sede della azienda (circa 250 euro al giorno di ispezione per ispettore);
10) Una tariffa di registrazione del prodotto certificato che varia in base al numero delle confezioni certificate (importo minimo 200 euro più iva)…
Credo che se i castagneti e la castanicoltura sono sopravvissuti al Cancro del Castagno, al Cinipide ed ai cambiamenti climatici, non sopravviveranno alla politica ed ai tecnici che la amministrano.
Mi faccio alcune domande:
1) Con i moderni mezzi che la tecnologia ci offre realizzare un fascicolo aziendale non è un’opera complicata, penso alla facilità di accesso al catasto ed alla possibilità di accedere alle aerofotogrammetrie, tramite le quali si riesce ad individuare la proprietà con molta precisione ed anche il tipo di coltura presente su un determinato territorio. Mi chiedo quindi perché una tale operazione non possa essere fatta alle associazioni di categoria degli agricoltori, alle quali siamo iscritti, che hanno tanti tecnici alle proprie dipendenze. Operazione che sgraverebbe gli agricoltori di un costo non indifferente. Le successive presentazioni di domande per beneficiare delle varie indennità, diventano abbastanza ripetitive, tanto che credo possano essere fatte dal diretto interessato, quando non si modifichino le condizioni di sussistenza;
2) Mi chiedo poi il senso dei controlli effettuati dagli ispettori dell’ente certificatore. Quelle castagne dal luogo di produzione al conferimento possono diventare qualsiasi cosa. Sarebbe sufficiente una autocertificazione e controlli al posto di conferimento, e semmai controlli sul territorio a campione. Anche questo ridurrebbe i costi e snellirebbe le procedure.
3) Mi chiedo poi a cosa servirebbe un Consorzio di Tutela per il marchio di CASTAGNA DI MONTELLA, se questo si traduce in una moltiplicazione dei costi per l’azienda senza che ci sia un ritorno di valorizzazione economica della castagna?
Credo che di questo passo i piccoli castanicoltori, che rappresentano la quasi totalità dei produttori, finiranno con l’abbandonare i propri territori, eliminando ogni forma di gestione, di manutenzione, del territorio, rinunciando anche ad assumere personale, e limitandosi a beneficiare delle indennità comunitarie per il biologico e per le zone svantaggiate, che diventeranno unica fonte di reddito. Nelle annate meno produttive lasceranno il prodotto a terra, rinunciando a raccoglierlo, semmai mettendo qualche maiale ad ingrassare, come si faceva una volta, da macellare durante le festività natalizie, tenendo fede al nostro motto montellese: “Crisci puorco ca ti ungi musso”…ma dimenticavo….per avere un maiale da macellare per autoconsumo bisogna avere l’azienda agricola, presentare una domanda al comune per macellarlo, avvisare il veterinario che deve visitarlo e dopo macellato far analizzare alcune parti dell’animale prima di potersene alimentare…. Non ce la possiamo fare…
Salvatore Cianciulli
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