Di Roberta Bruno su Lunedì, 16 Settembre 2019
Categoria: Vario

Da Montella in Inghilterra: qui opportunità e prospettive - di Roberta Bruno - dal Quotidiano del sud

Roberto: ho scelto Londra per ricominciare, generazione 1991, è un ragazzo di Montella, anche lui arruolato tra le fila dell’armata G.I.E. (Giovani Irpini Emigrati): risorse del nostro territorio che cercano lavoro e fortuna altrove, lasciando, tra l’amore e il rancore, il luogo natale.
Roberto, eccellente cameriere, conosciuto da tutti i ristoranti della zona, ha sempre lavorato mentre cercava di stare al passo con gli studi di ingegneria. Dopo una pessima esperienza ad un CAF di Avellino, dove veniva trattato senza considerazione e senza rispetto, svolgendo mansioni che non inerivano le sue competenze, ha deciso di partire per Londra l’anno scorso. Racconta:

«Se avevo paura? La verità, cara Roberta, è che, affetti e famiglia a parte, non avevo niente da perdere. Ero arrivato ad un punto tale per cui la paura di rimanere qui, nella condizione in cui mi trovavo, tra mancanza assoluta di crescita e prospettive, vinceva su tutte le altre. Ricordo ancora le parole di mio padre, mi disse: sei mio figlio e vorrei tenerti sempre al mio fianco, ma se fossi un amico ti direi di andare via».
Mentre Roberto racconta le difficoltà della sua scelta mi tornano in mente le parole di una vecchia e malinconica canzone che il maestro di musica ci faceva cantare al “piccolo coro” della scuola elementare, e che, ironia della sorte, Roberto, senza neanche accorgersi, ripete fedelmente: «La noia, l’abbandono, il niente sono la malattia di questo paese» afferma. «Conoscevo storie di amici già partiti e che a Londra stavano bene. Così sono partito anche io. I primi giorni sono stato loro ospite, poi ho trovato un posto economico adatto a me.
Ho subito iniziato a consegnare curriculum, sia a mano che tramite internet, e dopo una settimana ero già assunto in un ristorante italiano: Carluccio’s.
Nonostante il lavoro vada bene le difficoltà ci sono, a partire dalla lingua. All’inizio, anche per andare semplicemente dal tabaccaio, mi preparavo il discorso da casa».

Roberto descrive il mondo del lavoro londinese, in cui l’offerta è così vasta che la conoscenza dell’inglese passa facilmente in secondo piano. Nel lavoro, poi fa notare, è da apprezzare soprattutto la meritocrazia.
«Ho iniziato come bartender – racconta Roberto - e in un solo anno ho avuto due aumenti di stipendio. Non solo c’è la possibilità di crescere lavorativamente, ma le giornate più affollate e faticose vengono adeguatamente ricompensate non solo economicamente ma, ancora più importante, umanamente. Mi sono sentito ringraziare per il lavoro che ho prestato, cosa che a chi, come me, era abituato in Irpinia ad essere riconoscente per la chiamata di lavoro, è una cosa che impressiona non poco. L’impegno dato viene riconosciuto e apprezzato. In Irpinia, purtroppo, non esiste mobilità sociale, non ci sono prospettive di crescita» afferma Roberto riesumando il ciclo dei vinti.
«Oggi, se penso al mio anno futuro sorrido, perché so che il mio impegno verrà ricompensato con una promozione: salirò di grado a poco a poco.
Qui a Montella, invece – prosegue Roberto con verdetto verghiano - stai dentro un pantano, ma ovviamente non affoghi. Sopravvivi».
Le parole di Roberto sono amare, ma vere e coraggiose. Ripercorrono le paure covate, nutrite e maturate nel silenzio delle giornate passate senza impegno e che si annidano nei cuori di tanti altri, giovani o meno.
«Montella è la mia casa e ne sento nostalgia, mi manca la mia famiglia: senza che io possa vederli i miei nipotini crescono e i miei genitori invecchiano. Tutti questi affetti mi vincolano a questo luogo, ma credo che è arrivato il momento in cui sono obbligato a pensare solo a me stesso; per non sentire più, alla sera, quella sensazione di aver buttato un’altra giornata.
È la seconda volta che torno a casa, e ogni volta che parlo con i vecchi amici li sprono ad andare via. Fino a qualche anno fa pensavo che fosse il luogo perfetto in cui crescere, ultimamente mi sto ricredendo su questa favola. Siamo in un luogo abbandonato a se stesso: senza possibilità per i bambini di praticare uno sport che non sia il calcio, senza strutture e senza ferrovie e con l’unica via di comunicazione per Avellino paralizzata da due anni. Ci hanno abituato ad accettare qualsiasi disservizio, tutto è nella norma e ci va bene così. Come se non potesse essere altrimenti. E invece le cose funzionano altrove, e io ho aperto gli occhi su questo, mi sono reso conto che le cose possono funzionare».
Quando Roberto dice che ha aperto gli occhi si riferisce a tutto l’impatto che si ha vivendo in una grande città come Londra: multiculturalismo, scenari diversi e possibilità sempre nuove, strutture pubbliche funzionanti e accorte alle esigenze del cittadino e del turista.
«Mi sono sempre definito di mentalità aperta e tollerante. Eppure, solamente stando immerso costantemente nella pluralità, capisci quanto sia affascinante la diversità delle culture, delle religioni e degli orientamenti sessuali. A Londra a Canary Wharf, il quartiere in cui lavoro, c’è una scalinata arcobaleno dedicata al tema dell’omosessualità, mentre nella metropolitana vengono continuamente fatte campagne di sensibilizzazione. Quando in una metropoli convivono dieci milioni di individui ci si rende conto di che cosa significhi la libertà di vivere se stessi come meglio si crede. Purtroppo per questo paese, qui siamo indietro anni luce».
Le differenze che Roberto evidenzia sono tali da rendere queste realtà quasi due mondi separati: «Avrei potuto farmi assumere in qualche fabbrica in zona – continua - ma la verità è che questo lavoro, oltre ad essere logorante e alienante, non elimina il rischio di finire un domani in mezzo ad una strada. E allora – chiede con rancore Roberto - chi ti prende più? Come ti reinventi?»
La domanda, che ha il sapore dell’ingiustizia, ritorna spesso nelle parole di Roberto.
«Perché non potermi mettere in gioco? Perché subire la frustrazione di questa incertezza? Non parlo del posto fisso, ma di una lecita mobilità nel mondo del lavoro: a Londra, se domani mi dimetto in dieci giorni ho già un altro impiego; qui, se domani mi licenziano come e cosa faccio?

In Inghilterra vedo molte possibilità che si aprono, le sento che sono tutte dinnanzi a me. Ora ho tanti progetti e voglio scegliere la mia strada. Posso continuare nel management, se voglio, o riprendere gli studi autonomamente, approfittando del fatto che lì l’università è finanziata quasi del tutto a fondo perduto, o ancora, posso spostarmi, magari verso gli Stati Uniti. Tutte possibilità, queste, che io mi vedo aperte dinnanzi solo ora».
Ricordo che al coro, mentre con il maestro cantavamo “Che Sarà”, proprio non riuscivo a capire il motivo per cui il protagonista della canzone doveva andare via. Me lo chiedevo soprattutto nella strofa in cui doveva separarsi dal suo primo amore, mi sembrava all’epoca una cosa così innaturale.
Oggi, che pare non siano passati 50 anni dall’uscita di quella canzone, mi soffermo su un’altra strofa, quella che recita così:
“So far tutto o forse niente da domani si vedrà”.
Ebbene, che sarà di tutti questi giovani e di questa terra?

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