In tempi assai remoti, a Montella i negozi di generi alimentari erano denominati “Caso e uòglio” vale a dire “formaggio e olio” e solo in epoca successiva furono designati come “Alimentari”, “Generi Alimentari” o anche “Salumeria”.
Erano piccoli esercizi commerciali che, presenti nei vari “casali”, mettevano in vendita principalmente prodotti alimentari che i medesimi negozianti acquistavano da grossisti locali e nazionali.
Di solito non avevano insegne e venivano indicati quasi sempre con il nome o il soprannome del titolare, il quale quasi mai gradiva essere chiamato con quel soprannome giacché esso costituiva, spesso, una ingiuria o indicava un difetto fisico.
In buona parte i negozi si trovavano nello stesso stabile dove abitavano i negozianti e l’aspetto esterno di queste rivendite cominciò a mutare e migliorare solo agli inizi degli anni ’60 allorquando apparvero le prime vetrine e le insegne fisse con la scritta, alcune volte realizzata con tubicino al neon.
Nei tempi più remoti sulla porta del negozio era frequente notare piccole targhe metalliche con il nome di alcuni prodotti alimentari. In quegli anni infatti la legge prescriveva la “classificazione di prodotti” e dunque, per una questione di trasparenza commerciale i negozianti dovevano informare sulla tipologia di prodotto venduto per cui, ad esempio se l’olio non era extravergine doveva essere messa la tabella “Olio di Sansa e di Oliva”.
Erano botteghe “spartane”, sempre prospicienti ad una strada di costante percorrenza, avevano porte a vetri, erano, dunque, abbastanza luminose ed avevano una capienza tale da consentire sia una sistemazione razionale dell’arredo sia quello di accogliere un numero proporzionale di clienti.
Nella generalità i locali erano puliti, ma ancora con pavimento in pietroni lastricati o in mattoni e solo qualche negozio più di lusso aveva le mattonelle di graniglia (le cosiddette “reggiole”).
Le mosche erano tenute lontane con una “tenda moschiera” fatta di “cannilicchi” metallici o anche utilizzando la classica macchinetta (“zòrfaturo del flit”) con la quale veniva, all’occorrenza, spruzzata ……….. una miscela di DDT.
Per l’illuminazione artificiale si usavano le normali lampadine e solo in epoca successiva sono subentrati i neon.
La pulizia giornaliera e la integgiatura stagionale con calce viva erano a cura degli stessi negozianti.
Come scrive il giornalista Nicola D’Adamo “….l’arredo era assai spartano ed era costituito dal classico bancone su cui c’erano l’affettatrice che oramai era divenuta di uso comune, la grattugia per i formaggi, il macinacaffè e la bilancia, prima quella a pesi con le sue coppe e poi quella “ad orologio” più moderna e precisa.
Non esistendo ancora il banco frigo mortadella, provolone, formaggi, salumi, prosciutto, lardo salato e cose simili erano tutti esposti sotto il piano del bancone.
La ghiacciaia veniva usata in genere per le bevande fresche, funzionava con un pezzo di blocco di ghiaccio fornito quotidianamente dalla ditta “Fratelli Fierro” che lo producevano artigianalmente insieme a gassose e chinotti.
Le scaffalature, in legno verniciato, erano semplici.
Dal soffitto, su una barra di ferro fortemente ancorata, pendevano provoloni, mortadelle, salami, caciocavalli, salsicce e altro.
Tutte le pareti vuote del locale avevano chiodi o altri attrezzi utilizzati per esporre i prodotti.
Fino agli inizi del ’60 molti negozi alimentari erano veri empori: simili ad una sorta di supermercato in miniatura, vendevano di tutto, anche il baccalà e lo stoccafisso che, essendo all’epoca prodotti di grande consumo, erano tenuti in ammollo in apposite vasche le quali davano al negozio un caratteristico ed inconfondibile “odore di fondo”.
Questo pesce tipicamente norvegese arrivava in balle, come lo stoccafisso.
Nell’ambiente del negozio emergeva anche l’odore di sarde, alici, aringhe sotto sale, tonno sottolio; prodotti forniti in latte medio-grandi che venivano aperte per la vendita.
La marmellata era in contenitori di legno compensato.
Lo zucchero, la farina, i legumi venivano forniti in sacchi che si aprivano e si mettevano in mostra.
Caratteristici erano gli scaffali della pasta con i ripiani aperti per la pasta lunga e con una serie di cassetti con il vetro davanti per la pasta corta.
La pasta che si rompeva, il cosiddetto “tritume”, veniva raccolto in un cassetto e venduto a prezzo inferiore.
Negli anni del dopoguerra si vendeva quasi tutto sfuso.
Per le confezioni si usavano quattro tipi di carta: la “carta paglia”, la “carta pane”, la “carta oleata”, la “carta da zucchero” (per la pasta).
Poche erano le buste o le bustine di carta.
Si usavano molto i “cartocci” che gli stessi negozianti confezionavano avvolgendo la carta che avevano sul bancone.
Per i liquidi (olio, varechina, ecc.) i clienti portavano le bottiglie da casa (per l’olio, per la varichina, ecc.).
Sugli altri scaffali i prodotti si dividevano per tipologia come oggi: prodotti in scatola (Manzotin, Simmenthal), i primi dadi Knorr e doppio Brodo Star, la zona dei biscotti (Pavesini, Oro Saiwa), del caffè in grani, orzo, miscele (miscela Leone), citrato, bustine effervescenti (Frizzina , Idrolitina), le bottigliette delle essenze per i liquori dolci , le bottiglie di liquori come il Vermouth , il Marsala, il “Millefiori” (giallo con il rametto con lo zucchero cristallizzato), l’Anisetta, il Cynar, il Bianco Sarti, l’Aperol, il Rosso Antico; poi i primi brandy come lo Stock 84 e la Vecchia Romagna .
Sul bancone vi erano barattoli grandi con il coperchio per le caramelle o le liquirizie a “barchetta”.
All’epoca i bambini comperavano anche una (sola) caramella!
La gioia dei ragazzi erano anche i mitici formaggini di cioccolata della Ferrero i quali anticiparono la produzione della mitica Nutella che uscì nel 1964 !!!
Per quando riguarda i prodotti per l’igiene si vendevano sfusi articoli abbastanza pericolosi come la candeggina (la varichina), l’acido muriatico e la soda caustica.
Nel negozio non si usava la “cassa”; il negoziante (anche se non aveva un alto livello di istruzione) faceva i conti a mano con la matita, su un pezzo di carta direttamente sul bancone e spesso, se i prodotti erano pochi, li faceva “a mente”.
Solo in qualche negozio era in uso la calcolatrice, o meglio la “addizionatrice” (nel senso che faceva solo l’addizione!).
Alcuni clienti con problemi economici facevano la spesa “a crerènza” e il corrispettivo veniva “segnato” sia su un libretto in possesso del cliente che su un registro per conto del venditore; i clienti pagavano a intervalli, quando potevano, alcuni addirittura al termine della raccolta dei campi e delle castagne.
C’è da dire che siccome – a quei tempi - c’era ancora un alto senso di dignità, tutti cercavano di saldare i loro debiti, anche perché ci si conosceva tutti e il rapporto negoziante-cliente era caratterizzato per lo più da familiarità, stima e legami di amicizia che avevano radici lontane.
Per altro la frequenza della “bottega” era abitudinaria;, essa era (al pari dei bar/caffè, delle “cantine” e delle botteghe dei “sarti” e degli “scarpari”) un punto di aggregazione e di socializzazione, vi si trovavano conoscenti ed amici, che si salutavano e, in attesa di “essere serviti”, si intrattenevano piacevolmente; per lo più erano sempre le stesse persone le quali si sostavano “a chiacchiera” per un bel po’ di tempo, per il piacere di parlare, come si fa tra amici, del più e del meno o anche per commentare eventi e situazioni.
Non a caso a quei tempi, a Montella (come d’altronde in tutti i paesi della provincia italiana) la gente era più aperta, comunicativa, desiderosa di parlare e di ascoltare, non si andava di fretta e dunque c’era la voglia e il gusto dello stare insieme; le botteghe (tutte) erano dunque luoghi in cui ci si intratteneva piacevolmente, e in cui …si spettegolava anche!!
Nel raccogliere “appunti” per la stesura dei miei “articoli”, come al solito, mi sono confrontato con alcuni amici, essenzialmente quasi tutti miei coetanei ed insieme abbiamo, senz’altro con qualche imprecisione ed omissione, elencato una trentina di “salumerie” presenti a Montella e le abbiamo (ripercorrendo - idealmente - le varie strade rionali) “localizzate” nei vari casali.
Così, partendo da Sorbo, abbiamo ricordato Luigi Basile la cui bottega si trovava nella via San Michele, nelle immediate adiacenze dell’abitazione del dottor Elio Marano; Il negozio di Luigi era ben fornito ed era dunque luogo di riferimento per la maggioranza dei “sorevesi” i quali vi trovavano massima serietà e prodotti di qualità.
Scendendo in via San Simeone c’era, nelle vicinanze dell’ex Ufficio Postale, il negozio di generi vari di Emilietta Tramutolo, moglie di Salvatore Di Genoa.
A seguire, nella stessa strada si trovava il negozio di Agnese Mazzei, la moglie di Luca e un po’ più giù, vicino alla fontana pubblica dell’Alto Calore, nel Palazzo ove una volta abitava Celestino De Simone, c’era un altro negozio di generi alimentari di cui però non ricordiamo il nominativo del titolare.
Carmelino Di Benedetto era, invece, il titolare di un dignitoso ed ordinato negozio di alimentari, posto poco prima del termine di via F. Cianciulli che gestiva da solo con molta cura, competenza e positiva disponibilità.
Poco distante, attiguo ad un negozio del barbiere Lepore, vi era poi la salumeria di Raffaele Capone il quale per lo più vendeva i prodotti caseari preparati, a Garzano, dai suoi vari familiari.
In via Filippo Bonavitacola, in un locale di “Donna Richettella” vi era la salumeria di Ubaldo Molinari la cui attività fu poi portata avanti dal figlio Sandrino.
La bottega di Luigi Basile a Sorbo, in via San Michele
Oggi in Piazza Bartoli si trova più di un negozio di alimentari ma, ai tempi della mia adolescenza, prospicienti alla stessa piazza si trovavano due soli negozi; il primo era quello di Michele Basile che era allocato sotto l’abitazione della famiglia Varallo e l’altro, allocato nel palazzo Abiosi, era quello di Salvatore Marano, un mio parente giacché la moglie Olinda era cugina di mia madre Flora. Quest’ultimo negozio è tutt’ora in funzione ed è gestito, sin dal 1960\65, dall’intraprendente ed inossidabile Tullio il quale, tra l’altro mi ha fornito numerose ed importanti informazioni, assai utili per la compilazione del presente scritto.
L’amico Carmine Dell’Angelo, a proposito di negozi alimentari, mi ha simpaticamente ricordato l’attività svolta da Angiolella (nonna di Nicola Chiusano, il noto eroe in marina di Montella) la quale “fittava” le bilance agli ortolani e ai venditori ambulanti forestieri per cui da questa attività derivò il detto e l’invito per gli sconfitti nelle partite a carte di …… “andare da Cardella, come dire per pesare le carte e punti che determinano la sconfitta” !
Proseguendo nel citare le salumerie di un tempo, lungo Via Michelangelo Cianciulli c’era quella di Teresina Volpe, moglie di Peppo il muratore, il cui negozio, oltre a vendere sigarette e tabacchi, era luogo di riferimento per la maggioranza degli abitanti di San Giovanni i quali vi trovavano alcuni prodotti alimentari a loro necessari.
All’inizio dell’attuale Via del corso vi era il tabacchino di mio zio Matteo Ciociola e di zia Peppa i quali in quell’epoca vendevano anche generi alimentari, soprattutto olio, formaggio e provoloni che mio zio acquistava all’ingrosso in Puglia.
Negli anni zio Matteo e zia Peppa elusero la vendita di “Caso e uòglio” per avviare ed incrementare, come molti ricordano, quella di articoli di arredo domestico (letti, culle, sedie, bauli, valigie, quadri, ecc.), articoli da regalo nonché la fornitura sia di fornelli e cucine a gas e sia delle corrispettive bombole di gas di ricambio.Di fronte al tabacchino di mio zio, proprio all’inizio dell’attuale via Don Minzoni c’era anche il negozio di alimentari di Ninno Capone che parimenti al fratello Raffaele vendeva principalmente i prodotti caseari preparati, come s’è già detto, a Garzano, dai suoi vari familiari.
Proseguendo l’elencazione dei negozi alimentari c’è da dire che ben altri nove si trovavano lungo tutta via del Corso, giù giù fino all’imbocco di Santa Lucia.
Il primo negozio apparteneva alla famiglia Lorenzo Granese che lo gestiva coadiuvato, spesso, anche dai figli, soprattutto da suo primogenito Antonio.
Il secondo negozio di via del Corso era quello di Pasquale Dragonetti che, gestito dalla figlia Giuseppina, fu il primo negozio montellese ad avere il tipico e moderno look di salumeria. L’esterno era infatti decorato con marmi, aveva vetrine e l’insegna fissa con la scritta “Salumeria Dragonetti”; all’interno aveva un bancone moderno, con frigorifero, bilance meccaniche nonché un’affettatrice elettrica. Era un negozio particolare in cui trovavi prodotti assolutamente non disponibili nella maggior parte degli altri negozi e quando entravi avvertivi uno stile diverso e più accogliente.
Il susseguente negozio di via del Corso era quello di “Nannina” Varallo, moglie di Federico; questo negozio vendeva anche latticini e, come molti ricordano, dopo il terremoto del 1980 si è trasferito in Piazza Bartoli. In quella sede più centrale è stato gestito, fino a qualche anno fa, da Gilda, la moglie di Rolando e, anche se con una nuova gestione, è ancora in funzione
Di fronte a “Nannina” c’era poi la panetteria di Leopoldina Moscariello, detta “Pordina” la quale oltre al pane vendeva per l’appunto anche prodotti alimentari.
Il quinto negozio alimentare, lungo via del Corso, di fronte al palazzo Marinari, era quello di Nannina De Simone, moglie di Giuseppe detto “L’americano”.
Quasi di fronte, nel palazzo appartenente ad Aretino Volpe c’era un negozio di alimentari denominato “Cooperativa Italia” che aperto nell’immediato periodo del dopoguerra, era gestito da Teresa D’Aversa e da Isabella Clemente, la madre del povero Mattia.
In piazza Matteotti, nell’angolo ove si imbocca via Gamboni, c’era il negozio di alimentari di Gemma Dello Buono, la moglie di “Ciccio” (Francesco) Montagna e poi nelle immediate adiacenze c’era il negozio di Assunta Rascionato che in prevalenza vendeva i latticini prodotti da suo marito Gambone Orazio Salvatore, per capire il papà di Mario, Ezio e Virginio.
Nei locali appartenenti alla famiglia di Rocco Gambone c’era poi il negozio di Angelo Fortunato che, coadiuvato dai figli Mario e Tullio , era un negozio di alimentari particolare giacché (insieme ai vari e principali prodotti alimentari già disponibili nella maggior parte degli altri negozi del paese) era attrezzato quasi come un piccolo supermarket; vi si vendevano, infatti, maglie, camicie, reggiseni, scarpe di marca Varese, lana in gomitoli e matasse di tutti i colori, aghi, rocchetti, spagnolette e matassine varie, penne, pennini, matite, quaderni con copertine nere e centinaia di altri articoli che soprattutto Tullio individuava in un attimo, muovendosi con la delicatezza di uno scoiattolo in quel negozio pieno come un uovo. Bastava chiedere.
Su questa scia Mario e Tullio Fortunato furono, una volta trasferitosi in locali nuovi, spaziosi e di loro proprietà inseriti nel grande palazzo adiacente alla stazione di benzina di Felice Volpe. I fratelli Fortunato furono i primi a Montella, negli anni “70, ad aprire “punto vendita” organizzato come supermarket, con i carrelli e denominato, come è noto, “Superette”.
L’ultimo negozio di alimentari di via del Corso, collocato quasi all’imbocco di via Santa Lucia era quello di Leopoldo Dello Buono, un negozio dignitoso e particolarmente accogliente per via dell’amabile personalità del titolare.
Lungo via Gamboni, poco distante dal negozio di Gemma Dello Buono si trovava poi il negozio di Raffaella Carfagno, detta “Nenna” e, in fondo, quasi in via Pendino c’era il negozio di Milietta Bosco e a seguire quello di Salvatore Volpe, detto “Biasiello”, posto proprio vicino all’antica fontana dell’Alto Calore”.
Grosso modo, nella stessa zona, esattamente nell’intersecazione di via Gambone - via Fontana - via Pendino vi era la cantina di Michele Dello Buono il quale, per l’appunto vendeva anch’egli prodotti alimentari.
Anche a Garzano, proprio vicino alla Chiesa di San Nicola, vi era un negozio alimentare, apparteneva ad Ernesto Buccella ed attualmente è gestito, soprattutto come tabaccheria, dal figlio Mario.
Sempre a Garzano, all’inizio della via Cisterna c’era il negozio di Gerardo Romano, vale a dire il nonno dell’attuale gestore di “Bar Romano” di via Michelangiolo Cianciulli.Al termine dell’attuale Largo Piediserra c’era infine la Tabaccheria e negozio di alimentari di Mariannina Savino, moglie di Pietro Santoro.
A questo punto, dopo questo ideale e lungo “peregrinare” attraverso le strade e i casali di Montella ritengo opportuno concludere; seppur con la consapevolezza che la lunga, incompleta e forse inesatta elencazione di “negozi, salumerie e negozianti” possa essere risultata alquanto noiosa.
Tengo a precisare che lo scopo della elencazione è stato e resta quello di ricordare sia le origini degli attuali “market” e “supermarket” tuttora presenti a Montella sia i tanti artigiani commerciali montellesi, quelli di un tempo lontano, i quali, a ben riflettere, sono stati persone di riferimento per varie generazioni e dunque direttamente legati ai ricordi della vita lontana di ciascun montellese che, nel bene e nel male, li ha conosciuti e ne ha spesso frequentato, in tempi lontani, per l’appunto il negozio.
Una “potèie re caso e uoglio” degli anni ‘60 di Nino Tiretta
--------------->>>>>>>>><<<<<<<<<-------------------------
Questo articolo è già stato pubblicato sul periodico "Il Monte"- Sezione "Cara Montella" - Anno XVII - n. 2 maggio-agosto 2020