A Montella al tempo della mia infanzia, negli anni 1945\50, un’ attività artigianale molto diffusa era quella del sarto.
Ricordo che, fino al periodo degli anni 1954-55, in paese, le botteghe dei sarti erano parecchie,
generalmente concentrate in Piazza Bartoli e lungo l’attuale Via del Corso.
La parte antistante della “bottega”, prospiciente alla strada, era occupata per la lavorazione e in questa sezione si trovavano gli sgabelli per i lavoranti, il classico bancone (piuttosto alto e ricoperto di tessuto) e vi si trovavano poi tutta una serie di attrezzi utili a questa specifica attività artigianale. L’altra parte, era invece adibita a “camerino” per i clienti e serviva per le prove degli abiti; tale spazio era assai ridotto, arredato con uno specchio (alto e a piena persona) e per lo più occultato da una tenda scorrevole
Nella zona laboratorio, innanzitutto c’era il ferro da stiro robusto e pesante, originariamente riscaldato a carbone e poi, in anni successivi, elettricamente e solo, dagli anni ’80, a vapore. Immancabilmente sul bancone c’era pure il “pascalotto” che era un attrezzo utile per stirare alcuni elementi particolari dell’abito, vale a dire maniche, baveri e le parti arrotolate.
C’era poi la macchina per cucire, bella robusta che funzionava, all’incirca fino al 1967, a pedale e successivamente con il motorino elettrico; il forbicione (grande e robusto utilizzato per il taglio della stoffa), le squadre, la riga, il centimetro, la rastrelliera con tutte le “spagnolette” e i “rocchetti” di filo per cucire, gli spilli, il manichino sartoriale a busto, la rastrelliera appendi abiti e altri pochi accessori.
Il locale, durante il periodo invernale, non aveva riscaldamento e non disponeva di servizi igienici !
Il mestiere del sarto è un’attività a carattere artigianale, basato sulla manualità, assai antico e mai scomparso del tutto.
Di fatto il sarto era un “professionista” dotato di grande sensibilità e gusto, in grado di realizzare un abito, in tutti i suoi passaggi: dal modello al taglio della stoffa, dalle misurazioni e correzioni, alla cucitura, alla rifinitura e alla stiratura.
Da sempre, per svolgere adeguatamente e compiutamente questa professione artigiana era richiesta una lunga preparazione che si acquisiva prevalentemente sul “campo”, iniziando come apprendista in una sartoria.
Fino all'avvento delle odierne fabbriche tessili e di abiti confezionati, il sarto (o la sarta) seguiva, come s’è già detto, tutto da solo l'intera fase del processo di realizzazione del capo; oggi invece la realizzazione di un abito è affidata a più persone: allo stilista (che ne disegna il “modello”), alla modellista (che ne prepara il cartamodello) ed infine al sarto che taglia i vari componenti dell’abito i quali sono assemblati e cuciti, attraverso una vera e propria “catena di montaggio”.
Il lavoro del sarto di una volta consisteva nel consigliare il cliente sul capo adatto alle sue misure e sul tessuto più idoneo.
Lavorava poi sul taglio, nelle cucitura e nell’assembramento dei vari elementi della confezione, con competenza, tanta pazienza e precisione, soprattutto nelle “impunture”, nel fare le tasche, i taschini, le asole e quant’altro.
Un abito da uomo (giacca e pantalone) fatto “a mano”, richiedeva quasi 40 ore lavorative, vale a dire quasi 4 giornate di una volta.
La stoffa nell’80% era fornita direttamente dai clienti che l’acquistavano nei pochi e rari negozi di tessuti o anche dai venditori ambulanti durante mercati e fiere stagionali.
I clienti, comunque, volendo, potevano, anche “sfogliare” i cataloghi forniti dai fabbricanti di stoffe al sarto, scegliere la stoffa e ordinarla, tramite lo stesso sarto, alla ditta produttrice (Zegna, Cerruti, Marzotto, ecc.).
La prima operazione propedeutica alla confezione era ovviamente la “presa delle misure”, vale a dire le circonferenze del torace e della vita, la larghezza delle spalle, del busto, per le maniche la lunghezza del braccio nonché tutte le altre connesse al pantalone.
Il sarto, con l’ausilio anche di modelli in carta, “disegnava” direttamente sul tessuto (servendosi di squadre, righe e gesso) i vari elementi necessari che erano tagliati con l’uso di una grossa e pesante forbici.
I vari pezzi di stoffa venivano poi assemblati con “impunture” (vale a dire cuciture larghe, provvisorie, fatte allo scopo di tenere i tessuti uniti) e, per il davanti della giacca aggiungendo tele e fodere.
Ovviamente durante la realizzazione dell’abito occorreva fare diverse “misurazioni”; la prima era fatta unicamente per la giacca al fine di fare gli adattamenti necessari e in tali circostanze le parti venivano dunque allungate o accorciate ricorrendo all’uso di spilli o a veloci “imbastiture”.
Fatti gli adattamenti necessari si procedeva alla cucitura definitiva aggiungendo così fodere, tasche e taschini.
In questa fase si procedeva alla seconda misurazione sia della giacca che del pantalone.
Nella fase conclusiva si facevano le rifiniture definitive con la cucitura di asole, di bottoni e quant’altro.
L’abito ormai completato e terminato veniva stirato e consegnato al cliente.
Il lavoro del sarto era dunque un’attività che veniva appresa con un lungo e paziente “tirocinio”.
In tal senso questa estate il mio amico sarto Alfredo Palatucci mi ricordava il suo lungo percorso formativo che, nel suo caso, era iniziato all’età di 14 anni, esattamente dal 1958 al 1960 presso la bottega di Gino Palatucci e dal 1960 al 1963 presso la bottega di Cicccio Palatucci.
Dopo il servizio militare, Alfredo, dal 1965 al 1967 stette a Milano per seguire un corso di taglio e di modellista presso la scuola di Carlo Secoli.
Solo nel 1967, all’età dunque di 23 anni, Alfredo aprì una sua bottega da sarto in via del Corso, bottega che successivamente ha ampliato e convertito nell’attuale e duplice negozio di abbigliamento.
Per documentarmi sull’arte del sarto, questa stessa estate ho parlato anche con Peppo Gramaglia, mio amico, quasi mio coetaneo e anch’egli sarto ma in pensione,.
Peppo mi ha detto che per diventare sarto iniziò, per cinque anni di seguito, ad andare dal “mastro”, da Antonio Gramaglia, già all’età di sette anni, ci andava per mezza giornata, di pomeriggio perché la mattina andava a scuola.
Successivamente lavorò, per oltre cinque anni e sempre come apprendista, dal sarto Ernesto Palatucci.
Infine segui un corso di specializzazione di taglio e cucito e un altro corso per sartoria a Napoli; aveva passato i venti anni quando apri a Montella una sua attività, lunga, fatta di paziente lavoro e svolta comunque con piacere e con tante piccole e al tempo stesso grandi soddisfazioni.
Discorrendo dell’attività del sarto, l’amico Peppo Gramaglia mi ha detto che nel 1963, escludendo il costo del tessuto) le tariffe per la confezione erano di Lire 3.500 - 4.000.
La spesa per confezionare un pantalone era di Lire 800 (meno del costo di un caffè d’oggi giorno).
Negli anni ’60 i sarti montellesi “cucivano” prevalentemente vestiario per uomini e solo pochissimi si impegnavano per il vestiario per donne; tali erano Antonio Gramaglia prima e Gino Palatucci poi.
La sartoria per donna era una pratica riservata essenzialmente alle tante e brave sarte che operavano, in casa propria.
I sarti dunque confezionavano pantaloni, giacche, “cacciatore”, cappotti e mantelle.
A quei tempi capitava spesso che i sarti anziché utilizzare stoffe nuove utilizzavano le stoffe rivoltate di abiti già confezionati, quindi scuciti e riadattati ad una nuova confezione.
Spesso il “rivolto della stoffa” era adattato per realizzare abiti per giovanottini e ragazzi; il risvolto era evidente giacché si notava, nella nuova realizzazione, la trasposizione del taschino della giacca nonché dell’occhiello del bavero che da destra passava a sinistra.
Ora per fare un po’ di cronistoria ribadisco che dagli anni 1940\50 ad oggi i sarti a Montella sono stati tanti.
Personalmente ne ricordavo solo alcuni ma poi, questa estate, confrontandomi con alcuni amici, abbiamo stilato una lunga e dettagliata lista dei quei sarti paesani che (tutti bravi nel confezionare e nel riparare abiti) ho qui piacere a ricordare .
Per chiarezza esposiva è possibile raggruppare quei sarti in tre gruppi: un primo gruppo costituito dai sarti in “servizio” negli anni 1940-1950, il secondo gruppo include quelli del periodo 1950-1960 e il terzo assomma quelli in attività dal 1960/65 ad oggi.
Il primo gruppo, quello che potremmo definire “storico”, era un gruppo abbastanza consistente che poi si ridusse notevolmente soprattutto per il fatto che molti di essi lasciarono Montella ed emigrarono approfittando di una legge governativa degli Stati Uniti la quale, per l’appunto, negli anni 1950-1955, facilitava l’emigrazione per questa categoria di artigiani di cui quella nazione, a quei tempi, era carente e ne aveva necessità.
Prima di questo evento migratorio, negli anni 1940-50, in piazza Sebastiano Bartoli ricordo il sarto Amerigo De Marco la cui mamma, Caterina, gestiva la cantina in via Filippo Bonavitacola. La bottega di Amerigo era posta proprio all’imbocco di quella strada, esattamente ove oggi troviamo il negozio di ottica.
Più avanti, dove ora c’è il negozio di Gilda Varallo, c’era la bottega di Antonio Gramaglia, un sarto assai bravo e che nel 1963 emigrò negli Stati Uniti approfittando, appunto, dell’entrata in vigore di quella concessione di cui s’è già detto.
Prima di trasferirsi al corso anche il sarto Raffaele Sica (detto “Filuccio” ed altresì bonariamente denominato “Hitchcok”, per la sua simpatia ma anche per la sua rassomiglianza al celebre regista americano) lavorava in piazza e sempre nelle adiacenze della piazza c’era, nella propria abitazione, anche Vincenzo Marinari, il padre del professore Attilio, di Arduino e della maestra Edda. Ricordo che Vincenzo era basso di statura, portava occhiali spessi da miope, era un sarto assai modesto, molto apprezzato e, se non mi sbaglio, sapeva anche suonare bene il clarinetto.
Lungo via del Corso, dove ora si trova la ex farmacia Ciociola, aveva bottega Ciccio (sarebbe a dire Francesco) Palatucci, vale a dire l’ex sindaco di Montella poi trasferitosi, con tutta la famiglia, a Lissone. Ciccio era un sarto molto bravo tant’è che aveva una bella e nutrita schiera di “riscipuli”, vale a dire di apprendisti d’arte.
Più avanti, scendendo, si trovavano altre due botteghe di sarti; la prima era quella di Italo Sica e la seconda era quella di Elia Vuotto, la cui bottega si trovava esattamente nel locale ove oggi c’è l’edicola di giornali Fierro; mentre Italo è stato a lungo in attività, Elia, si trasferì con tutta la famiglia, esattamente ad Avellino, per svolgere l’attività di segreteria nella sezione provinciale del Partito Comunista di quell’epoca.
Nell’attuale Piazza Matteotti, dove sorge il Monumento ai caduti della Grande Guerra, aveva bottega Ferdinando Caldarone, anch’egli lasciò Montella, emigrò, nel 1952, negli Stati Uniti e la sua bottega fu utilizzata dal sarto Angelo Ciociola.
Mi risulta poi che negli altri “casali” del paese in quell’epoca lontana c’erano altri sarti.
A Fontana, nelle vicinanze del negozio di Biasiello ricordo che c’erano due sarti.
Il primo era Salvatore Marinari alla cui attività subentrò il figlio Carmelino; essi erano sarti bravi, soprattutto nella confezione delle tradizionali “giacche alla cacciatore” ed essi sono stati gli ultimi sarti montellesi a cucirle negli ultimissimi anni.
Il secondo sarto di “Fontana” era Palatucci Gerardo che nella sua attività era aiutato dal figlio Firmino, lo stesso che poi , negli anni ’70 aprì in via del Corso, sotto il palazzo Marinari, un negozio di vendita di radio, televisori e riparava anche orologi e piccoli elettrodomestici.
A San Simeone c’era Antonio Delli Bovi che pur abitando a Fontana aveva la sua bottega nei pressi del cosiddetto “Puzzo”, anch’egli emigrò ma in Svizzera.
A Garzano, di fronte alla Chiesa di San Nicola, in un locale del palazzo di don Vincenzo Bruni, aveva la bottega di sarto, un certo Chiaradonna, di cui non ricordavo il nome e che (sulle precisazioni offerte da Salvatore Passaro ed Antonio Garfagno) si chiamava Gerardo Chiaradonna ossia “Cirardo lo sarto, marito “r' Amelia”. Egli abitava in via Giulio Capone, a due passi dell’attuale campo sportivo, nel fabbricato dove c’era la cantina del fratello Umberto.
Ricordando ora i sarti del secondo gruppo, quelli del periodo 1950-1960, innanzitutto mi viene in mente Peppo Sica, il papà dell’amico Vittorio.
La sua bottega la trovavamo scendendo lungo l’attuale via del corso; Peppo, alquanto intraprendente, integrò la sua attività divenendo un agente intermediario per viaggi all’estero, soprattutto verso gli Stati Uniti e poi nello gestire un negozio di cartoleria e di articoli vari.
Più giù, proprio all’angolo dell’imbocco del Vico Ferri aveva bottega Salvatore Gambone, il fratello di “don Mario” il barbiere nonché fratello del barista Alfonso e dell’ altro fratello, Pasquale, anch’egli sarto che, dopo un periodo di emigrazione in Svizzera, aprì la bottega di sarto ed era alquanto specializzato nella sartoria per donna.
Più avanti trovavamo sempre la bottega di Italo Sica la cui mamma, Vincenza Fierro aveva la vendita di stoffe, bottoni, lane e quant’altro.
Sempre lungo il Corso, all’altezza dell’attuale sede del P.D., c’era la bottega di Ernesto Palatucci, un sarto questo che, non volle seguire l’esempio degli altri “colleghi” emigrati, operò per lunghi anni a Montella e fu il “mastro” di una successiva generazione di giovani (allora) sarti: Nino Conte, Peppo Gramaglia, Ezio Molinari e tanti altri.
Sin da quando ero adolescente Ernesto è stato il sarto che ha, in prevalenza, confezionato il mio vestiario fino a quando, trasferitomi in provincia di Napoli, ho iniziato ad acquistare abiti confezionati industrialmente.
L’ultimo abito “fattomi su misura” da Ernesto è stato un abito “da cerimonia”, un abito “perfetto”, “a pennello”, che ho indossato, nel 1967, per il mio matrimonio e che affettivamente conservo ancora.
Ernesto era una persona di poche parole, comunque sempre gentile, attento, preciso e assai bravo nel suo mestiere. Restò in attività per lunghi anni, fino a quando, lasciando la bottega in via del Corso, si trasferì nell’attuale via Nicola Clemente ove aveva la sua nuova abitazione e in questa circostanza convertì la sua attività di sarto in quella di …… venditore di abiti preconfezionati.
Di fronte al Cinema Fierro c’era poi la bottega di Gino Palatucci, fratello di Ernesto ed anch’egli migrato negli U.S.A..
Sempre lungo la via del Corso, di rimpetto alla chiesa del Purgatorio, c’era la bottega di “Filuccio” Sica e di suo figlio Claudio il quale, nel marzo del 1956, emigrò in Pennsilvania,.
Claudio, come lui stesso ci ha ricordato, fu impegnato, negli Stati Uniti, per circa nove anni in una fabbrica ove si cucivano divise militari per l’ aeronautica, per la marina e per le varie accademie; egli lavorò a lungo come dirigente del reparto sartoria di un grande negozio di abbigliamento e tra l’altro, ebbe la grande soddisfazione e il privilegio di confezionare una divisa al generale Aisenwaurer, ossia il presidente degli Stati Uniti del tempo !
In una delle botteghe del palazzo di Carmine Marinari (mio suocero) ha avuto la sua bottega Gaetano Gambone (meglio conosciuto come “Gaitaniello”) il quale era assai bravo nella confezione delle tradizionali giacche “alla cacciatora”, fatte in tessuto di velluto e attrezzate con tasche varie e strategicamente collocate.
Scendendo oltre trovavamo altri sarti, esattamente nell’attuale Piazza Matteotti lavorava Angelo Ciociola e più giù, nelle adiacenze della casa di Rocco Sabatino, c’era la bottega di Emidio Grandis.
Emidio oltre ad essere sarto era un appassionato ed esperto nella musica. All’epoca faceva l’organista e suonava la tromba tant’è che, da militare, ad Alessandria, era un elemento della banda dell’esercito; egli, durante la seconda guerra mondiale, partecipò alla spedizione in Russia da cui, fortunatamente tornò vivo.
Emidio è soprattutto ricordato non solo come sarto, ma come il direttore dei cori musicali eseguiti dalle “verginelle” nel corso di alcune tradizionali feste
religiose, specialmente quella della Madonna delle Grazie.
Infine a quel tempo a Santa Lucia c’era Antonio Pascale il quale però lavorava in casa. e poi, tra i sarti di quel periodo, a Garzano c’era anche Luigi Chiaradonna, vale a dire“masto Luigi ” il quale abitava in via Laurini e che, nel 1967, emigrò - con la moglie e i suoi quattro piccoli figli - negli Stati Uniti, a Philadelphia ove continuò, con passione e successo, l’attività di sarto.
Negli anni 1960/65 ad oggi sopraggiunge il terzo ed ultimo gruppo costituito dalla nuova “generazione di sarti” i quali hanno continuato la tradizionale attività adattandola alle mutate esigenze della clientela nonché integrandola ed “ammodernandola” introducendo tecniche e abilità varie, acquisite attraverso la frequenza di scuole di sartoria, sia in Italia che all’estero.
A questa schiera appartengono dunque Natalino Dello Buono Alfredo Palatucci, Peppo Gramaglia, Benito Fatale, Fulvio Marinari, Claudio Chieffo e Santino Granese e Alessandro Bello i quali, al giorno d’oggi sono ormai o in pensione o impegnati in attività alternative quali negozi di abbigliamento e di lavanderia, “la K2”, attività tutte queste che, a ben riflettere, sono, sempre e comunque, connesse e legate all’abbigliamento.
Oggi, a quel che so, a Montella esiste un solo sarto in attività, è Di Fronzo Bruno che con il figlio Fabio ha il negozio di sartoria in via Giuseppe Cianciulli, la strada che porta al santuario del S.S. S. Salvatore.
Di contro mi risulta che nei piccoli centri e nelle aree dell'Italia centro-meridionale sussiste la presenza della tradizionale piccola bottega artigiana del sarto, composta da uno o due titolari ed alcuni aiutanti.
L’ attività di queste botteghe è un’attività di “eccellenza”, cioè è rivolta prevalentemente al confezione di abiti e di capi per occasioni formali, importanti.
Nella generalità è comunque evidente che, ahimè, con la diffusione delle confezioni industriali in serie, la professione dei sarti, come quella degli “scarpari”, è diventata anch’essa un mestiere “di una volta”, un mestiere che, sebbene legato a una “nobile” e dignitosa tradizione artigianale ormai appartiene al passato, tra qualche anno sarà una delle “professioni dimenticate”, una professione del tempo trascorso che io, comunque, ricordo con simpatia, affetto e tanta, tanta nostalgia.
Saluti a tutti e ………….alla prossima !
Giovanni Tiretta (Nino per gli amici)
Lucca, novembre 2016
COMMENTI PERVENUTI IN REDAZIONE
Caro amico,
ho letto il tuo ricco articolo sui sarti e mi è molto piaciuto.
I tuoi ricordi sono un po’ uguali ai miei.
Nel mio paese c’era un sarto soprannominato “lo cacato”.
Credo sia molto importante ricordare la qualità e l’importanza di questi mestieri, dunque bravo e complimenti.
(Annibale D.A. da Milano)
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Caro Nino,
E’ stata una piacevolissima lettura la tua simpatica cronaca sui sarti di una volta.
Li hai descritti così bene che mi sembra di conoscerli.
Anche a Fontanarosa ce n’erano tre o quattro; due erano più richiesti e per questo i loro clienti erano disposti anche a lunghe attese. Io ho avuto sempre l’impressione che, tra tutti gli artigiani, fosero un po’ una elite.
Uno era Luigino Furcolo, mio parente; me lo ricordo sempre concentrato sul suo lavoro, poco loquace, ma caustico con le sue battute e poi, secondo me, un eroe : solo con il suo lavoro è riuscito a far laureare sei figli ( tutti maschi), i quali, dal canto loro, badavano bene a filare dritti e mettere a frutto la loro intelligenza.
Come al solito ho divagato, comunque congratulazioni per questi tuoi scritti sempre molto interessanti e così precisi.
E’ un bel modo di mantenere vivo il ricordo delle cose del passato e farle conoscere ai nostri ragazzi che, anche se non sembra, sono contenti di sapere come si viveva prima di questa tecnologia.
( Luisa I. da Fontanarosa )
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Nino,
Ho appena letto il tuo articolo su Montella.eu.
E’ stato interessante rivivere le diverse epoche e la conseguente evoluzione dei costumi attraverso il racconto legato alla storia dei sarti.
E’ evidente che dietro ci sia stato un impegnativo lavoro di ricerca di informazioni e documentazione da parte tua, davvero lodevole.
Complimenti e saluti da noi tutti .
( C. M. da Montella)
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Gent.mo Nino,
Come mi hai suggerito ho visto su Montella.eu i tuoi articoli.
Li ho molto apprezzati e sono contento di ricordare e vedere le persone e tutto ciò che riguarda il mio caro paese.
Bravo, continua e grazie.
(S. Sorrentino )